lesse i referti:
«Asociale e depresso, frequenti stati di disordine mentale, cenni di schizofrenia e manie persecutorie... direi che non c’è male! Ma stia tranquillo, la guariremo!»gli disse sorridendo, poi controllò che le cinghie che gli immobilizzavano braccia e gambe fossero ben salde.
Le pareti dell’antico magazzino puzzavano di muffa, alcuni ventilatori appesi al soffitto continuavano a cospargere di polvere le teste delle sei persone riunite attorno al tavolo. Il materiale tecnologico era stato disposto al centro del ripiano tarlato e stonava con il resto dell’arredamento, fatto di vecchi mobili ricoperti di lenzuola e ragnatele.
«Per quanto tempo ancora dovremo continuare a vivere in questo modo, a nasconderci come topi?» sbottò Tony rompendo subito il silenzio. Era alto e magro, abbronzato, i suoi occhi piccoli, tagliati come mezzelune, si accendevano ogni volta che sorrideva o che osservava qualcosa con attenzione. Due fini baffetti neri addolcivano la sporgenza eccessiva del suo naso, lievemente appuntito. Era nervoso nel corpo come nel carattere e meticoloso per natura, ogni volta che c’erano quelle riunioni sbraitava di continuo per ogni nonnulla. Gli altri stavano distrattamente cercando di trovare la posizione più comoda per affrontare l’attesa, che presumibilmente sarebbe stata lunga.
«Per quanto tempo ancora dovremo sopportare che i nostri familiari e i nostri amici vengano deportati?» continuò lui. «L’Ibernazione Transitoria non è altro che una schifosa truffa, per quanto tempo ancora dovremo continuare a fornire i nostri cuori e i nostri polmoni agli anziani del Consiglio?»
«Adesso basta,» lo interruppe Shasa, «tutte le volte è sempre la stessa storia. Tutte le volte ci sommergi con le tue paranoie, come quando t’impunti che qualcuno di noi ti ha guardato in modo strano e allora vuoi sapere a ogni costo perché. Lo sai che questi discorsi non mi piacciono, niente di quello che dici è stato dimostrato. Personalmente, finché non l’avrò vista coi miei stessi occhi, mi rifiuto di credere a una simile crudeltà» concluse, poi aspirò dalla sigaretta infossando le guance e spinse fuori dalle narici due getti di fumo. Si ricongiunsero senza fretta per salire verso il soffitto, avvolgendosi in fantasiose spirali, la luce trasversale che entrava dalla finestra posta in alto le tagliò a fette creando affascinanti arabeschi.
«E tu invece smettila di fumare, in questo buco l’aria è già abbastanza pesante!» le disse in tono risoluto Jack, il cui carattere era in netto contrasto con l’aspetto fisico. Aveva le spalle strette e la pancia pronunciata, i fini capelli lisci e radi, di un colore biondo sbiadito, facevano poca ombra sul suo viso perennemente pallido. Sotto pelle chiarissima del volto si intravedevano a tratti le sue vene, mentre i piccolissimi occhi celesti, distanti tra loro, non si mostravano affatto. La bocca era atteggiata in una piega neutra, a dare l’impressione di una persona alla quale va sempre bene qualsiasi decisione.
«Sono felice che abbiamo dovuto lasciare l’altro covo, così quando avrai finito quelle dannate sigarette non potrai procurartene altre!» aggiunse.
«Già, vorrei proprio sapere come ci sono arrivati, a scoprire l’altro nascondiglio. Forse tu ne sai qualcosa!» replicò malignamente lei guardandolo dritto negli occhi, poi sbuffò di proposito il fumo nella sua direzione.
«Allora non mi sono spiegato bene...» fece lui, alzandosi a torreggiare minacciosamente su di lei.
«Smettetela!» intervenne Andy, afferrò per un braccio Jack e lo tirò giù a sedere. «Siamo arrivati a un buon punto, così come i nostri fratelli delle altre comunità. Finalmente tra un po’ arriverà il momento di entrare in azione, questo non certo è il momento di perdersi in questi giochetti!»
«Voi credete davvero che ce la faremo? A volte penso a come potrebbe essere il mondo tra qualche mese e mi sembra di sognare, ho paura di illudermi inutilmente...»
«Te l’ho già detto mille volte. Se non te la senti farai meglio a tirarti subito indietro» la punzecchiò Jack.
Gli occhi di Shasa si accesero d’ira, aprì bocca per replicare ma Tony la zittì con un gesto della mano.
«Sta arrivando qualcuno» sussurrò andando ad acquattarsi dietro la porta. Questa si aprì lentamente e lui ne seguì il movimento, quando l’uomo entrò si ritrovò immobilizzato da una perfetta presa di Judo.
«Quando la finirai di arrivare in ritardo?» gli ringhiò all’orecchio. «Ci hai fatto prendere una fifa del diavolo!»
«Ma la riunione non era alle quattro?» balbettò incerto il nuovo arrivato, Tony non rispose. Lo spinse verso il suo posto e andò a serrare la porta, poi vi poggiò contro una spessa lastra di polistirolo per attutire i rumori verso l’esterno.
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