bene, amo il caldo, non si preoccupi», riuscii a dire, ancora una volta senza ringraziare. Perché mi era così difficile farlo? Cosa non funzionava in me?
«Questo allora non è il posto adatto a lei, se non in certi momenti dell’anno», esclamò sorridendo, «qui fa piuttosto freddo. Andiamo?». Acconsentii con il solo movimento del capo.
Mise in moto l’auto e avanzammo a passo lento verso l’uscita dell’aeroporto, senza parlare. Anche se John si era comportato in quel modo tanto gentile nei miei confronti, mi guardava e sorrideva, io non riuscivo ancora a ricambiare.
CAPITOLO 3
Le note della canzone ‘Strangers in the night’ di Frank Sinatra addolcivano il vuoto silenzio lasciato delle nostre voci. A ogni incrocio con il semaforo rosso, John mi guardava e ogni volta sembrava volermi fare delle domande. Io temevo che mi fosse posta quella che sarebbe stata per me la domanda più difficile alla quale rispondere. Il mio atteggiamento asociale e poco rispettoso nei suoi confronti, che mi aveva in qualche modo difeso fino a quel momento, non durò molto.
«Cosa l’ha portata qui Katherine?», chiese mentre volgeva lo sguardo alla strada. Poiché non dovevo ricambiare il suo sguardo con il mio e visto che la domanda non era poi tanto compromettente, pensai che avrei potuto anche dare una risposta evasiva e lui non vi avrebbe dato molto peso. Mi sbagliavo.
«Volevo cambiare aria, fare un giro da queste parti mai visitate prima in vita mia. Me ne hanno parlato tanto bene i miei amici a New York».
«Non credo sia solo questo, se me lo permette», rispose. Non l’avevo convinto per nulla, era più che evidente. In fin dei conti non avevo mai dimostrato di avere innate doti d’attrice e la menzogna non è davvero mai stata il mio punto di forza. Come sempre, però, non ero disposta a cedere vista la mia cocciutaggine, forse la mia vera e unica caratteristica.
«E lei che cosa ne sa? Una donna non può decidere a un certo punto di chiudere casa e farsi un bel viaggio? Pensa di conoscermi così bene? Non sa proprio nulla di me, in fin dei conti, non crede Beal?».
«Io dico semplicemente che non è solo questo. Lei non è una donna serena in questo momento, mostra paura verso qualche cosa, dà l’idea di essere qui alla ricerca di qualche cosa che teme di non trovare o, al contrario, di rimanere sconvolta nel caso dovesse trovare ciò che cerca. Una donna in fuga da o verso qualcosa. Proprio questo, lei sembra una donna che sta scappando da qualche cosa a gambe levate. Comunque le chiedo scusa, questi non sono affari miei e su questo ha tutte le ragioni del mondo, mi perdoni».
Ripiombammo nel silenzio, un mutismo imbarazzante. M’infastidiva che John avesse tutto quel rispetto per me, per i miei pensieri e per la mia riservatezza. Pensai che provare a conoscerlo un po’ forse non mi avrebbe causato problemi. Forse sarei riuscita a ringraziarlo alla fine del nostro tragitto.
«E lei come mai è qui John? Vive a Portland?». Immediatamente pensai che, con il mio comportamento, lui potesse risentirsi per la mia domanda. Perché mai io potevo fare domande e lui no? «Ovviamente si senta libero di non rispondermi se non lo ritiene opportuno». John mi guardò e ammiccando un sorriso andò a segno.
«Perché mai dovrei comportarmi come lei Katherine?». Scoppiò a ridere mentre mi guardava chinare il capo per proteggermi dal suo sguardo. Mi comportai come una bambina che era appena stata sgridata.
«A Portland vive ancora mia madre. Ci trasferimmo qui poco dopo la morte di mio padre, prima abitavamo a Joseph, proprio dove lei è diretta, nel Wallowa. Conosco bene la zona, per questo motivo poco fa la mettevo in guardia sulle rigide condizioni atmosferiche».
«E, lutto per la morte di suo padre a parte, come mai avete deciso di trasferirvi a Portland?».
«A dire il vero non si trattava di un trasferimento, ma piuttosto di un ritorno. Mia madre è nata e vissuta nella periferia della città. Non avendo più nessun legame con il Wallowa, ha deciso di ritornarsene qui. Io l’ho seguita, nonostante avessi allora un buon lavoro a Joseph. Lasciai tutto, feci i bagagli e venni a stare qui con lei. Ora, ultra settantenne, ha più che mai bisogno di me. E’ una donna ancora autosufficiente nonostante l’età, ma come lei può ben immaginare comincia ad avere serie difficoltà sotto diversi aspetti della vita quotidiana. A volte ha dei momenti di buio nella sua mente, durante i quali non ricorda più nemmeno il suo nome o il mio viso. Fortunatamente sono momenti ancora rari e brevi, ma la costringono a rimanere chiusa in casa. Lei è sempre stata una donna molto dinamica e questa limitazione è per lei al pari di una condanna alla reclusione. Ha una badante che si prende cura di lei».
«Era all’aeroporto John. Da dove proveniva?», chiesi forse osando troppo.
«Io ero con lei sull’aereo, Katherine, vengo anch’io da New York. Sono andato nella città per attendere a una convention, ero l’oratore».
«Non mi ero accorta di lei John».
«A dire il vero lei non poteva accorgersene, presa com’era dai suoi pensieri. Durante il volo poi, subito dopo il decollo, si è assopita. Io invece l’ho notata subito. Lei è una donna che non passa inosservata, dovrebbe saperlo questo». John parlava con sincerità e senza inibizioni, con il suo sorriso continuamente stampato in viso e un’eleganza che raramente avevo riscontrato prima in un uomo. Lo guardai e forse arrossii un poco. Si, sono sempre stata una bella donna. Mio padre lo sosteneva fin da quando ero bambina, mentre mia madre era preoccupata maggiormente per altri aspetti della mia vita, che le facevano porre l’argomento ‘bellezza’ in secondo piano. Più volte me lo sono sentita dire dagli uomini, al punto da essere giunta a convincermene. Ma lo ero, molto di più, nel mio corpo precedente. Ero una donna elegante, di una bellezza raffinata, quasi rara. Ma questo io non avrei potuto dirlo a John. Almeno non ancora.
«La ringrazio John…», accennai timidamente.
«Anche la roccia si sfalda quando dimostra di avere un cuore! E’ vero quindi!», disse con tono sicuro.
«Che cosa intende dire con queste parole?»
«Lei mi ha appena ringraziato, Katherine. Non se n’è accorta? O forse mi sbaglio?», disse, strizzandomi l’occhio in segno di complicità. Io sorrisi e annuii solo con un cenno del capo, qualunque altra parola sarebbe stata del tutto superflua e fuori luogo in quel momento.
«Le devo chiedere scusa John. Perdoni il mio comportamento scortese nei suoi confronti. Lei è così gentile con me ed io l’ho saputa ricambiare solo trattandola piuttosto male. Sono stata poco carina».
«Potrei accettare le sue scuse, ma a una sola condizione! Mi deve concedere il piacere di fare colazione con lei domani mattina, che ne dice?». Non sapevo cosa rispondere, ero imbarazzata. Poi mi venne in mente che la mattina seguente avrei dovuto prendere l’autobus per il Wallowa.
«Accetterei volentieri John, ma domani mattina dovrei tornare in aeroporto molto presto per prendere l’autobus diretto nel Wallowa. Non farei in tempo altrimenti», risposi.
«Non ne ha bisogno Katherine. La porterò io nel Wallowa se mi vorrà onorare della sua piacevole compagnia».
«No John, l’ho già disturbata anche troppo. Non permetterei mai di farle sprecare tempo prezioso per accompagnarmi fin laggiù, è troppo lontano».
«Una cosa che non ho fatto ancora in tempo a dirle nel mio racconto è che io lavoro ancora nel Wallowa».
«Come dice? Ha lasciato nuovamente Portland, quindi?», chiesi sorpresa.
«Si. Qui non mi sentivo a casa. Se non fosse stato per mia madre, non ci sarei nemmeno mai ritornato», rispose, «Non ho trovato nemmeno un lavoro che mi gratificasse come quello che avevo a Joseph. Parlai allora con mia madre e le comunicai che sarei ritornato nel Wallowa. Sarei andato a trovarla spesso. Potevo farlo perché in quegli anni non aveva mai mostrato segnali di cedimento, potevo stare tranquillo. Dopo una prima reticenza iniziale, accettò la mia scelta e mi lasciò andare via. Tornai nel Wallowa, a Joseph. Fortunatamente non era stato trovato un rimpiazzo alla mia posizione lavorativa e fui reinserito nell’organico. Vivo in una casa non molto lontana dal mio lavoro, non potrei stare meglio di così».
«E’ sposato John? Ha dei figli?»
«Sono