Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13


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ferro dell'inimico; giunto Hassan alla sommità, ove con dodici de' suoi compagni si difendea, venne precipitato nella fossa; fu veduto rialzarsi sulle ginocchia, e nuovamente una grandine di dardi e di pietre lo rinversò. Nondimeno, ei fece il più col mostrare che quella sommità di baloardo poteva raggiungersi. Ben tosto uno sciame di Turchi coprì le mura e le torri, e i Greci, perduto anche il vantaggio del terreno, si trovarono oppressi dall'immenso numero de' Musulmani che da un istante all'altro crescea. In mezzo alla calca, continuò lungo tempo a vedersi l'Imperatore greco120 che gli ufizj di generale e di soldato compiea; ma finalmente disparve. I Nobili che combatteano al suo fianco sostennero sino all'ultimo respiro gli onorevoli nomi di Paleologo e di Cantacuzeno. Gli si udirono pronunciare queste dolenti parole: «Nè vi sarà alcun fra i Cristiani che voglia per pietà tagliarmi la testa?»121 perchè la sua ultima angoscia veniagli dal timore di cader vivo fra le mani degl'Infedeli122. Risoluto di morire, aveva avuta la previdenza di spogliare la porpora: in mezzo alla mischia, cadde finalmente sotto i colpi d'ignota mano e rimase, sotto un mucchio di morti, sepolto. Da quell'istante, nessuno pensò oltre a resistere e la sconfitta fu generale; datisi a fuggire i Greci dalla banda della città, e angusto essendo alla moltitudine de' fuggiaschi il passaggio della porta di S. Romano, molti in questa trista gara perirono soffocati e schiacciati. I Turchi vincitori si fecero ad inseguirli precipitosamente per le brecce del muro interno, e intanto che avanzavano per le strade si unì ad essi il corpo che avea forzata la porta del Fenar dalla banda del porto123. Nel primo ardore d'inseguire i Cristiani, circa duemila di questi vennero passati a filo di spada; ma ben tosto l'avarizia vinse la crudeltà, e i vincitori confessarono che la strage sarebbe anche stata minore, se la prodezza di Costantino e de' suoi scelti soldati non gli avesse tratti in paura di trovare un'eguale resistenza in tutti i rioni della Capitale. Così, dopo un assedio di cinquantatre giorni, cadde finalmente sotto l'armi di Maometto II questa Costantinopoli, che avea disfidate le forze di Cosroe, del Cagano e de' Califfi. I Latini non ne aveano abbattuto che l'Impero, ma i Musulmani ne abbattettero la religione124.

      Presto si diffonde la notizia delle sventure; ma sì estesa è Costantinopoli che i più lontani rioni rimasero ancora per alcuni momenti nella felice ignoranza del loro infausto destino125. Ma in mezzo alla generale costernazione, fra le mortali angosce che ciascuno provava per sè o per la patria, fra il tumulto e lo strepito dell'assalto, certamente in quella fatal notte, il sonno avrà potuto dimorar poco fra gli abitanti di Costantinopoli, e duro fatica a credere che molte donne greche sieno state destate da profondo e tranquillo riposo per l'improvviso arrivo de' giannizzeri. Appena la pubblica sciagura fu certa, abbandonati vennero in un istante le case e i conventi; i tremebondi abitanti si ammucchiavano per le strade, a guisa di branchi d'impauriti animali, come se dall'unione di lor debolezza avesse potuto scaturire la forza, o sperando fors'anche ciascuno di trovarsi, in mezzo a tanta calca, meglio nascosto e sicuro. Da tutte le bande venivano a rifuggirsi nella chiesa di S. Sofia, onde in men d'un'ora, e padri, e mariti, e mogli, e fanciulli, e preti, e monache, e frati, empievano il Santuario, il coro, la nave, le logge superiori e inferiori del tempio; ne sbarrarono le porte, cercando un asilo in quel luogo sacro che, il dì innanzi ancora, credeano profanato perchè vi aveano celebrato il divin sagrifizio i Latini. La fidanza di questi infelici fondavasi sulla predizione di un fanatico, o di un impostore126, il quale aveva annunziato che i Turchi prenderebbero bensì Costantinopoli e inseguirebbero i Greci fino alla colonna di Costantino sulla piazza rimpetto a S. Sofia; ma esser quello il termine delle calamità di Bisanzo; che un Angelo allora scenderebbe, con una spada in mano dal cielo, e consegnando questa spada e l'Impero ad un poverello seduto ai piedi della colonna, gli direbbe: «Prendi questa spada e vendica il popolo del Signore»; che all'udir tali accenti i Turchi si darebbero a fuga, e che i Romani vincitori scaccierebbero indi il nemico dall'Occidente e da tutta la Natolia sino ai confini della Persia. A tal proposito, Duca, con egual verità ed amarezza, rimprovera ai Greci la loro ostinazione e le loro discordie; «quand'anche, egli esclama, fosse comparso l'Angelo e vi avesse promesso di sterminare i vostri nemici a patto che sottoscriveste l'unione delle due Chiese, credo che in questo fatale momento avreste rifiutata una tal via di salute, ovvero per ottenerla, ingannato il vostro Dio127.

      Mentre i Greci aspettavano quest'Angelo che mai non veniva, i Turchi a colpi di azza atterravano le porte di S. Sofia; e poichè non trovarono resistenza, non vi fu spargimento di sangue, nè ad altro pensarono che a scegliere e custodire i loro prigionieri. La giovinezza, l'avvenenza e l'apparenza della ricchezza guidavano la scelta, e l'anteriorità della presa; la forza personale e l'autorità de' colpi sul diritto di proprietà decidevano. Non era trascorsa un'ora, che i prigionieri maschi si trovavano avvinti con funi, le donne coi loro veli e colle loro cinture: i Senatori vedeansi accoppiati ai loro schiavi, i Prelati ai sagrestani, abbietti giovinastri a nobili vergini, sin allora nascoste alle luce del giorno e fino agli sguardi dei più prossimi loro parenti; cattività che confuse i gradi sociali, e infranse i vincoli della natura; nè i gemiti de' padri, nè le lagrime delle madri, nè le lamentazioni de' fanciulli valsero a movere gl'inflessibili soldati di Maometto. Le più acute grida venivano mandate dalle monache che vedendosi strappate agli Altari, col seno scoperto e colle chiome scarmigliate, stendeano al Cielo le braccia, e dobbiamo credere che poche di esse potessero preferire le grate del Serraglio a quelle del monastero. Già le strade erano piene di questi sciagurati prigionieri, quasi animali domestici, aspramente in lunghe file condotti. Il vincitore frettoloso di cercar nuove prede facea correre, a furia di minacce e di colpi, queste vittime tremebonde. Nello stesso tempo le medesime scene di rapina si replicavano in tutte le chiese, in tutti i conventi, in tutti i palagi, in tutte le abitazioni della Capitale; nè vi furono santità, o solitudine di luogo, che le persone, o la proprietà de' Greci facessero salve. Più di sessantamila di questi infelici, trascinati, o su navigli, o nel campo, vennero cambiati, o venduti giusta il capriccio, o l'interesse de' lor padroni, e dispersi per le varie province dell'Impero ottomano. Giova qui il far conoscere le avventure di alcuni più spettabili di tali prigionieri. Lo Storico Franza, primo Ciamberlano e Segretario dell'Imperatore, cadde, non meno della sua famiglia, in potere dei Turchi. Ricuperata la libertà, dopo quattro mesi di schiavitù, osò nel successivo anno trasferirsi ad Andrinopoli, ove gli riuscì riscattare la moglie che apparteneva al Mir-Basi, o mastro della cavalleria; ma erano stati riservati ad uso di Maometto i suoi due figli, allora nel fiore dell'età e della bellezza; la figlia morì nel Serraglio, forse vergine tuttavia; il figlio in età di quindici anni, preferendo la morte all'infamia, spirò sotto il pugnale del Sultano, che contra il pudore del giovinetto attentò128. Sarebbesi forse Maometto immaginato di espiare un atto sì atroce colla letteraria generosità dimostrata nel far libera una matrona greca e due figlie della medesima, in grazia di un'Ode latina di Filelfo che nella nobile famiglia di questa matrona aveva condotto la moglie129? Molto avrebbe rilevato all'orgoglio, o alla crudeltà di Maometto, il poter aver tra le mani il Legato di Roma. Ma il Cardinale Isidoro pervenne a fuggire da Galata sotto l'abito d'un uom del volgo130; perchè le navi italiane padroneggiavano sempre la catena e l'ingresso del porto esterno. Dopo essersi segnalati per valore que' condottieri, finchè durato era l'assedio, profittarono, per salvarsi, dell'istante in cui il saccheggio della città dava divagamento alle ciurme de' Turchi. Sull'atto di salpare, videro coperta di supplichevoli turbe la spiaggia, ma caricarsi non poteano del trasporto di tanti infelici; i Veneziani e i Genovesi tracelsero i loro compatriotti; e gli abitanti di Galata, senza fidarsi alle promesse che avea fatte ai medesimi Maometto, abbandonarono le proprie case portando seco quanto aveano di più prezioso.

      Nel dipingere il saccheggio delle grandi città, lo Storico si vede condannato agli uniformi racconti di infortunj, sempre i medesimi; perchè le stesse passioni producono gli stessi effetti, e quando queste non hanno più freno, oh come poco l'uom, venuto a civiltà, differisce dall'uomo selvaggio! In mezzo alle esclamazioni vaghe della pietà religiosa e dell'odio, non troviamo che vengano accusati i Turchi di avere versato, pel solo piacer di