in cambio di qualche soldo o di un posto nelle prime file di panche. Ma ahimè, nessuno era interessato ad un ragazzino della mia età come attore: i pochi ruoli di giovinetto, nella severa economia dei teatranti di strada, venivano assunti da una delle donne.
Mi convinsi, mio malgrado, alla pazienza. Dovevo prepararmi, attendere il momento opportuno, raccogliere informazioni. E chissà che nel frattempo a Morraine non ricomparisse Lelius...
Sarei diventato un attore! Nel mio entusiasmo, riuscii a trascinare e i miei due amici, e accarezzai perfino lâidea di formare con loro una compagnia: qualche ragazza lâavremmo trovata, accumulando risparmi avremmo comprato un vecchio carro, i cavalli e qualche costume, e poi... le vie di tutte le Terre di Mezzo sarebbero state nostre! Da Seth ad Aix, da Aiguerre a Kaliphrene, dalle montagne al mare, e magari oltre...
Nella nostra soffitta segreta allestimmo un teatro: Jues rubò una vecchia coperta di broccato blu a sua madre, per fare da fondale. Lucibello, grazie ai suoi soliti, misteriosi espedienti, arrivò un giorno con un costume da Artefice di Multiformi Metamorfosi. Il nome doveva esserselo inventato lui, ma il costume era senza dubbio impressionante: ampie brache verde cobalto, camicia che assumeva varie sfumature di viola a seconda di come la luce la colpiva, farsetto nero in cui erano intessute minute pagliuzze dâoro, scarpe nere con fibbia dâargento, cappello a cono con tre tese rivolte all'insù e uno stravagante pennacchio. La stoffa aveva il difetto di strapparsi ad ogni gesto un poâ brusco: ma questo era un segno della sua venerabile antichità .
Jues poi, che aveva una folta schiera di sorelle, venne costretto suo malgrado a procurarsi (e ad indossare) un improbabile costume da principessa. Il mio contributo al guardaroba fu piuttosto scarso: un cinturone di cuoio irrigidito, una spada che avevo fabbricato e dorato nella falegnameria di mio padre, il vecchio elmo di mio zio, che aveva servito qualche tempo nel corpo di guardia di Morraine. Ma soprattutto: un copione. Frugando in un baule dove erano conservati vecchi libri di mia zia, trovai alcuni scartafacci ingialliti, fragili, mangiati dai topi, formati da poche decine di fogli cuciti, con rozze incisioni sulla copertina e titoli come: La mirabile Historia dei Dodici Cavalieri, Le Due Figlie del Peccato, Il Mago di Qom, La Freccia insanguinata, Il volo dellâUccello Fatato, Il Messaggero del Re, e altri ancora. Purtroppo, non trovai ciò che più avrei desiderato: la storia di Teseius e Phenissa.
La scelta ci occupò a lungo. La Mirabile Historia aveva evidentemente un numero eccessivo di personaggi, e nelle Due figlie ce nâera una di troppo. Il volo dellâuccello comportava lâuso di complicate macchine sceniche e così via.
Alla fine, anche per via del costume di Lucibello, la nostra scelta cadde sul Mago di Qom, che presentava anche il vantaggio di avere solo tre personaggi principali. La storia è semplice: il malvagio mago Zarkos costringe alle sue voglie la bellissima Zeryna, minacciando di orribili tormenti il suo fidanzato Glyon se la fanciulla non acconsente. Per salvare lâamato, Zeryna in uno straziante colloquio lo ripudia, simula amore per Zarkos; Glyon medita alternativamente vendetta e suicidio, maledice il momento in cui è nato. Ma nel giorno stesso delle nozze, già abbigliata nellâabito da sposa, Zeryna sceglie di morire di propria mano, eccitando così gli animi di tutta la cittadinanza di Qom contro la folle superbia di Zarkos. Glyon si fa artefice della giustizia, uccide il mago, viene proclamato eroe.
La versione in nostro possesso abbondava di monologhi patetici, declamati da Zeryna e Glyon (ossia: Jues ed io), che mi incaricai di accorciare ed accomodare, trasformando ad esempio le âperle distillate dallâamara rugiada del ricordoâ in semplici âlacrime di rimorsoâ.
I preparativi si trascinarono fino ad inverno inoltrato, anche perché nessuno di noi aveva molto tempo libero. Il giorno della prima prova aveva gelato. Le fontane nei cortili sembravano candelabri rovesciati, e lâacqua poteva essere attinta solo dai pozzi. Avevamo portato della legna per accendere il caminetto nella nostra soffitta segreta, e le feritoie per i piccioni erano state otturate con stracci e paglia.
Ciascuno si era imparato a memoria le parti del primo atto. Iniziava Lucibello, nella parte del mago, e ci lasciò senza fiato: nella luce rossastra e balenante delle fiamme, che mettevano in risalto al meglio il suo costume, sembrava unâapparizione infernale, mentre il vento che soffiava dalle fessure caricava le sue parole di orrore. Il suo fisico poi era perfettamente adeguato al ruolo: magro, quasi ossuto, il viso affilato dal naso aquilino e dalle sopracciglia nere e folte. Jues ed io applaudimmo con convinzione.
Toccava poi alla vergine Zeryna. Jues, devo dire, se la cavò con onore, malgrado le vesti lo impacciassero non poco e la parte lo imbarazzasse. Fu sufficientemente patetico, senza scadere nel lacrimoso; evitò la trappola del falsetto, accontentandosi della sua voce normale, e comunicando il senso della femminilità tramite un gestire sobrio, il capo pudicamente reclinato. Anche lui ebbe applausi meritati. Jues (mi accorgo adesso di non aver mai descritto i miei due amici, e colgo l'occasione per rimediare) al contrario di Lucibello era un tipo bene in carne, con riccioli color carotae e carnagione pallida, non priva di qualche lentiggine. Cosa di cui all'epoca si vergognava parecchio
Toccava a me. Sebbene non avessi praticamente pubblico, il cuore mi batteva forte, mi pareva di soffocare. Le prime parole mi uscirono a fatica. Mi ripresi, prosegui brandendo la spada; arrivato al verso ânon resterà questo ferro in ozioâ, mi interruppi per un vuoto di memoria. Lucibello mi sibilò le parole. Riattaccai. Alzai con troppa foga la spada, che si spezzo contro una trave del tetto. Lucibello dovette aiutarmi altre due volte. Finii in fretta e furia. Dopo qualche secondo, Jues provò ad applaudire, senza convinzione. Lucibello si era già tolto il costume.
â Io devo scappare â disse.
Jues si districò dalle gonne. â Allora ci vediamo... domani? â propose.
Feci un vago cenno col capo. Jues uscì. Io mi tolsi elmo e cinturone, raccolsi i pezzi della spada, riposi tutti i costumi nel baule. Del fuoco non restavano che poche braci. Spensi la lampada e me ne andai.
Quella sera avevo capito che non sarei mai diventato un attore.
(8) L'ALCHIMISTA
Quando uscii nel Cortile delle Rondini, cadevano fiocchi di neve, larghi e radi. La prima neve dâinverno.
Mi fermai un momento a guardane la neve che scivolava attraverso la luce delle finestre.
Il cortile era quasi deserto, a quell'ora e con la neve. Avrei potuto tornare a casa passando per i corridoi interni di Morraine, ma non mi andava di incontrare gente.
Dovevo fare in fretta, altrimenti rischiavo una punizione. Poi pensai: che importa? Tanto non avrò niente da fare domani...
Ma forse voi vi starete chiedendo cosa sia la neve. Vi rispondo: è una specie di pioggia soffice e bianca, come la lanugine di certe piante; si posa sulle cose e le ricopre, e più cade più si accumula, anche parecchie braccia in certi posti, e non se ne va finché il caldo non la scioglie...
Così presi a camminare, senza meta, da un cortile allâaltro, ciascuno più bianco del precedente. I negozi e le botteghe stavano chiudendo. Le donne, avvolte negli scialli, correvano a fare gli ultimi acquisti per la cena. Alcuni bambini cominciavano a lanciarsi palle di neve, ma io non ero certo dellâumore adatto. E in ogni caso non ero più un bambino.
La sconfitta era tanto più cocente perché giungeva imprevista. Mi diedi mille volte dello stupido, ripensando a tutti gli errori commessi. Ma in quel momento, lâultima cosa che mi sentivo di fare era riprovarci. Odiavo il teatro con tutte le mie forze.
Mi fermai sotto la neve che ormai cadeva fitta. Mi trovavo nel Cortile della Fenice. Come le mie speranze: bruciate. La rinascita?... Ebbi un brivido. Rischiavo di prendermi una malattia. Tanto meglio: avevo una gran voglia di essere compatito.
Mi infilai nellâandrone