Delio Zinoni

Lia


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metterli in ordine. La gente crede che fare il libraio sia facile. Nulla di più errato! Ci sono milioni di titoli, antichi e moderni; decine di migliaia di autori. Stampatori, editori, lingue e alfabeti. Occorre discernimento e cultura, pazienza e acume. E poi, di fronte al modesto prezzo di poche lire, o di misere piastre, storcono il naso! Ma un libro è stato pensato e scritto in lunghe notti di veglia; la carta macerata e pressata, i caratteri composti, ordinati, impressi. Le pagine cucite e rilegate. Il volume trasportato per mare e per terra, fino alla bottega del povero Arno di Morraine. Può essere letto e riletto da un numero illimitato di persone per un numero illimitato di volte. Eppure lo pagano una volta sola! – Alzò le mani al cielo, come chiamandolo a testimone di un’ingiustizia.

      Io mi dedicai allo studio dei libri usati. Titoli ed autori mi erano per la maggior parte ignoti. Alcuni che suscitarono la mia curiosità li estrassi e li sfogliai. Arno Borissein, nel frattempo, aveva deciso di fidarsi di me e si era nuovamente eclissato.

      Nel ripiano più basso scorsi un titolo promettente: Tragiche Historie. Si trattava di una raccolta di canovacci, scheletri di tragedie, senza alcuna grazia di stile o ricchezza di concetti, ma non privi di un fascino che derivava dalla loro essenzialità. Una cosa la rendeva preziosa ai miei occhi: la presenza, fra le sue pagine, della storia di Teseius e Phenissa.

      Portai il volume sul bancone, per sfogliarlo meglio, e i miei occhi furono nuovamente attratti dalle mappe. Alcune erano arrotolate, altre ripiegate più volte; la carta era spessa, ma in genere ingiallita, con i bordi frastagliati; alcune mostravano i fili di un tela sottostante, che serviva a renderle più resistenti. Una sola appariva in buono stato; la presi, e la riconobbi subito: era quella che aveva studiato da ultimo l’alchimista.

      Quando la toccai, mi parve di avvertire un brivido lieve: era liscia ma leggermente morbida, come un velluto finissimo. L’aprii, sperando di vedere il mare azzurro e profondo... I colori erano vividi, come appena stampati, ma dopo tutto era una normale mappa, e per di più illeggibile, a causa dei caratteri stranieri. Provai a inclinarla in varie maniere rispetto alla luce della lampada, ma la mappa continuò a negarmi le sue meraviglie.

      Non mi ero ancora deciso a ripiegarla, quando riapparve Arno Borissein.

      â€“ Fai attenzione. Le mappe sono fragili.

      â€“ Questa... quanto costa? – mi sorpresi a chiedere.

      â€“ Ancora non hai deciso cosa vuoi? Ti avverto: è cara. Appartiene alla Prima Era. Non meno di otto lire!

      Era una cifra esorbitante, per una mappa inutile, e lo feci notare al libraio.

      â€“ Inutile! – Arno alzò le mani al cielo. – Che ne sai tu?

      Prese il volume delle Tragiche Historie. – Forse che queste servono a qualcosa? Ma la gente accorre a vederle, paga per sentirle recitare su un palcoscenico, magari da attori privi di talento!

      L’argomento era doloroso, e preferii lasciarlo cadere. Tuttavia c’era qualcosa che non mi convinceva nel ragionamento di Arno.

      â€“ Le commedie sono fatte per essere recitate, le mappe per trovare dei posti – obiettai.

      Arno Borissein sbuffò esasperato. Ma dopo un attimo, come fra sé, mormorò: – Alla fine, il teatro e le mappe sono solo degli espedienti per sognare.

      Di nuovo Arno Borissein se ne andò, ed io di nuovo rimasi solo. La mappa mi attirava in maniera incomprensibile. La spostavo sul bancone, mi rimettevo nella posizione di due sere prima, cercando inutilmente l’abisso del mare e l’asprezza degli scogli e il tremolio delle foglie. Forse, dopo tutto, aveva ragione Arno, e me l’ero solo sognato...

      Entrò un cliente. Arno lo servì, poi tornò da me con aria impaziente. E ancora una volta, come mi stava accadendo troppo spesso negli ultimi tempi, mi accorsi di aver parlato prima di pensare.

      â€“ Chi era quel signore che voleva acquistarla, l’altro giorno? – Arno ci mise un momento prima di rispondere. Il tempo che impiega una falda di neve per cadere da un tetto.

      â€“ Ah... l’Adepto. – Alzò le spalle. – No, non voleva comprare nessuna mappa. È sempre così. Chiedono le cose più strane, fanno perdere tempo, poi non comprano niente.

      Non capii se parlava in particolare dell’alchimista, o in genere dei suoi clienti.

      â€“ Ma... viene spesso?

      â€“ Oh, no. Molto raramente. Rimangono quasi sempre chiusi in casa. I maestri, poi, non si fanno mai vedere.

      Stavo per chiedere dove rimanevano chiusi, ma poi pensai che non ce n’era bisogno.

      E alla fine, dopo aver molto mercanteggiato, uscii dalla bottega di Arno Borissein con la mappa e le Tragiche Historie, al prezzo complessivo di cinque lire e sei piastre. Che era più o meno tutto quello che avevo in tasca.

      Chiuso nella mia stanza, mi misi a studiare la mappa. Era diventata quasi un’ossessione per me. La guardavo sotto ogni angolazione, alla luce del sole e della luna, dalla lampada ad olio e della candela. Niente...

      O quasi.

      Mi ero messo in testa l’idea impossibile di decifrarne la lingua sconosciuta. Avevo compilato un elenco di segni, che raggiungeva un numero esorbitante per qualsiasi normale alfabeto. Molti dovevano essere simboli, e infatti comparivano più volte sulla mappa vera e propria, e di solito una volta sola nelle iscrizioni lungo i bordi. Ma c’erano singolari discrepanze che rendevano impossibile riconoscere una vera e propria legenda. Alcuni segni, poi, si presentavano in forme diverse ma simili: mere varianti grafiche, o lettere diverse? In base all’oggetto indicato, decifrai in via ipotetica tre parole: fiume, monte, e baia.

      Avevo diviso la mappa in settori, che non corrispondevano peraltro a quelli tracciati sulla carta, e che presentavano una bizzarra e apparentemente inutilizzabile combinazione di linee verticali, orizzontali e radiali: queste ultime che si dipartivano da due centri situati in maniera apparentemente arbitraria.

      La notte era inoltrata e l’olio della lampada stava per finire. Chiusi gli occhi per la stanchezza. Forse mi assopii per qualche momento. Quando li riaprii, volavo. Sotto di me c’era il mare, attraversato da una striscia abbagliante di sole nascente. C’era l’isola verdeggiante, a forma di testa di cigno, con una laguna che si insinuava formando quasi il suo occhio, un molo e bianchi fili di strade. Al centro dell’isola, sul punto più alto, un grande edificio circolare, forse un tempio. Accanto ad esso, una guglia sottile gettava una lunga ombra sulle cime degli alberi.

      Ero un uccello che scendeva ad ali distese, in una lenta spirale. Vidi le ombre girare lentamente, l’isola avvicinarsi... sbattei le palpebre, e il mare tornò ad essere di carta.

      Il lucignolo della lampada sfrigolava. Emise ancora qualche scintilla e si spense.

      Una lenta luce biancastra cominciò a filtrare dalla finestra: la luce della neve sotto un cielo notturno e nuvoloso.

      Quel mare, pensai, poteva essere agli antipodi esatti di Morraine.

      (11) STORIE TRAGICHE

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      L’anno giunse al punto più basso della sua ruota. Nella Notte del Grande Cerchio d’Ombra, com’è tradizione, i bambini di Morraine ricevono doni, portati da una fanciulla cieca

      Quell’anno ebbi una cintura di cuoio, con una borsa, che ho poi usato per buona parte delle mie peregrinazioni; carta e inchiostri colorati; un flauto in legno di bosso intagliato, che non ho mai imparato a suonare con qualche competenza.

       Qui il viaggiatore scosse la testa con rimpianto.

      E altre cose che non ricordo.

      Ah,