Stephen Goldin

Attacco Agli Dei


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disponeste di che pagare. Non sembri particolarmente ricco.”

      “Dovrebbe accadere dopo che gli dei saranno distrutti, naturalmente. Se non lavoreremo più per loro, potremmo fornirvi manodopera per compensare il nostro debito. Ci sono minerali che gli dei considerano preziosi, ed alcuni che anche voi desiderate commerciare. Potremmo fornirvene molti di più, in cambio della nostra libertà.”

      In quel momento l’astrogatore della nave, Lian Bakori, entrò con un vassoio di cibo per il prigioniero. Dallo sguardo avido sulla faccia di Grgat mentre adocchiava il cibo, Dev giudicò che sarebbe stato meglio fare una pausa momentanea nell’interrogatorio. Erano tutti stanchi e avevano bisogno di riposo. Dopo che Bakori posò il vassoio, lasciò la cabina, spingendo fuori il proprietario e l’astrogatore davanti a lei.

      Di nuovo fuori, Dunnis l’avvicinò. “Guarda cosa ho trovato, Capitano.”

      Il sottile pezzo di metallo che teneva nella mano tesa era lungo meno di due centimetri. Sebbene avesse un piccolo kit di gambe per la mobilità, era ovviamente artificiale.

      “Dove l’hai trovato?” gli chiese.

      “Nella stiva, mentre stavamo pulendo. Avevi ragione, penso sia una di quelle cimici che usano quegli dei.”

      Dev era troppo stanca per provare piacere nel sapere che le sue supposizioni erano corrette. Si limitò ad emettere un profondo sospiro e disse, “Puoi scoprire a che frequenza sta trasmettendo?”

      “Può volerci un po’, ma... ma sì, posso.”

      “Bene. Fallo immediatamente. Poi voglio che tu costruisca un dispositivo di disturbo così che io possa spegnere i deflettori per i meteoriti. Stiamo consumando la potenza della nave.”

      “Sì, Capitano. Può volerci un po’ di tempo.”

      “Prenditi tutto il tempo che ti serve, fino alle 7:30 di questa mattina. Poi faresti meglio ad essere pronto.”

      “Ma Capitano, non ho dormito per nulla, e i test?”

      “Se non fossi andato fuori a farti una bevuta con Zhurat, niente di tutto questo sarebbe necessario. I test sono relativamente chiari – ho qualche conoscenza di ingegneria. Potrei fare i test e costruire il dispositivo di disturbo io stessa in quindici ore; mi aspetto che tu, con la tua particolare esperienza in questa materia, lo faccia in metà del tempo.”

      Dunnis aprì la bocca per protestare ancora, ma Dev lo interruppe. “Ogni minuto che stai qui a discutere con me significa un minuto in meno da dedicare al lavoro. Suggerirei che tu iniziassi adesso.”

      Con un’alzata di spalle, il massiccio tecnico si mosse pesantemente per andare ad eseguire i suoi ordini, lasciandola sola con Larramac e Bakori. “Sarò nella mia cabina se avete bisogno,” disse ai due uomini. “Ho il grande sospetto che le attività di questa notte siano solo un preludio a qualcosa di molto peggio, e vorrei riposare almeno per qualche ora prima di dovermene occupare.”

      Bakori accettò il suo annuncio con lo stesso silenzio di pietra che usava per tutte le occasioni. L’astrogatore era un Neo-Buddista ortodosso e, in quanto tale, accettava l’intero universo esattamente come si presentava. Dev non ricordava di avere mai incontrato un uomo più passivo, ma faceva il suo lavoro ragionevolmente bene e non le causava problemi, sicché lei non aveva di che lamentarsi.

      Roscil Larramac, invece, era tutta un’altra cosa. La sua espressione pensierosa ed astratta su quello che aveva detto Grgat non faceva presagire nulla di buono. Vorrei sapere cosa sta succedendo all’interno di quel suo cervello troppo impaziente, pensò Dev. Qualunque cosa sia, so che non mi piacerebbe.

       ***

      Nonostante la sua annunciata intenzione di volere dormire un po’, non ci riusciva. Si sdraiò sulle coperte della brandina pieghevole, girando continuamente gli occhi intorno a sé nella stanza. Un wc e un lavandino erano stipati insieme in un angolo, con una serie di cassette incassate che contenevano la maggior parte dei suoi effetti personali. Le pareti di metallo nudo avevano degli anelli per legarvi l’amaca a gravità zero di solito piegata in un cassetto. C’era un cronometro, una fotografia dei suoi genitori e una del dormitorio in cui aveva passato i suoi primi sette anni, alcune immagini dei pianeti che aveva visitato ed un ricamo con la sua citazione preferita di Anthropos. “Non pregare per i miracoli – creali!”

      Si chiese se sarebbe stata all’altezza del compito questa volta. Nell’arco di poche ore, i suoi problemi erano aumentati in modo esponenziale, e non le avrebbero concesso facilmente di riposare la mente.

      Aprì un libro e lo sfogliò; ma persino leggere, il suo passatempo preferito, le pareva poco interessante dopo le attività della notte scorsa. Disturbata dal non riuscire a estraniarsi così facilmente, posò il libro sul pavimento di fianco alla brandina.

      Tutti i problemi hanno delle soluzioni, ricordò a sé stessa. Bisogna solo mettere in ordine la testa. Determinata a fare questo, suddivise i suoi pensieri nelle varie componenti e le esaminò individualmente.

      Prima, gli dei. Il suo discorso all’angelo sembrava avere calmato la loro rabbia per l’esplosione di Zhurat, ma sarebbero comunque stati ancora in guardia verso gli umani. L’equipaggio della Foxfire poteva avere un’influenza dirompente in un mondo che essi facevano in modo di tenere statico – e la sua azione di accendere le schermature dei deflettori avrebbe solo fatto aumentare i loro sospetti. Gli umani sarebbero stati sotto stretto esame da ora in poi; tutti i loro comportamenti verso l’esterno avrebbero dovuto essere più che perfetti, oppure avrebbero attirato più dell’ira divina.

      Secondo, il passeggero clandestino. Gli dei potevano anche non sapere ancora che era sparito, ma una volta che l’avessero saputo, sarebbero potuti saltare subito alla conclusione giusta che si poteva essere nascosto nella nave degli umani. Come avrebbero reagito? Avrebbero chiesto agli umani di consegnarlo alla loro giustizia? Se l’avessero chiesto, lei avrebbe acconsentito? L’etica di questa situazione era incredibilmente ingarbugliata, e la sua risposta avrebbe potuto influenzare negativamente i rapporti d’affari fra gli umani e i Daschamesi per secoli.

      Terzo, le armi. Larramac glielo aveva deliberatamente nascosto, così come le aveva tenuto segreto il loro itinerario. “Ti dirò dove andiamo quando dovrai arrivarci,” le aveva detto, e tutti i suoi sforzi per ottenere maggiori informazioni erano stati vani. Sapeva che non aveva cercato di venderle sul pianeta; gli dei non l’avrebbero mai tollerato. Ma le armi la preoccupavano comunque. Il traffico di armi non era illegale; niente lo era nello spazio, dove le leggi umane non valevano. Ma questo avrebbe causato delle complicazioni a questa missione commerciale, complicazioni che lei avrebbe dovuto tenere in considerazione.

      Inoltre, lei considerava immorale il commercio di armamenti. A un Eoano fregava ben poco se gli altri sceglievano di farsi scoppiare e di perdere le loro vite – ma era considerato di cattivo gusto aiutarli a farlo.

      Avendo così elencato i problemi di cui doveva occuparsi, iniziò un elenco delle risorse a sua disposizione.

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