Andrea Lepri

Dal Vangelo Secondo Giuda


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pazzo, che mi guarda col coltello in mano e ride. “Capirai, presto capirai” mi bisbiglia all’orecchio con la sua voce stridula, digrignando i denti gialli, e quello scricchiolio mi fa rabbrividire. Vorrei gridare e fuggire, oppure ucciderlo premendo quel dannato pulsante di sparo, ma non riesco a fare niente di tutto questo. La mia mano trema e non riesco a fare fuoco, ogni volta che lo perdo di vista mi ricompare alle spalle e ricomincia da capo, e io posso soltanto piangere, paralizzato a terra, mentre lui infierisce su di te. E allora mi sveglio di soprassalto pensando che sono un miserabile, che se mi fossi comportato da uomo tutto questo non sarebbe successo.»

      Mentre ascoltava le sue parole, Nicole si era come trasformata, aveva giunto le mani sulle ginocchia e le sue spalle si erano curvate in avanti come quelle di una vecchia. Pian piano aveva assunto l’espressione sconfitta di chi viene bruscamente svegliato da un sogno bellissimo, che pur desiderandolo con tutto sé stesso non riesce a riaddormentarsi per riprenderlo da dove l’aveva lasciato.

      «Io penso che se restiamo uniti ce la possiamo ancora fare» mormorò con un filo di voce, ma a Giuda sembrò che le sue parole avessero tutta l’aria di una preghiera, più che di un’affermazione.

      «Smettila di illuderti, smettila dannazione!» urlò, esasperato dai suoi modi rassegnati, si alzò di scatto e ribaltò il tavolino con un calcio. Lei sussultò per lo spavento e si rannicchiò in sé stessa, intimorita dalla sua reazione, lui l’afferrò per le spalle.

      «Devi guardare in faccia la realtà!» continuò a gridarle, scuotendola. «Probabilmente il bambino verrà alla luce già morto, e tu stessa rischi di morire! Di morire, capisci cosa voglio dire? Di abbandonare me e Jodie, di lasciarci soli per sempre!»

      «Lasciami, mi stai facendo male!» strillò a sua volta Nicole spingendolo via, sconvolta. Lui aveva preso a camminare avanti e indietro per la stanza, imprecando e dando pugni alle pareti come un matto.

      «E se il bambino non morirà» continuò, «nascerà con dei problemi gravissimi, e sarà l’unico o quasi, in un mondo popolato da esseri perfetti. Un mondo popolato da persone che non prendono mai un raffreddore, che vivono felici. Conoscerà l’emarginazione e i soprusi perché sarà debole, e l’ipocrisia, perché chi ha una bella vita non vuole vedere il dolore altrui neanche da lontano, non vuole nemmeno sfiorarlo. Che razza di vita sarà la sua? Avanti, rispondi! Che vita sarà?» le gridò in faccia con tutto il fiato che aveva.

      «Ora basta» mormorò lei. «Non puoi pensare davvero queste cose, non puoi essere così egoista. Non sei più l’uomo che ho sposato. La Legge parla chiaro, Dio dà la vita e Dio la toglie. Nessuno, se non lui, può decidere dei nostri destini. Nessuno, se non lui, può sapere cosa è giusto per noi e cosa no!»

      «Ma se Dio ci ama così tanto, perché allora ci sottopone a queste prove? Perché la vita di mia moglie e di mio figlio sono appese all’esile filo di una preghiera?» replicò lui a denti stretti. Appena finì la frase, la mano di Nicole partì veloce e lo colpì con tanta violenza da fargli girare la faccia dall’altra parte.

      «Stai bestemmiando! Come pretendi di poter giudicare Dio se non puoi neanche lontanamente arrivare a immaginarlo? Come puoi pretendere di spezzare questa vita dentro me che cresce attimo dopo attimo? Se qualcuno ti sentisse anche soltanto parlare così finiresti nella Prigione Psicologica, ti ci lascerebbero marcire fino alla fine dei tuoi giorni» gridò, poi ricominciò a piangere e salì le scale di corsa, per andare a chiudersi in camera.

      Quella discussione rappresentò il colpo di grazia per il rapporto tra Giuda e Nicole, che da quella sera si trovarono completamente distaccati. L’ultima decisione che presero di comune accordo fu quella di mandare lontano Jodie per qualche tempo, prendendo a pretesto una vacanza studio. Nicole si chiuse definitivamente in sé stessa mentre lui, incapace di dedicarsi a qualsiasi cosa, cominciò ad assentarsi sempre più spesso dal lavoro. Andava a trascorrere il tempo sulla cima di un piccolo promontorio che scendeva a picco sul mare, si sedeva su di un masso e fissava per ore la linea curva dell’orizzonte. Guardava in lontananza i delfini che saltavano e si rituffavano nell’acqua, felici e giocosi, vedeva scintillare al sole le loro pinne argentee e quasi li invidiava.

      Shasa si aggirava eccitata nei locali semibui dai soffitti bassi, silenziosa come un fantasma. Rovistava freneticamente in ogni angolo e in ogni cassetto, in ogni mobile. Quel rituale la emozionava così tanto che o ogni volta era come se fosse la prima volta. Aveva l’abitudine di arrivare lì un poco prima degli altri per potersi permettere quel lusso, era rischioso e lei lo sapeva, ma quello era il suo piccolo grande segreto e non vi avrebbe rinunciato per niente al mondo. Sebbene conoscesse ormai alla perfezione quel luogo e tutto ciò che vi si trovava dentro, ogni volta era più forte di lei: ricominciava daccapo alla ricerca di un particolare che poteva esserle sfuggito, nella speranza che, come per magia, prima o poi avrebbe trovato qualcosa di nuovo e interessante. Fece un piccolo balzo per buttare uno sguardo sul davanzale polveroso della finestrella posta in alto, nel farlo urtò la lampadina sospesa a mezz’aria che prese ad oscillare in modo irregolare. Un riflesso a terra attirò la sua attenzione, era lo scintillio di una chiave. Si chiese come potesse non averla mai notata prima. Eppure era lì ben visibile, e continuava a rimandarle ritmicamente il bagliore riflesso della luce artificiale come se la stesse chiamando. Non osava sperare che fosse proprio quella che apriva la pesante porta dell’armadio in ferro, l’unico luogo del covo che non era mai riuscita ad esplorare. Il cuore prese a batterle impazzito, lei raccolse la chiave con mani tremanti e raschiò via alla meglio un po’ di ruggine, poi ci sputò sopra per lubrificarla. Soffiò più volte nella toppa per eliminare la polvere e infilò la chiave, quando finalmente riuscì ad aprire la porta rimase allibita: l’armadio era quasi completamente pieno di sigarette. Non circolavano più da oltre quarant’anni, da quando nel 2137 erano state definitivamente proibite, e lei non ne aveva mai vista una dal vivo. Spinta dalla curiosità aprì convulsamente un pacchetto, ne prese una e la mise tra le labbra, impreziosite da un piccolo neo posto appena sopra quello superiore. Dopo essersi atteggiata per un po’ a donna fatta, ammirando il proprio riflesso sulla lastra di vetro che ricopriva il piano di un tavolo, decise di provare ad accenderla. Appoggiò la sigaretta sulla superficie incandescente della lampadina e cominciò ad aspirare forte.

      «Shasa!» tuonò d’improvviso una voce autoritaria. «Accidenti, ti ho detto almeno mille volte che non devi venire qua da sola. Sei troppo testarda, se continui a trasgredire le regole prima o poi dovrò cacciarti dal gruppo! Non possiamo rischiare di farci scoprire soltanto perché tu devi assecondare la tua assurda mania, possibile che tu non arrivi a capirlo?»

      Il fumo le era andato di traverso e le usciva dal naso mentre tossiva, i grandi occhi color nocciola si erano fatti scintillanti a causa delle lacrime represse.

      «Ma come fai a saperlo? Per caso mi hai spiata?» replicò lei sorpresa.

       «Che cos’hai hai tra le dita?» le chiese Freddy senza rispondere alla sua domanda.

      «Lascia perdere,» rispose lei con la voce strozzata, «dove sono gli altri piuttosto? Ogni volta arrivano sempre più tardi, forse non hanno compreso appieno l’importanza del nostro compito.»

      «Sono solo» rispose l’imponente figura dai capelli mossi continuando a scrutarla severamente da dietro il massiccio tavolo di legno, sul quale erano poggiati un computer e vari dispositivi ad alta tecnologia. «E poi, dove diavolo sei stata in tutti questi giorni? Ti ho cercata in tutti i posti convenzionali per avvisarti di non venire qua, sai bene che dobbiamo fare in modo di essere sempre reperibili.»

      «Ma perché, che è successo?» domandò lei abbandonando per un attimo abbandonò i suoi modi spavaldi. Quando assumeva quell’espressione, se non fosse stato per le striature rossastre sui capelli lisci e scuri, e per una lieve asimmetria di un dente incisivo che le donava un aspetto dolce, avrebbe dimostrato ben più dei suoi ventidue anni.

      «Dobbiamo andarcene subito da qui, presto verrà Andy a portare via tutto il materiale.»

      «Va bene, ma vuoi deciderti a dirmi che cosa è accaduto?» chiese di nuovo Shasa.

      «Ero finalmente riuscito a penetrare nell’Archivio Storico usando un Cavallo di Troia, ma mentre stavo leggendo alcune informazioni riservate sul “Giorno