Dove?
â In una bottega di libri.
â Quale?
â Quella di Arno Borissein.
â E poi?
â Poi niente... Mi ha detto che era un Adepto.
â Arno?
â Sì.
â Quando?
â Era inverno... La prima nevicata.
â Ha comprato qualcosa?
â No... Cercava delle mappe.
â Poi?
â Niente. Ã uscito.
â E tu cosa hai comprato?
â Fiori di bianco prato.
â Cosâè?
â Un manuale di retorica.
Darko sorrise. â Non hai altro da dirmi?
â Il sole... â Ormai non potevo tirarmi più indietro. â Mentre correva quasi perse la maschera. Ho visto dei riccioli biondi. Chiari. Però non vuol dire niente â aggiunsi subito, inutilmente.
Invece di ridiscendere le scale salimmo ancora una rampa. Darko aprì una piccola porta con una grossa chiave.
Strinse la mano di mio zio, poi la mia.
â Non credo che avrò più bisogno di te.
La cosa un poâ mi dispiacque.
Entrammo in una soffitta immensa. Darko rimase fuori e chiuse la porta alle nostre spalle.
Gigantesche travi incurvate ed annerite sostenevano un tetto altissimo, in cui si aprivano rari lucernari che dissipavano appena le tenebre.
Ci incamminammo. Sparsi qua e là , si ergevano ordigni enigmatici, ricoperti da teli polverosi. Di tanto in tanto, a destra e a sinistra, si spalancavano altre soffitte, ancora più buie; incontrammo anche un paio di scale, che salivano ripide verso qualche torre.
Non avevo mai visto spazi chiusi così grandi, a Morraine. Avrebbero potuto viverci decine e decine di famiglie!
Nessuno di noi due parlò per tutto il tragitto.
Infine, mio zio armeggiò intorno ad una botola. Câera un meccanismo a molla, che, immaginai, serviva a non farla aprire dal basso.
Una stretta scala in pietra conduceva ad un ballatoio, con dei panni stesi ad asciugare. Poi delle scale malandate, dove incontrammo bambini non molto puliti e donne che li chiamavano gridando.
Cominciavo ad immaginare dove saremmo finiti.
Attorno ad una delle due fontane câera un gruppo di ragazzini. Forse erano gli stessi che ci avevano fatto scappare lâestate prima.
Con mia sorpresa, zio Uri si infilò nella porta di unâosteria. Lâoste lo salutò come se lo conoscesse. Ci sedemmo ad un tavolo. Mio zio ordinò un boccale di vino. Io avevo fame, e lâoste mi portò due fette di pane scuro, con una salsa indecifrabile e del pesce sotto sale. Per calmare la sete, bevvi qualche sorso del vino di mio zio.
â Hai detto tutto a Darko?
â Sì... Più o meno.
Mio zio finì il vino, e ce ne andammo.
(17) LA LEZIONE DELL'ACQUA
Lucibello fu li primo ad andarsene, dopo tutto.
Era il Mese-del-Passaggio, una giornata di vento e di pioggia, quando ce lo disse, riuniti nel nostro rifugio segreto.
â Luci, tu sei matto â dissi io, senza sapere bene se crederci o no.
Lui era intento ad evocare una fiamma da qualche ramoscello non del tutto secco.
â No, amico mio. Sono forse più pazzo che se inseguissi un sogno recitato su un palcoscenico?
Ricordai quella sera nel Cortile Segreto. Era stato Lucibello, allora, a chiedermi se ero impazzito. Non potei replicare nulla.
â Quando lâhai saputo? â chiese Jues.
Lucibello mi guardò.
â Alla Festa delle Maschere â dissi io.
Lucibello annuì.
â Eravamo rimasti noi due soli â spiegai a Jues. â Nel Cortile Dorato.
â Sì. Lâeremita.
â Ma lâubu...
â Lâubu si leva in volo al crepuscolo. Vola tutta la notte. E trova quiete solo allâalba. Nella luce è il suo riposo.
Jues sbuffò. Faceva fatica a seguirci.
â Si nutre di falene â osservai io.
â Di animali lunari. Ci si ciba di ciò che appartiene alla notte.
Adesso anchâio facevo fatica a seguirlo.
â Allora lâubu sogna di giorno â provai a cambiare approccio.
â Sì. Nella luce.
â La luce della verità ? â propose Jues.
Lucibello sorrise. â Sì.
I ramoscelli finalmente avevano preso fuoco.
â Questo è il racconto di come lâEremita Ashva apprese la lezione dellâacqua â iniziò il Venerabile dal mantello quasi bianco. Il Venerabile sedeva sullâerba al centro del Cortile dellâEquinozio, che è lâunico in Morraine a non avere un selciato. I membri dellâImmacolata Dottrina non possiedono templi né santuari e preferiscono il contatto con la nuda terra. Forse per questo il loro culto non è molto diffuso a Morraine.
Ed ecco il racconto:
LâEremita Ashva grazie alla sua grande pietà poteva indossare un mantello del settimo grado di splendore. (Lucibello, accanto a me, era avvolto in un mantello quasi del tutto nero, con pochi fili bianchi, che indicava come avesse appena intrapreso il suo viaggio verso la luce.) Nei lunghi anni della sua vita egli aveva appreso la lezione degli uccelli e del vento, della volpe e del bue, dellâerba e della quercia. Ma ancora gli sfuggiva la lezione dellâacqua.
Così si recò presso le sorgenti del grande fiume Er, il Padre di Tutti i Fiumi, e si sedette a meditare, specchiando i propri pensieri nellâacqua limpida di una pozza. Trascorse così alcuni giorni nella più assoluta immobilità , e alla fine un pesce dalle scaglie dorate sporse la testa dallâacqua e lo fissò a sua volta.
âCosa cerchi?â chiese il pesce.
âCerco di apprendere la lezione dellâacqua,â rispose lâeremita.
âSciocco! Lâacqua scorre sempre e tu te ne stai fermo! Come puoi sperare di apprendere la sua lezione?â E il pesce guizzò via.
Immediatamente Ashva si alzò e prese a seguire il corso del fiume.
Incontrò dapprima le capanne dei pastori e i fienili dellâalto Er e dei suoi affluenti. Poi i primi villaggi, con i loro mulini, e i mercati dove vengono scambiate le merci delle montagne con quelle delle valli, e le cartiere dove i pestelli mossi dalle ruote ad acqua triturano stracci. Trovò in seguito la prima città : Ydessa dalle porte di bronzo,