che mi fa un vero piacere l'ammirarlo. E prego V. S. d'imprimersi bene in mente i suoi discorsi, per potermene far godere in qualche modo. Io sento un pungente dispiacere di non esser costì, e potere ascoltarlo. Se io fossi capace di fare una Deca di Livio (mi pare dir molto), io cambierei questo piacere col piacere di udir lui. E, per ispalancare il fondo dell'animo mio, ci sono alcuni (non molti) ch'io posso ascoltar volentieri; ma egli è il solo ch'io veramente desidero di potere udire, e in quelle cose ch'io non so, o alle quali non ho pensato; e in quelle nelle quali non penso ora come lui. Egli è il solo (Dio perdonami questa sciocchezza) dal quale io desidererei imparare. Facilmente mi accorderei seco circa i romanzi storici (come si chiaman ora), nè piangerei se il mondo non ne vedesse più. Ma non consento di porre in quel genere i Promessi Sposi; che mi paiono uno stupendo lavoro Senofonteo, un carissimo e utilissimo lavoro; e ben vorrei che Manzoni (ch'egli solissimo può) ne facesse un secondo. Del resto, la sua sentenza su tutte le finzioni è nobilissima; è degna dell'intelletto giunto al suo equatore; e la ricevo nell'anima; anzi già l'avevo, e mi giova di vederla confermata da lui. Oh mi è ora un vero tormento al cuore non esser costì! Ella mi riverisca tanto, con ogni effusion di sentimento quel Manzoni, che è proprio l'idolo de' miei pensieri. Oh (mi viene in mente) quanto son poco degni di lodarlo certi cervellacci frateschi; come per esempio quel frataccio Niccolò [Tommaseo]. Ma di ciò zitto, veda: ch'io non voglio pettegolezzi. Ma se lei come lei potesse destramente sentire che cosa pensa Manzoni di quel sì fanatico e sconvolto cervello, l'avrei caro. E tal gente crede d'avere la religione, la poesia, la filosofia di Manzoni! Ma dov'hanno la sua testa e il suo cuore? Per dio, credo esserne meno lontano io, colla mia impotenza poetica, e la mia piena incredulità. Io gli sono lontano, e io meglio di tutti so il quanto; ma almeno non gli volto le spalle». Il 17 d'agosto rincalza: «Mi riverisca senza fine Manzoni, e molto le sue Signore. Ma è un eccesso di cortesia il dire che a lui abbian potuto in nessun modo giovare le mie parole; perchè io lo vidi troppo poco, a ragione del mio desiderio; e amai molto più (come ancora farei) di ascoltarlo che di parlare; e poco, troppo poco potei goderne, poichè tanti cercavano di occuparlo».
Sei anni dopo, il 27 novembre '38, scrivendo parimente al Grillenzoni, esce a dire: «Compreso Walter Scott, non trovo uno di tanti romanzi, che possa produrre un minimo bene: eccetto l'unico Manzoni; che mi par sempre cosa bellissima e utilissima».
17
All'attrice Maddalena Pelzet, la degna interpetre delle sue tragedie, che era allora a Milano prima donna nella Compagnia Rattopulo, scrisse il 19 febbraio del '29: «Ricordatemi al Bertolotti, alla cui tragedia desidero un esito fortunato: se io fossi, com'egli dice, il primo dei tragici viventi, bisogna dire che si stia male davvero: egli parlerà del Manzoni, le cui tragedie, quantunque non siano per la scena, almeno secondo le nostre abitudini, contengono tante bellezze, che il plauso dell'Europa meritamente lo corona sopra tutti. Voi sapete qual concetto io abbia fatto sempre di questo veramente grand'uomo: ciò che vi scrivo a Milano, ve l'ho detto a Firenze.»
18
In una lettera di Pierfrancesco Leopardi al fratello Giacomo, del 1º giugno '28, si legge: «Avendoci voi scritto una volta che conoscevate il celebre Manzoni, ho pensato di farvi cosa grata col mandarvi una copia dei suoi Inni. Volendo la marchesa Roberti stampare qualche cosa per la monaca Rossi, babbo le propose quest'Inni, e vi fece la dedicatoria. E vi mando questo libro, più perchè leggiate questa, che gl'Inni, perchè m'immagino che lo stesso Manzoni ve li avrà dati a leggere. Fatemi dire in una delle lettere che ci scriverete, dove attualmente si trovi il suddetto Manzoni».
19
Antologia, di Firenze, tom. XXVII, n. 81, settembre 1827, pp. 71-75.
20
Guerrazzi F. D., Manzoni, Verdi e l'Albo Rossiniano, Milano, Tip. Sociale, 1874; p. 73.
21
A proposito di questa scatola scrive lo Stampa [II, 87-88]: «Il Manzoni raccontò (e lo udii colle mie orecchie) «ch'egli aveva l'intenzione di lasciar fuori, come superfluo, l'episodio del P. Cristoforo che, chiamati a sè i due sposi, dice loro: Figliuoli! voglio che abbiate un ricordo del povero frate, e dopo di aver data loro la scatola, lavorata con una certa finitezza cappuccinesca, contenente gli avanzi di quel pane, dice loro: Fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo… dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino anche loro, per il povero frate! Ma per l'appunto il consigliere abate don Gaetano Giudici non gli permise assolutamente quella ommissione, dicendo che era il più bello e commovente episodio del romanzo». Il figliastro gli chiese la ragione di questo taglio che avrebbe voluto fare, e rispose: «Che vuoi!.. a me pareva un di più».
22
L'editore Gaspero Barbèra, che il 7 settembre del '50 visitò il Guerrazzi in prigione, racconta: «Saputo che ero allora allora ritornato da un viaggio in Lombardia e nel Veneto, il discorso è caduto sul Grossi… Del Manzoni ammirava più l'Adelchi e il Carmagnola, che non i Promessi Sposi; osservando che la lingua onde questi sono scritti non è cosa da menare quel gran rumore che se ne faceva, dacchè quando un toscano parla anche da sguajato, un po' più un po' meno, dice quelle frasi che nei Promessi Sposi si vedono collocate a far mostra di sè». Cfr. Barbèra G., Memorie di un editore, Firenze, 1883; pp. 81-82.
23
Il Giordani ne' suoi Pensieri per uno scritto sui Promessi Sposi loda il Manzoni di «aver creato nuovo odio ad antichi rei di calamità italiane», al «dominatore straniero e lontano, ignorante e crudele, superstizioso ed improvvido». Cfr. Giordani P., Scritti editi e postumi; IV, 132-134.
Giosuè Carducci, applaudendo in Lecco «all'interezza dell'arte in Alessandro Manzoni», disse che «fece del romanzo la gran vendetta su 'l dispotismo straniero e su 'l sacerdozio servile ed ateo». Cfr. Carducci G., Confessioni e battaglie, serie seconda, Bologna, Zanichelli, 1902; pp. 306-309.
24
Mamiani T., Manzoni e Leopardi; nella Nuova Antologia, vol XXIII [1873], pp. 757-782.
25
Luzio A., Giuseppe Acerbi e la «Biblioteca italiana»; nella Nuova Antologia, serie IV, vol. LXVI, fasc. 23, 1º decembre 1896, p. 481.
26
Il De Müller del 1829 venne in Italia e vi dimorò alcuni mesi. Nelle sue Memorie, che son rimaste inedite, descrivendo quel viaggio, parla a lungo della visita che fece al Manzoni a Brusuglio. Un brano di questo episodio fu pubblicato a Weimar nel 1832 col titolo: C. W. Müller, Goethe's letzte lit. Thaetigkeit, e poi per intiero venne messo alle stampe nel 1871 da C. A. H. Burkhardt nel n. 45 del Magazin für die Literatur des Auslandes. Ne dette la traduzione L. Senigaglia nella Rivista contemporanea, di Firenze, ann. I, vol. II, pp. 359-365.
27
Les Fiancés, histoire milanaise du XVII siècle, découverte et refaite par Alexandre Manzoni; traduite de l'italien sur la troisième èdition par M. Rey Dussueil, Paris, Ch. Gosselin et A. Sautelet, 1828; 5 vol. in-12º. Prix, 18 francs. Il traduttore vi premise un Essai sur le roman historique et sur la littèrature italienne, che fu voltato in italiano dal giornale milanese La Vespa [ann. II, 1º semestre, pp. 225-230 e 276-279], facendovi, in nota, alcune osservazioni critiche. «En revoyant notre travail» (così il Rey Dussueil nell'Essai), «nous aurions pu faire aisèment disparaître toutes les tournures qui s'éloignent un peu des tournures françaises; mais ce n'était point une traduction que nous voulions donner au public; c'était, autant que possible, l'ouvrage de M. Manzoni». La Revue encyclopèdique [tom. XXXVIII, pp. 488-490] gli fece osservare: «Pour donner au public l'ouvrage de M. Manzoni, il fallait avant tout lui donner un livre bien écrit». Parlò di questa traduzione anche la Bibliothèque universelle de Genève, nuova serie, tom. III [1836], p. 268.
28
Il 29 settembre del '28 la Gazzetta di Firenze nel suo n.º 109 dava questo annunzio: «La lettura del romanzo i Promessi Sposi dipinge