Морган Райс

Destinata


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Cailin corse tra le strade di New York. Era l'apocalisse. Le auto venivano capovolte, sopra di esse corpi riversi, e la devastazione regnava sovrana. Lei corse e corse, lungo i viali, che sembravano infiniti.

      Mentre correva, il mondo sembrava girare sul proprio asse; mentre lo faceva, gli edifici sembravano svanire. Il paesaggio cambiò, con i viali che diventavano passaggi sporchi, le strade diventavano delle colline rotonde. Lei si sentì tornare indietro nel tempo, passando dall'epoca moderna ad un altro secolo. Sentiva che se avesse corso più veloce, avrebbe trovato suo padre, il suo vero padre, da qualche parte all'orizzonte.

      Corse attraverso i piccoli villaggi della campagna e, poi, anch'essi svanirono.

      Presto, tutto ciò che restava fu un campo di fiori bianchi. Mentre lei camminava in mezzo ad essi, fu felice di vedere che lui era lì, in attesa, all'orizzonte. Suo padre.

      Come sempre, si scorgeva la sua sagoma contro il sole, ma stavolta, sembrava più vicino del solito. Stavolta, lei poteva vedere il suo volto, la sua espressione. Stava sorridendo, attendendola, con le braccia aperte in attesa di un abbraccio.

      Lei lo raggiunse. Lo abbracciò, e lui la strinse forte, con i muscoli del torace che la tenevano.

      “Caitlin,” lui disse, la sua voce emanava un tale amore. “Sai quanto sei vicina? Sai quanto ti voglio bene?”

      Prima che lei potesse rispondere, scorse qualcosa lateralmente, e vide che, dall'altro lato del campo, c'era Caleb. Quest'ultimo tendeva una mano verso di lei.

      Lei fece diversi passi verso di lui, poi si fermò e guardò suo padre.

      Anche lui le tendeva una mano.

      “Trovami a Firenze,” suo padre disse.

      Lei si girò verso Caleb.

      “Trovami a Venezia,” Caleb disse.

      Lei guardò di qua e di là, tra i due, divisa su quale direzione prendere.

*

      Caitlin si svegliò di soprassalto, scattando dritta nel letto.

      Si guardò intorno nella sua piccola stanza, disorientata.

      Infine, si rese conto di aver sognato.

      Il sole stava sorgendo, e lei si recò alla finestra, e guardò fuori. Assisi illuminata dalla prima luce del mattino era così quieta, così bella. Tutti erano ancora dentro, e il fumo veniva fuori da un comignolo qui e là. La foschia delle prime ore mattutine ricopriva i campi come una nuvola, rifrangendo la luce.

      Improvvisamente, Caitlin si mosse, sorpresa da un cigolio, e si mise in allerta, mentre vedeva la porta cominciare ad aprirsi. Chiuse i pugni, preparandosi ad affrontare un visitatore indesiderato.

      Ma appena la porta si aprì ancora di più, lei guardò in basso, e gli occhi le si spalancarono per la contentezza.

      Era Rose, che spingeva la porta per aprirla, con il naso.

      “Rose!” lei gridò.

      Rose spinse la porta, aprendola completamente, corse dentro e balzò in braccio a Caitlin. Le leccò tutta la faccia, e Caitlin pianse per la gioia.

      Caitlin la mise a terra e la guardò. Si era irrobustita, diventando più grande.

      “Come hai fatto a trovarmi?” Caitlin chiese.

      Rose la leccò di nuovo, guaendo.

      Caitlin si sedette sul bordo del letto, accarezzandola, e pensando fortemente, provando a schiarirsi le idee. Se Rose ce l'aveva fatta, allora anche Caleb ci era riuscito. Si sentì incoraggiata.

      Mentalmente, sapeva che doveva andare a Firenze. Per continuare la ricerca. Sapeva che la chiave per trovare suo padre, lo scudo, si trovava lì.

      Ma il cuore le chiedeva di andare a Venezia.

      Se ci fosse stata anche una remota possibilità che Caleb fosse lì, lei doveva scoprirlo. Doveva farlo.

      Lei decise. Prese Rose, stringendola forte tra le braccia, prese una rincorsa, e prese il volo fuori dalla finestra.

      Sapeva che ora si era ripresa, che le sue ali si sarebbero spalancate.

      Ne era certa; e lo fecero.

      E in pochi istanti, Caitlin stava volando nell'aria delle prime ore mattutine, spostandosi sopra le colline dell'Umbria, dirigendosi verso nord, in direzione di Venezia.

      CAPITOLO CINQUE

      Kyle camminava lungo le piccole strade dell'antico distretto di Roma. Intorno a lui, c'erano persone che chiudevano negozi, terminando la giornata lavorativa.

      Il tramonto era sempre stato il suo momento preferito della giornata, il momento in cui cominciava a sentirsi più forte che mai. Sentiva il suo sangue pulsare più velocemente, sentiva che stava diventando più forte ad ogni passo. Era così felice di essere tornato nelle affollate strade di Roma, specialmente in quel secolo. Quei patetici umani erano ancora a secoli di distanza da ogni tipo di tecnologia, ogni tipo di sorveglianza. Avrebbe potuto distruggere quel posto con un cuore rilassato e leggero, e non doversi preoccupare di venire scoperto.

      Kyle voltò per Via Del Seminario, e, nell'arco di istanti, camminò per ritrovarsi nella grande piazza antica, la Piazza Della Rotonda.

      E lì si fermò. Kyle in quel luogo, chiuse gli occhi, e respirò profondamente. Era così bello essere tornato. Direttamente di fronte a lui, c'era un posto che aveva chiamato casa per secoli, una delle sedi dei vampiri più importanti al mondo: il Pantheon.

      Il Pantheon si ergeva, Kyle era felice di vedere, come aveva sempre fatto, nella forma di un edificio grosso e antico, di pietra, il retro del quale si estendeva in forma circolare, e la sua parte anteriore era composta da enormi ed imponenti colonne di pietra.  Di giorno, era ancora aperto ai turisti, persino durante quel secolo. Ospitava sconvenienti folle di esseri umani.

      Ma di notte, dopo che le porte venivano chiuse al pubblico, i veri proprietari, i veri occupanti di quell'edificio, giungevano con forza: il Grande Consiglio dei Vampiri.

      Vampiri provenienti da covi grandi e piccoli, da ogni angolo del mondo, si riunivano lì. Per partecipare ad ogni sessione, per tutta la notte. Il consiglio prendeva ogni genere di decisione, dava il permesso o lo negava. Nulla accadeva nel mondo dei vampiri senza che essi lo sapessero, senza la loro approvazione.

      Tutti funzionava così alla perfezione. Quell'edificio era stato originariamente costruito per avere una funzione di tempio per gli dei pagani. Era sempre stato un luogo sacro, di riunione, per le forze oscure dei vampiri. Alla vista degli altri, era ovvio: c'erano inni agli dei pagani, affreschi, dipinti, statue ovunque. Qualunque visitatore umano che dedicava del tempo alla lettura sulla missione del luogo, non poteva immaginare che quella fosse la sua vera funzione.

      E come se non bastasse, c'erano anche dei grandi vampiri sepolti lì. Era un mausoleo vivente, il luogo perfetto per Kyle e la sua specie da chiamare casa.

      Appena Kyle percorse le scale, sembrava come se fosse tornato a casa. Camminò verso le enormi porte doppie frontali di ferro, colpendo il battente di metallo quattro volte—il segnale dei vampiri—ed attese.

      Alcuni istanti dopo, le pesanti porte si aprirono di qualche centimetro, e Kyle vide un volto non familiare. La porta si spalancò, abbastanza da lasciarlo entrare, e poi, fu sbattuta rapidamente dietro di lui.

      La robusta guardia, ancora più grossa di Kyle, lo guardò.

      “Sei atteso?” gli chiese cautamente.

      “No.”

      Kyle, ignorando la guardia, fece diversi passi verso la sala, quando improvvisamente, sentì una presa fredda, ghiacciata sul braccio e si fermò. Kyle era furioso, e stava bruciando dalla rabbia.

      La guardia vampiro lo guardò con uguale rabbia.

      “Nessuno entra senza un appuntamento,” lui scattò. “Dovrai andartene via e tornare un'altra volta.”

      “Io entro ovunque desidero,” Kyle gli rispose. “E se non togli la tua mano dal mio polso, soffrirai