posso stare qui... devo vederla, devo andare a confortarla» insisté lui con le lacrime agli occhi. Si svincolò dall’infermiera e cercò di dirigersi verso l’ingresso del reparto, la donna fece un cenno ai due Signori dell’Ordine di guardia e questi gli sbarrarono il passo. Giuda cercò di passare con la forza e loro finsero di lasciarlo andare, poi lo immobilizzarono da dietro e lui sentì un ago penetrargli nel braccio. Gridò e cercò di divincolarsi ancora per un secondo appena, quando riaprì gli occhi si trovava disteso su una lettiga. Si sentiva ancora intontito dal sedativo e tutte le sue percezioni erano distorte, i Signori dell’Ordine lo accompagnarono da sua moglie sorreggendolo per i gomiti perché non riusciva a stare in piedi. Appena la porta si aprì, gli occhi gonfi e cerchiati di viola di Nicole si illuminarono, tutto sommato si sentiva sollevata perché era tutto quanto finito. Quello che accadde dopo, Giuda lo visse come in un sogno, con i contorni delle cose sfuocati e i suoni che gli echeggiavano nella testa. Si inginocchiò a fianco del letto e prese tra le sue la mano di sua moglie, che pendeva di lato.
«Lasciateci soli» mormorò. L’infermiera e i Signori dell’Ordine uscirono, lui si sporse su di lei sforzandosi di trattenere le lacrime. Le carezzò il viso e le scostò i capelli ancora bagnati dal sudore, che le stavano disordinatamente appiccicati sulla fronte e sul collo. Le vene erano ancora dilatate per lo sforzo e qualche capillare si affacciava ora sulle guance vellutate, a striarle di blu, un macchinario emetteva periodicamente un lugubre “bip”.
«Come ti senti?» le chiese, lei sorrise lievemente per fargli coraggio.
«E’ andata male, ma non potevamo farci niente. Sono felice di averci provato e di essere rimasta nel giusto... anche così, con gli occhi chiusi, il nostro bambino era bellissimo... ma adesso sento freddo, tanto freddo.»
«Non parlare, non devi sforzarti... appena uscirai di qui ti porterò al mare» disse lui sfregando forte la sua mano gelida, poi le tirò su il lenzuolo fino al collo. «Vedessi com’era bello, stamani, così azzurro e calmo. E poi ce ne andremo anche in montagna, davanti al nostro caminetto, a bere l’Abetello. Ci scalderemo a vicenda e staremo stretti stretti. Porteremo con noi anche Jodie, in queste ultime settimane non le siamo stati molto vicini...»
«Non mentire, lo sai che tutto questo non accadrà » lo rimproverò lei.
«Ma cosa stai dicendo?» replicò lui stringendo ancora più forte la sua mano, che si stava facendo sempre più fredda.
«Spero solo che un giorno mi perdonerai per avervi abbandonato. Sai, poco fa ho visto un prato bellissimo, c’era una porta aperta a spiraglio dalla quale usciva una luce intensa. In lontananza c’era lui, e poi ho visto anche i miei genitori e molte altre anime. Erano vestite di tuniche candide, che odorano di profumi così meravigliosi che prima non avevo mai sentito niente di simile.» Il “bip” accelerò e lei ebbe un sussulto, ma continuò a sorridere guardando un punto invisibile.
«Non dire sciocchezze, vedrai che tra un po’ starai meglio» avrebbe voluto dirle Giuda, ma le parole gli morirono in gola. Si girò e fece un cenno all’infermiera, che li guardava attraverso il vetro senza avere il coraggio di entrare, Nicole aprì bocca come se volesse dirgli qualcosa, ma tacque.
«Ti prego, non lasciarmi solo!» la implorò lui.
Lei raccolse le poche forze che ancora le restavano, ormai respirava a fatica.
«Non sei solo, hai Jodie. Promettimi che la proteggerai sempre e che rispetterai la Legge. Promettimi che farai di lei una persona giusta, una persona onesta... io e il bambino veglieremo su di voi da lassù, vi aspetteremo insieme. Promettimelo ripeté.»
«Te lo prometto, te lo prometto, ma tu non lasciarmi. Non lasciarmi, ti prego... infermiera... infermieraaa!»
Di colpo, Giuda si accorse di non avere più voglia di niente. Un dolore sordo lo aveva precipitato in un baratro fatto di ricordi confusi e sensi di colpa, fino ad annientarlo completamente. Jodie aveva smesso di mangiare e di parlare, tutto ciò che faceva era continuare a fissarlo in silenzio, con quella sua espressione perennemente triste, e lui non si sentiva forte abbastanza per riuscire a consolarla. Era pienamente consapevole che il Sistema non gli avrebbe lasciato crescere sua figlia da solo, se non avesse trovato in fretta una nuova compagna avrebbero ibernato lui e affidato Jodie a un’altra famiglia. Quindi, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a dimenticare Nicole, tentò comunque di ricominciare, per impedire che il destino gli portasse via anche sua figlia. Si sarebbe accontentato di trovare una brava donna che lo aiutasse a far sentire mia figlia meno sola, ma ogni volta che ne conosceva una tornava a rendersi conto che nessuna, mai, sarebbe riuscita a colmare il vuoto lasciato da sua moglie. Quindi ogni volta si ripeteva il solito assurdo rituale: Giuda si allontanava con una scusa e tornava a casa, dove trascorreva il resto della notte a guardare vecchie fotografie in compagnia di Jodie, piangendo.
PARTE III
L’ALIENO
A causa della precipitosa discesa attraverso l’atmosfera terrestre, il grande disco metallico dorato si era arroventato fino a diventare di un colore rosso incandescente. L’umanoide si affacciò all’oblò e osservò scioccato l’immensa distesa di terra arida e inospitale, sormontata a malapena da qualche protuberanza di roccia di colore chiaro.
Sono finito nel bel mezzo di un deserto si disse sconfortato, subito dopo tornò alla console di comando e prese a digitare freneticamente su qualcosa di simile a una scacchiera. “Motori di spinta primaria fuori uso causa mancanza di energia. Tempo di carica delle batterie con una sola stella, quantificato in trentaquattro anni terrestri. Temperatura delle strutture in fase di assestamento”, significavano i segni cuneiformi che comparvero sullo schermo giallo. Deluso, l’Alieno si disinteressò al computer e tornò a guardare oltre l’oblò nella speranza che gli venisse un’idea, ma si arrese subito. Sul suo pianeta, l’energia luminosa fornita dalle tre stelle avrebbe ricaricato le batterie in pochissimo tempo. Ma sulla Terra c’era un Sole soltanto, lui non aveva modo di amplificare l’effetto dei suoi raggi sui ricettori della navicella spaziale, non disponeva del materiale né degli strumenti necessari. Si rese conto che il problema era palesemente irrisolvibile e sui si rassegnò all’idea di aspettare passivamente trentaquattro lunghi e noiosi anni terrestri. Ebbe un moto di stizza e tornò a interrogare il computer, per avere i dati dell’Analisi Ambientale.
“Temperatura esterna 40 gradi terrestri. Quantità di luce nettamente insufficiente al fabbisogno energetico. Atmosfera costituita di Azoto, Ossigeno, Carbonio, umidità percentuale tendente a zero. Probabilità di sopravvivenza in questa zona del pianeta inferiore al tre per cento, causata dalla scarsità di acqua e della concentrazione minima di Anidride Carbonica sovrastata dall’alta percentuale di Ossigeno libero. Tempo limite di permanenza nell’ambiente esterno stimato in dieci giorni terrestri. Fasi successive conseguenti a un’esposizione eccessiva all’ambiente esterno: deficit energetico, immobilizzazione, stato prolungato di subcoscienza, perdita totale di coscienza, decesso dovuto a progressivo avvelenamento. Soluzione consigliata: Trasferimento Corporale. Fine rapporto” sentenziò il cervellone, impietoso. L’Alieno si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete, lentamente, finché si ritrovò seduto con le braccia giunte intorno alle gambe esili. Ripensò al documentario inerente al Pianeta Terra, uno dei tanti che aveva visto durante la lunga traversata spaziale, e chinò la testa depresso.
Con tutti i mondi abitati che esistono, sono finito proprio sul pianeta popolato dalla più stupida tra le razze in via di evoluzione! Non dispongono di una tecnologia in grado di aiutarmi, per di più sono estremamente superstiziosi e privi di qualsiasi apertura mentale. Se mi vedessero in queste sembianze mi considererebbero un mostro, non esiterebbero a uccidermi all’istante. Non ho modo di cercare un luogo più vivibile, ma se anche lo trovassi non riuscirei a stare nascosto per tutto quel tempo. Non ho altra scelta che effettuare il Trasferimento Corporale. Dovrò trasformarmi in uno di loro e per molti anni sarò vulnerabile, almeno fin quando la coscienza di me non riprenderà il sopravvento. Per riuscire a sopravvivere per tutto quel tempo in un mondo così incivile avrò bisogno di una buona dose di fortuna, ma per allora le batterie saranno cariche e potrò ripartire alla volta di Igos. No, non ho altra scelta... allora tanto vale che lo faccia subito!