si voltò verso di me. â Forse i sogni â rispose.
Scossi la testa. â I sogni non sono dietro, sono davanti.
â No â sibilò lei con singolare veemenza, ma non volle fornire ulteriori spiegazioni.
Cambiai argomento. â Ho già visto quella maschera...
â Impossibile! Ã il mio primo anno.
â No... lâho vista su un carro.
La sirena sollevò la testa e mi fissò.
â Quando?
â Cinque primavere fa.
â Un carro di attori?
â Sì. Come...
â Mentre passava per Morraine?
â No, fuori. E poi... nel Cortile Segreto.
Lei si alzò. â Camminiamo.
Ci avviammo verso un cortile da cui proveniva una musica dolce e triste. Ci soffermammo sotto i portici ad ascoltare.
La sirena non rimaneva mai ferma a lungo. Come un pesce, sembrava doversi muovere senza sosta, sospinta da impercettibili correnti abissali. Mi rivolse la sua faccia lunare e si avviò lungo il porticato, senza una parola.
La seguii, in un girovagare apparentemente senza meta.
O forse no. Intuii ad un certo punto che stavamo girando in cerchio sempre più stretti; e che al centro di questi doveva esserci, più o meno, il Cortile Segreto.
Quando raggiungemmo il Cortile della Mezzanotte ne ebbi la certezza. Con lâassenza di stupore propria dei sogni, la vidi dirigersi verso lâandrone sormontato dalla testa di unicorno.
Nel cortile, su un palco, dei pagliacci cadevano a terra rovinosamente, giacevano come morti, si rialzavano con immutata foga.
Un gruppo di maschere uscì dallâandrone, con risate da ubriachi. Le lasciammo passare, ma mentre la sirena stava per infilarsi nel passaggio arrivò di corsa un ultimo personaggio, la faccia formata da un dorato disco solare, raggiante, con due grandi occhi spalancati. Il sole urtò la sirena. La maschera solare, segno infausto!, quasi cadde, l'uomo la raddrizzò. Non prima che scorgessi dei corti ricci biondi, quasi bianchi. Per un attimo i due rimasero immobili, fissandosi, e io da dietro vidi il sole parzialmente eclissato dalla luna. Poi il sole corse ad unirsi agli altri, e la sirena si addentrò nellâandrone.
Dove si apriva il passaggio che conduceva al cortile senza nome, trovammo il cadavere. Unâunica lanterna, sul soffitto a volte illuminava la faccia nuda e livida, contratta in una smorfia. Non ebbi alcun dubbio che fosse morto. Era la cosa più oscena che avessi mai visto. La maschera giaceva poco lontano: un grifone dal becco crudele, inutilmente minaccioso.
Solo quando la sirena mi diede uno strattone, mi accorsi che le stavo stringendo la mano. Non so chi di noi due avesse preso quella dellâaltro. Cercava di trascinarmi verso il passaggio. In quel momento, altri cominciarono a giungere, dalla parte opposta dellâandrone. Non mi mossi; non so se fosse per istinto, o perché lâavevo sentito dire da mio zio (che come ricorderete era stato soldato nella Guardia), ma sapevo che fuggire era il modo migliore per essere indiziati. Con le mie ali bianche e la sua maschera di madreperla, di sicuro qualcuno si sarebbe ricordato di noi.
Una donna gridò. Io agitai un braccio. â Sta male! â dissi.
Un orsacchiotto rosa si chinò sul cadavere. â à morto â disse.
Cedendo alla pressione della sirena, mi accostai poco a poco allâimboccatura del passaggio. Un coniglio dalle orecchie rosa e bianche disse: â Bisogna avvertire la Guardia.
Arrivarono gli spettatori che erano nel cortile, poi anche i pagliacci. Ormai noi due eravamo giunti sotto la bassa volta del passaggio, e la sirena continuava a tirarmi.
Scorsi le divise rosse e blu della guardie. Anche loro indossavano maschere, ma erano semplici cappucci neri, con i buchi per gli occhi e per la bocca.
Nel passaggio il buio era quasi totale. La sirena mi stringeva la mano tanto forte da farmi male, ma mi rifiutai di correre finché non superammo lâangolo a metà del corridoio.
Non avevo alcun dubbio che lei sapesse dove stava andando.
Quando arrivammo alla porta la sirena estrasse una chiave; brillò argentea nella luce di una mezza luna che nel frattempo era sbucata da uno squarcio fra le nuvole, e insinuava i suoi raggi entro lo stretto cortile. Ricordavo di non aver visto alcun buco di serratura nella stretta porticina, ma la chiave era molto piccola, poco più di unâasta con quattro nervature dentellate, e in effetti nel legno câera un buco altrettanto minuscolo.
Quando la sirena fu entrata, richiuse la porta e si appoggiò contro un muro, ansimando. La fenditura era stretta come avevo immaginato da fuori. Ci tenevamo ancora per mano, e quasi senza volerlo, lâabbracciai. Poi lei mi lasciò la mano e si avviò lungo il passaggio.
Le mie ali erano irrimediabilmente rovinate.
Attraversammo, ricordo, quello che mi parve un numero interminabile di corridoi e sale. Solo una era illuminata. Mi arrestai sulla soglia, ma la sirena mi trascinò dentro, impaziente. La sala era deserta. Poi mi arrestai di nuovo. Una delle pareti era coperta da una grande mappa. Una città . Era Morraine e non era Morraine. Riconobbi il Castello, alcuni dei cortili, dei passaggi. Altri invece erano diversi dalla realtà , ne ero certo. Ma la cosa più singolare, era che lâinsieme della mappa formava un disegno, come un fiore complicato ma regolare.
La mia guida mi toccò un braccio. â Adesso andiamo â disse. Con una seconda chiave aprì una piccola porta di quercia, in un angolo della sala.
(15) OCCHI DI GATTO
La Festa delle Maschere di Morraine non è priva di un suo lato oscuro. Essa, infatti, è anche il momento ideale in cui regolare conti in sospeso, rancori accumulati, vendette meditate. Per il resto, devo aggiungere, la nostra è una città molto tranquilla.
La Festa delle Maschere è la situazione ideale per lâassassino: nessuno può riconoscerlo, e far perdere le proprie tracce è facilissimo. Dâaltra parte, è anche la situazione ideale per la vittima, poiché può camuffarsi in maniere pressoché infinite. La maschera fornisce a tutti un alibi, e fa di tutti degli indiziati. Innumerevoli sono i trucchi a cui può ricorrere lâassassino per uccidere impunemente la sua vittima, e altrettanti quelli della vittima per sfuggirgli.
Tuttavia, in maniera del tutto incontrollabile, la maschera determina anche lâassassino e la sua vittima. La maschera è lâassassino e la sua vittima. Così come io ero la falena lunare, e Lucibello un ubo, e la mia compagna una sirena con due facce.
Ma poiché si è vittime ed assassini per infiniti e spesso futili motivi (anche se alcuni ascrivono a pochi e imperativi moventi lâimpulso omicida, o addirittura a due soli: amore e denaro, nelle loro varie forme), non esiste una maschera da omicida ed una da vittima, ma esiste sempre qualcosa, per quanto indecifrabile, che le collega.
Rintracciare questi segni permette di introdurre un certa logica in indagini altrimenti disperate. A condizione di scoprire di quale logica si tratti.
La sirena disse: â Non dovrai dire nulla di me...
La sirena era seduta sul trono.
Io dissi, con assoluta ed immediata sincerità : â Non dirò nulla di te.
â ... se mai dovessero interrogarti â finì.
Il trono era quello,