delle Sette Arti Meccaniche. Ashva osservò così come lâacqua si mescoli con la creta del vasaio e con il metallo dei fabbri e con la farina dei fornai.
Scendendo ancora lungo il fiume, trovò Yxiana dai mille canali, con il suo mercato galleggiante, ricco dei frutti che provengono dalla pianura circostante, fertile di per sé e resa fertilissima dai miracoli di ingegneria idraulica che fanno giungere lâacqua dellâEr a molte leghe di distanza, e regolano le sue piene.
Dopo Yxiana, il fiume scorre fra dolci colline coperte di vigneti. A Calinissa, nelle notti dâestate le acque si coprono di barche adorne di fiori e di lanterne colorate; i suoni della musica e delle risate si spandono da una riva allâaltra; sulle barche, al riparo di tende, coppie di amanti si dilettano cullate dalle onde.
A Dardessa, le concerie di pelli rendono lâacqua maleodorante, ma dopo poche leghe essa torna ad assumere il colore giallastro del basso Er, e le reti dei pescatori incidono trame sulla corrente immensa.
Oltre Irkomenos iniziano i grandi argini e le dighe, costruite per ammansire il fiume nelle sue inondazioni rovinose.
Ashva vide tutte le vie dellâacqua, ne seguì ogni meandro ed ogni rivolo. Impiegò vari anni per seguire tutto il corso dellâEr: in parte perché il fiume è molto lungo, in parte perché Ashva era vecchio, e soprattutto perché conoscenza e meditazione richiedono tempo.
Durante il suo viaggio, comâè costume degli eremiti, il Venerabile Ashva chiedeva lâelemosina del cibo e di un tetto sotto cui dormire. In mancanza di essa, digiunava e si avvolgeva nel suo mantello bianco, con pochi fili neri.
Giunse infine al delta dellâEr, dove il Padre di tutti i fiumi genera i suoi innumerevoli figli. Fra le canne, su barche silenziose dal fondo piatto, scivolavano i cacciatori di uccelli acquatici. E alla fine del labirinto delle paludi, Ashva trovò quel punto delle acque dove il fiume non è più fiume, e il fango si mescola col sale.
Stanco, si sedette su un vecchio pontile di legno, a cui da molto tempo ormai non veniva ormeggiata alcuna barca. Il vento portava lâodore della salsedine.
Era il crepuscolo, e il pesce dorato sporse la testa dallâacqua verde di alghe. Guardò lâeremita, e non pronunciò parola. Ashva disse: âPesce, ho dato ascolto al tuo consiglio, e ho seguito la corrente del fiume lungo tutto il suo cammino; ho osservato ogni cosa e ho meditato. Eppure so di non avere ancora appreso la lezione dellâacqua.â
âSciocco!â disse il pesce. âLâacqua presta umilmente il suo aiuto a tutti: lavandaie e pescatori, mugnai e amanti, fabbri e mercanti. E tu cosa hai fatto in tutto questo tempo? Sei vissuto del pane degli altri. Come puoi sperare di apprendere la lezione dellâacqua?â
Il pesce sparì senza aggiungere parola, e Ashva rimase a lungo immobile, in preda allo sconforto. Era vecchio, ormai, e come avrebbe potuto seguire il consiglio del pesce? Infine si fece coraggio. Raggiunse il più vicino villaggio di pescatori. Alla prima casa che incontrò, gli offrirono cibo e riparo, ma Ashva rifiutò. Solo se gli avessero consentito di aiutarli nel loro lavoro avrebbe accettato un compenso. Gli abitanti della casa decisero, un po' per venerazione, un po' nella convinzione che non fosse del tutto in sé, di assecondare il suo desiderio.
Quella notte dormì nella capanna dove il pescatore teneva le reti e gli altri suoi attrezzi. Poco prima che il sole sorgesse lo svegliarono, il pescatore e i suoi due figli, e insieme si misero in mare.
E così nell'inverno della sua vita il Venerabile Ashva, lâIlluminato, imparò il mestiere del pescatore. Il suo mantello quasi bianco puzzava di pesce, le sue mani si coprirono di vesciche, poi di calli.
Poiché era abituato alla parsimonia, riuscì ad accumulare una piccola somma di denaro, con cui acquistò una barca sua. E poiché era un Venerabile e un Illuminato, non smise di predicare, e i discepoli si raccoglievano numerosi intorno a lui. I primi furono i due figli del pescatore.
Un giorno Ashva e il suo discepolo favorito, Izmal, che avrebbe in seguito indossato un mantello del settimo grado di splendore, e a cui dobbiamo questo veridico racconto, si misero in mare. La pesca fu straordinariamente abbondante, e per la grande quantità di pesce le onde sfioravano il bordo della barca.
Volsero la prora verso terra, mentre dense nubi si accumulavano allâorizzonte. Una calma piatta e minacciosa si stese sulle onde. Le vele sbatacchiavano flosce. Izmal afferrò i remi, ma Ashva rimase immobile a prua, fissando lâacqua, come se attendesse qualcosa.
Ed ecco che il pesce dorato affiorò dalle acque. âEbbene vecchio,â disse, âhai appreso finalmente la lezione dellâacqua?â
âHo seguito il Grande Padre Er in tutti i suoi meandri, ho osservato le vie del fiume e degli uomini, mi sono sforzato di imitare lâacqua nella sua umiltà . Ma ancora sento di non avere appreso la sua lezione. Aiutami, pesce.â
E il pesce disse: âSei vecchio e stanco. Non vedi dunque che ogni fiume trova la sua pace nellâOceano?â
E in quel momento unâonda altissima, giungendo dal largo, afferrò la barca e la fece girare tre volte su se stessa, fin quasi a rovesciarla. Izmal si afferrò al timone con tutte le sue forze, ma Ashva non fece alcun tentativo per salvarsi; cadde fra le onde, e il suo mantello quasi candido impregnandosi di acqua lo trascinò a fondo, dietro al bagliore dorato del pesce.
â Cosa significa la storia di Ashva? â chiesi a Lucibello. Eravamo riuniti nella nostra soffitta, in tre per lâultima volta.
â Le storie non significano. Accadono. E vengono raccontate.
â Ma lâeremita ha appreso la lezione dellâacqua, alla fine? â chiese Jues.
â Forse sì â disse Lucibello. â Morendo.
â A che serve una lezione appresa in punto di morte?
â A morire.
Jues si diede da fare attorno al fuoco, per nascondere la sua esasperazione.
â Lo scopo dellâImmacolata Dottrina è di imparare a morire, dunque? â chiesi io.
Lucibello scosse la testa. â LâImmacolata Dottrina non ha uno scopo.
E dopo un momento aggiunse: â Del resto, ho ascoltato altre storie, dalla bocca del Venerabile, che dicono cose completamente diverse.
Lo guardai, e compresi che il nuovo Lucibello non era poi così diverso dal vecchio.
(18) LA CISTERNA
La partenza di Lucibello mi lasciò in preda ad unâinquieta tristezza. La tristezza era dovuta alla perdita dellâamico, lâinquietudine alla mia incapacità di imitarlo.
Poiché, vedete, tutti i miei sogni: Lia e i carri dei teatranti, Lia e il palcoscenico illuminato, Lia e la poesia, Lia... Tutto questo, dovetti ammetterlo, era qualcosa che recitavo solo dentro la mia testa. Quando avevo provato a recitare nella realtà , avevo miseramente fallito. Quanto a scrivere, ero riuscito solo a scopiazzare. E il coraggio di andarmene da Morraine non riuscivo a farmelo venire. Forse, dopo tutto, sarei diventato un altro falegname nel Cortile del Nano.
Dopo il Mese-del-Passaggio giunse anche il Mese-delle-Farfalle. Il quarto giorno trovai una scusa per abbandonare la bottega di mio padre e raggiunsi la strada che portava alle montagne. Esattamente cinque anni prima ero stato investito dal carro di Lelius, e avevo visto Lia.
Mi fermai sul bordo della strada polverosa. Non câerano Jues e Lucibello ad aspettarmi, nel casolare abbandonato. Uno era partito, lâaltro lavorava. Lâinfanzia era finita, e nientâaltro sembrava