primordiale. Come se avessi atteso per tutta la mia vita quel momento, senza saperlo. E il momento mi sfuggiva fra le dita.
Ma vorrete sapere cosa vidi, suppongo. Ã presto detto: Phenissa seduta su uno sgabello, immobile. Indossava lâultimo abito di scena, quello in cui era stata lapidata, che era anche lo stesso della scena sulla spiaggia. Teneva gli occhi fissi nella direzione della marionetta, ma senza seguirla nel suoi movimenti. Le labbra erano socchiuse, e sembrava che neppure un alito ne uscisse. Il volto chino, appena velato da una ciocca di capelli neri, aveva unâespressione di quasi impercettibile sorpresa. Per cosa, non avrei potuto immaginare.
Tutto questo durò forse il tempo di dieci respiri o di cento battiti di cuore, il tempo per la marionetta di eseguire una serie completa di capriole.
â Non dovresti essere qui.
Il terrore fu tale che per un attimo la vista mi si annebbiò. Era la voce di Lelius. Mi aveva scoperto! Quando tornai a vedere, la marionetta si era fermata, Phenissa aveva alzato gli occhi, e Lelius era davanti a lei.
â Lia.
Allungò una mano e le toccò la spalla. La fanciulla ebbe un sobbalzo, e nello stesso istante la marionetta balzò in avanti, come... se volesse difenderla. Ma era assurdo. E comunque si fermò.
Phenissa... Lia mosse la bocca come per parlare, e con unâespressione che forse era di dolore chiuse gli occhi. Un gemito quasi impercettibile le uscì dalle labbra.
Lelius si voltò a guardare la marionetta, con irritazione.
â Non devi giocare con questi... â Lia dondolava la testa da destra a sinistra, lentamente.
â Domani reciterai la parte di Issadee â disse Lelius, con voce severa, ma anche, quasi, con... compassione. â Vieni.
Lia, che non aveva ancora riaperto gli occhi, si alzò. Lelius prese con una mano la candela e con lâaltra un braccio della fanciulla, e a passi lenti, come un cieco e la sua guida, i due sparirono dietro una statua colossale, alata ma priva di testa. Nel buio, qualcosâaltro si mosse. Lâultimo bagliore della fiamma si riflesse sui bottoni dorati delle spalline della marionetta, che seguiva a passi rapidi i suoi padroni. Poco dopo, sentii la porta chiudersi, la chiave girare nella toppa.
Ci misi un poâ prima di capire che ero prigioniero.
(5) LA TORRE
Il cortile era deserto. Tutti gli spettatori se nâerano andati, i commedianti si erano ritirati le scene smontate, i servitori avevano spento le lampade.
Io avevo provato la porta e le finestre, senza fortuna. Avrei potuto chiamare aiuto, gridare. E rendermi ridicolo agli occhi di Lia. Non lâavevo fatto, e ormai era troppo tardi. Avevo voglia di piangere. Anzi: lo stavo facendo. Pensavo a Jues e a Lucibello che se ne tornavano alle loro case, senza dubbio dopo avermi cercato. Pensavo a mia madre, e al mio letto.
Infine mi riscossi, balzai giù dalla finestra. Dovevo uscire, e câera un unico posto dove cercare: nelle viscere del magazzino. Nel buio più completo. Doveva esserci unâaltra porta: a Morraine, diceva un proverbio, nessuna stanza ha una porta sola.
Il buio si rivelò meno completo di quanto avevo pensato. Si era levata la luna, e una pallida luminescenza disegnava contorni di oggetti, per la maggior parte incomprensibili. Iniziai il giro della stanza, muovendomi a tentoni lungo le pareti. Sotto le mie dita lâintonaco umido si sbriciolava, cadendo con un fruscio di minute foglie morte, lasciando affiorare mattoni e pietre. Quando mi fermavo, e dovevo farlo spesso per superare o aggirare qualche ostacolo, sentivo altre cose muoversi nel magazzino: topi, speravo. Morraine è piena di favole sugli abitatori delle sue cantine. Cercai di convincermi che non credevo più alle favole.
La prima cosa che trovai non fu una porta, ma una botola: me ne accorsi dal risuonare a vuoto dei miei passi. Favole o no, non presi nemmeno in considerazione lâidea di aprirla e di scendere: è più difficile uscire da una cantina che da qualsiasi altro posto, mi dissi. E poi, unâaltra porta doveva pur esserci!
Non ne trovai una, ma tre. Tutte chiuse. Ero quasi tornato al punto di partenza, quando inciampai contro una scala. I gradini di pietra salivano lungo la parete, senza balaustra. Si infilavano nel soffitto, piegavano, salivano ancora. A questo punto neppure la luce della luna mi aiutava più. Ogni tanto, nelle pareti, si apriva una porta, invariabilmente chiusa.
Poi le rampe presero un andamento regolare, piegando ogni volta a sinistra: ero dentro una torre. Una serie di feritoie me lo confermò. Tutte troppo strette per uscire.
Alla fine della scala trovai unâultima porta. Mi sedetti sui gradini, ansimando. Non osavo toccarla. Non sapevo cosa avrei fatto se lâavessi trovata chiusa. Infine mi alzai, tirai un profondo respiro, cercai il catenaccio, lo tirai... spinsi.
La porta non si mosse.
Preso dal panico e dalla rabbia la scossi. E mi diedi dello stupido. Si apriva verso lâinterno: era ovvio. La scala proseguiva ancora per qualche gradino e terminava su una terrazza coperta.
Era la più bella notte di luna.
Attorno a me si stendeva tutta Morraine, in argento e seppia. Avrei potuto contare tutte le sue 120 torri, e perfino i 3600 merli delle mura, e le 480 campane, i 600 cipressi, e le 72 bandiere e gli 840 segnavento... Naturalmente non lo feci. Ma una cosa mi colpì, mentre facevo il giro del terrazzo, passando da una colonna di mattoni allâaltra: la città pareva estendersi egualmente in tutte le direzioni. Mi trovavo al centro di Morraine. E proprio sotto di me, nel cuore dunque della città , câera un magazzino di attrezzi teatrali. La cosa mi parve, in quel momento, piena di qualche arcano significato. E nel magazzino câera una botola... Se solo ci fossero stati con me Jues e Lucibello! Se solo non fosse stato quasi mezzanotte, e chissà cosa pensavano a casa mia! Se solo avessi avuto una lampada... E dopo un attimo pensai: se solo avessi meno paura.
I pipistrelli tentavano voli inquieti attorno alla torre. Lâaria era fresca, ma carica della promessa dellâestate, e di odori che arrestavano il respiro. Su alcune terrazze le lampade erano ancora accese, si scorgevano delle figure, e adesso che il mio respiro si era calmato, potevo sentire perfino brandelli di musica e di voci.
Cercai i punti di riferimento della mia casa: la Torre degli Unicorni; un vecchio pino dalla cima piegata, che si alzava al centro del Cortile dellâUovo; e sullo sfondo, la cima ancora innevata dellâYiril...
Dovevo solo calarmi dalla torre. Una volta sui tetti, tornare non sarebbe stata unâimpresa impossibile: come ho detto, Morraine è una sola casa.
Mi sporsi. La torre non era molto alta, ma câerano almeno venti braccia per arrivare al tetto sottostante. Senza appigli di cui mi fidassi. Serviva una corda. A malincuore ripresi le scale, tornai nel deposito, frugai nei pressi delle finestre, dove câera un poco di luce, trovai delle corde che non sembravano troppo sottili né troppo vecchie, le legai ad una grata e diedi qualche strattone per essere sicuro che non si rompessero, me le caricai sulle spalle.
Risalendo lungo la scala, giunto ad un pianerottolo, vidi qualcosa che mi fece fermare: una striscia di luce sotto una porta, alla mia sinistra. Prima, di certo, non lâavevo notata. Forse avevo richiamato lâattenzione di qualcuno, con i rumori che avevo fatto nel cercare le corde. E forse, in questa maniera, sarei uscito più in fretta... No: ormai potevo andarmene da solo. Superai la striscia di luce in punta di piedi, girai un angolo... E tornai indietro: ero penetrato nel Cortile Segreto, e non avevo intenzione di andarmene senza vedere tutto quello che câera da vedere!
Ma non câera niente da vedere: solo una lama sottile di luce. Nessuna serratura, e nessun buco per la chiave. Appoggiai lâorecchio al legno. Mi pareva di udire delle voci, ma non ero sicuro che non fosse il pulsare del mio sangue. Il