della conversione, la cosa sarebbe troppo ita in lungo, so che allora sarebbe stato assai più difficile rendere teatrale e romanzesca quella conversione: so in fine che nella pittura del nostro Manzoni, c'è tanta profondità da ammirare, che non è quasi lecito il mostrare desiderio di quello che manca».
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L'
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Singolare è questa lettera del Tommaseo al Vieusseux, scritta da Milano il 12 novembre del '26: «Manzoni forse per la primavera vegnente verrà con la famiglia a Firenze… Del resto, se egli venisse a Firenze, vedreste un uomo che dall'assenza di ogni singolarità è reso agli occhi d'ognuno che non gli dissomigli, affatto singolare e mirabile. Una statura comune, un volto allungato, vaiuolato, oscuro, ma impresso di quella bontà che l'ingegno, non che guastarla, rende più sincera e profonda: una voce di modestia e quasi di timidità, cui lo stesso balbettare un poco giunge come un vezzo alle parole, che paiono escir più mature, più desiderate: un vestito dimesso, un piglio semplice, un tuono famigliare, una mite sapienza che irradia per riflessimento tutto ciò che a lui s'avvicina… Questo è l'uomo direste, il cui nome sarà simile di qui a mill'anni, adorato, com'io venero oggi il suo volto. Questo è l'uomo che in ogni via che calcò impresse un'orma indelebile; che ha divinizzata la tragedia, che ha insegnata agl'Italiani la vera via della storia; che ha fatto il romanzo la lettura del Genio e della Virtù; ch'ebbe amici i più buoni del secol suo; che fu pio, semplice, generoso; che trasse il suo genio dal cuore: e potreste aggiungere (questo è forse il maggiore degli encomii) che fu visto più d'una volta piangere sulle sventure degl'infelici».
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Il Rigutini ristampò il vecchio articolo dell'
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Tommaseo N.,
Cfr.
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Tommaseo N.
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Nacque a Novara il 12 febbraio del 1803; si laureò in legge a Pavia; presa la carriera della magistratura, al pane onorato del suo forte Piemonte e de' suoi vecchi Re preferì quello dell'Austria, e morì il 9 ottobre del 1850, consigliere dell'I. e R. Tribunale criminale di Milano.
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Il Visconti fa in margine l'osservazione seguente: «Lascerei come una inezia questo cenno sul Griso. Ha del rettorico o per dir meglio del Tassesco:
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È il famoso Azzecca-garbugli, che prima chiamò
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Valente. [Postilla del Visconti].
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Quest'episodio è un brano del capitolo III del tomo III. (Ed.)
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Lascerei queste righe, per dare maggiore brevità, e perchè queste acclamazioni sono cosa troppo simile alle altre in cui Lucia fu nominata plaudendo al Cardinale. [Postilla del Visconti].
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Un asilo, caro Alessandro, pare che il Cardinale voglia metterla in monastero a fare il noviziato. [Postilla del Visconti].
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È un brano del capitolo IV del tomo III. (Ed.)
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Il consiglio chiesto dal Cardinale mi piace, ma assai. Rialza in un modo inaspettato il Conte dopo la sua conversione, lo rende sempre più vivo. Ma bada bene: che il Cardinale aveva ordinato la lettiga subito dopo aver parlato coi preti, e l'ultimo consiglio dev'essere quello del Conte, come il più di peso. Non ti spiacerebbe di soggiungere in quel luogo dopo le parole:
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Lascerei
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Di fianco alla presente risposta di Federigo e alle parole del Conte:
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Leverei la
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Leverei
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Non sarebbe meglio,
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È un altro brano del capitolo IV. «La scena del Conte merita un capitolo a parte», scrisse il Visconti in margine al principio dell'episodio; soggiungendo: «In questa porzione del Romanzo giovano, mi pare, i periodi piuttosto brevi: e contenenti un oggetto solo, per quanto si può. Dunque: Capitolo… (quello che sarà).
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Dal paese di Lucia. (Ed.)
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A cominciare dalle parole:
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Lo ribattezzò poi col nome di
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Divenne poi
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È un brano anche questo del capitolo I