Блейк Пирс

Prima Che Senta


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la fine del corridoio, Mackenzie notò alcuni cartelli appesi alle pareti. Uno diceva: L’accesso al carcere richiede il tesserino. Un altro: Tutte le visite devono essere approvate dagli agenti della contea! Il permesso dev’essere presentato al momento della visita!

      La sua mente iniziò a perdersi, riflettendo su tutte le regole che dovevano esserci perché un commissariato e il penitenziario coesistessero nella stessa sede. Lo trovava piuttosto affascinante. Prima potesse indugiare ancora su quei pensieri, avevano raggiunto l’ufficio in fondo al corridoio.

      Nella vetrata nella parte superiore della porta era scritto a caratteri dorati Sceriffo Clarke. La porta era socchiusa, così Mackenzie la aprì e sentì una burbera voce maschile. Affacciandosi, vide dietro la scrivania un uomo tarchiato che parlava al telefono. Sulla sedia in un angolo era seduto un altro uomo, che digitava furiosamente qualcosa sul cellulare.

      L’uomo alla scrivania – presumibilmente lo sceriffo Clarke – smise di parlare quando lei aprì la porta.

      “Un minuto, Randall” disse al telefono, poi coprì la cornetta con una mano e spostò lo sguardo alternativamente da Mackenzie ad Ellington.

      “Siete i federali?” chiese.

      “Sì” confermò Ellington.

      “Grazie a Dio” sospirò. “Datemi un secondo.” Tolse la mano dalla cornetta e terminò la conversazione. “Senti Randall, è appena arrivata la cavalleria. Sei libero tra quindici minuti? Sì? Ok, bene, a dopo.”

      L’uomo tarchiato riattaccò e si alzò dalla scrivania. Tese una mano grassoccia verso di loro, prima a Ellington. “Piacere di conoscervi” disse. “Sono lo sceriffo Robert Clarke.” Poi indicò con un cenno del capo l’uomo seduto nell’angolo. “E quello è l’agente Keith Lambert. Il mio vice al momento è di pattuglia, in cerca di qualche indizio per questo cazzo di casino.”

      Dopo aver finito di stringere la mano ad Ellington pareva essersi dimenticato di Mackenzie, tendendole la mano quasi come un ripensamento. Mackenzie la strinse facendo le presentazioni, sperando così di fargli capire che era capace di condurre le indagini al pari degli uomini presenti. Le sembrava che fossero tornati certi vecchi fantasmi di quando era in Nebraska.

      “Sceriffo Clarke, sono l’agente White e questo è l’agente Ellington. Sarà lei il nostro contatto qui a Stateton?”

      “Tesoro, farò di tutto per voi, finché sarete qui” disse lui. “Le forze di polizia di tutta la contea ammontano a ben dodici persone. Tredici, se si conta Frances alla reception. Con un killer a piede libero, siamo decisamente in pochi.”

      “Bene, allora vediamo cosa possiamo fare per alleviare il vostro peso” disse Mackenzie.

      “Magari fosse così semplice” ribatté lui. “Anche se risolvessimo questa cosa oggi, avrò metà del comitato di vigilanza della contea attaccato al culo.”

      “Come mai?” volle sapere Ellington.

      “Be’, i notiziari locali hanno imparato chi era la vittima. Ellis Ridgeway. La madre di un viscido politico emergente. Si dice che entro cinque anni potrebbe riuscire a entrare al Senato.”

      “E chi sarebbe?” chiese Mackenzie.

      “Langston Ridgeway. Ventotto anni e si crede John Fottuto Kennedy.”

      “Ah sì?” disse Mackenzie, in parte stupita che quel particolare non fosse emerso dai verbali.

      “Già. Come abbiano fatto i giornali a ottenere questa informazione è un mistero. Il più delle volte non riescono a scrivere un articolo corretto.”

      “Ho visto le indicazioni per la Casa per Ciechi Wakeman mentre venivamo qui” disse Mackenzie. “È a soli dieci chilometri da qui, vero?”

      “Esatto” confermò Clarke. “Stavo giusto parlando con Randall Jones, il direttore. Era con lui che ero al telefono quando siete entrati. Adesso si trova nella casa, per rispondere a tutte le vostre domande. Prima fate meglio è, la stampa e alcuni pezzi grossi gli stanno già col fiato sul collo.”

      “Bene, allora ci andiamo subito” disse Mackenzie. “Lei viene con noi?”

      “Non esiste, tesoro. Sono già impantanato qui. Se volete, potete tornare qui quando avrete finito con Randall. Farò quello che posso per aiutarvi, ma sul serio... vorrei che ve la sbrigaste da soli.”

      “Nessun problema” disse Mackenzie. Non era ben sicura di come gestire Clarke. Era schietto e senza mezzi termini, il che era un bene. Inoltre, sembrava piacergli condire le sue frasi di parolacce. Pensò anche che non la chiamava tesoro a mo’ di insulto. Faceva parte dello strano fascino del sud.

      Senza contare che era a dir poco stressato.

      "Torneremo appena avremo finito alla casa" disse Mackenzie. "Ci chiami se salta fuori qualcosa di nuovo prima di allora.”

      "Naturalmente" disse Clarke.

      Nell' angolo, mentre continuava a scrivere al cellulare, l’agente Lambert bofonchiò un saluto.

      Dopo aver trascorso meno di tre minuti nell'ufficio dello sceriffo Clarke, Mackenzie ed Ellington ripercorsero il corridoio uscendo nell’atrio, dove la signora di prima, che Mackenzie immaginò fosse Frances, li salutò agitando una mano.

      "Be ', è stato... interessante", commentò Ellington.

      “Quell'uomo non sa più dove prender. Dagli tregua".

      "Ti piace solo perché ti chiama tesoro" la stuzzicò Ellington.

      "Quindi?" disse sorridendo.

      "Potrei cominciare anch’io a chiamarti così, tesoro."

      "Ti prego, evita" disse mentre entravano in macchina.

      Ellington percorse un chilometro sull'autostrada 47, per poi svoltare su una strada secondaria. Videro subito un’indicazione per la Casa per Ciechi Wakeman. Mentre si avvicinavano alla proprietà, Mackenzie iniziò a domandarsi perché qualcuno avesse scelto quella località sperduta e isolata per una casa per i non vedenti. Sicuramente c'era sotto una qualche motivazione psicologica. Forse stare in mezzo al nulla li aiutava a rilassarsi, lontano dai rumori costanti della città.

      L’unica cosa che poteva affermare con sicurezza era che, man mano che gli alberi si facevano più fitti intorno a loro, cominciava a sentirsi sempre più distaccata dal resto del mondo. E per la prima volta da molto tempo, desiderò rivedere i paesaggi familiari della sua infanzia.

      CAPITOLO TRE

      La Casa per Ciechi Wakeman non era affatto come Mackenzie se la immaginava. Contrariamente al Dipartimento di Polizia e Penitenziario della Contea di Stateton, la Wakeman era una meraviglia di architettura moderna, e lo si notava anche prima di mettervi piede all’interno.

      Le grandi vetrate ricoprivano quasi interamente la facciata dell’edificio. A metà del marciapiede che portava all’ingresso, Mackenzie poteva già scorgere l’interno. Vide un ampio atrio che pareva uscito da una spa. Aveva un aspetto accogliente ed invitante.

      Quella sensazione aumentò una volta che furono dentro. Tutto era lindo e sembrava nuovo. Facendo qualche ricerca mentre arrivavano a Stateton, aveva scoperto che la costruzione della Wakeman risaliva soltanto al 2007. La novità era stata accolta con entusiasmo nella contea, poiché aveva creato nuovi posti di lavoro e aumentato il giro d’affari. Nonostante fosse ancora uno degli edifici più eminenti della cittadina, l’entusiasmo si era placato e l’edificio sembrava essere stato inghiottito dalle campagne circostanti.

      Una giovane donna era seduta dietro un bancone curvo in fondo alla stanza. Li salutò con un sorriso, anche se era evidente che fosse turbata. Mackenzie ed Ellington la raggiunsero, si presentarono e furono invitati a sedersi nella sala d’attesa per aspettare Randall Jones.

      Come si scoprì, Randall Jones era estremamente impaziente di incontrarli. Mackenzie era seduta da non più di dieci secondi quando la doppia porta