parlare?”
Vedere sua mamma in quelle condizioni era probabilmente la cosa più difficile per Kevin. Era sempre stata così forte. Non era mai esistito problema che lei non fosse stata in grado di risolvere. E sospettava che anche lei stesse pensando la stessa cosa.
“Si tratta di una malattia molto rara, signora McKenzie,” disse il dottor Markham. “O meglio, un insieme di malattie, ciascuna che si presenta in modo diverso. Ci sono diverse forme, ciascuna causata da un’anormalità genetica che va a colpire la sostanza bianca, quella che chiamiamo guaina mielinica, del cervello. Ci sono generalmente solo un centinaio di individui che soffrono di queste malattie contemporaneamente.”
“Se lei sa cosa le causa, non può fare qualcosa?” chiese la madre di Kevin. “Non c’è qualche terapia genetica o roba del genere?”
Kevin aveva visto sua madre attaccata a internet. Ora immaginava di aver capito cosa stesse cercando. Non aveva detto nulla, ma magari aveva sperato di sbagliarsi. Magari aveva sperato di essersi persa qualche passaggio.
“Ci sono a disposizione delle terapie per alcune forme di leucodistrofia,” disse il dottor Markham. Scosse la testa. “E speriamo che in futuro possano essere di aiuto, ma Kevin appartiene a una casistica per cui non abbiamo nessuna cura definita. La cosa triste è che più rara è la malattia e meno ricerca abbiamo al riguardo, perché minori sono i fondi per quella ricerca.”
“Deve esserci qualcosa,” disse sua madre. “Qualche opzione sperimentale, qualche studio…”
Kevin allungò un braccio e posò una mano su quella di sua madre. Era così strano che fossero già grandi uguali.
“Va tutto bene mamma,” le disse, cercando di apparire come se avesse tutto sotto controllo.
“No, non è vero.” Sua madre pareva sul punto di poter crollare sotto l’effetto dello shock. “Se non c’è nulla, allora cosa facciamo adesso?”
“Usiamo le cure a nostra disposizione per dare a Kevin la miglior qualità di vita che possiamo,” disse il dottor Markham. “Per il tempo che ancora gli resta. Mi spiace, avrei voluto avere delle notizie migliori da darvi.”
Kevin guardò sua madre che si sforzava di essere coraggiosa, ricomponendosi un po’ alla volta. Era chiaro che lo stava facendo per il suo bene, e si sentì quasi in colpa per costringerla a comportarsi a quel modo.
“Cosa significa?” chiese. “Cosa consigliate esattamente di fare per Kevin?”
“Vi prescriverò delle pastiglie per contenere il dolore,” disse il dottor Markham, “e per ridurre le possibilità di attacchi. Kevin, so che le allucinazioni possono essere angoscianti, quindi vorrei che parlassi con qualche esperto di tecniche per gestirle e imparare a reagire ad esse.”
“Vuole che Kevin vada da uno psicologo?” chiese la madre di Kevin.
“Linda Yalestrom è un’esperta nell’aiuto, in particolare ai bambini e ragazzi, per gestire i sintomi che possono essere causati da malattie rare come questa,” disse il dottor Markham. “Vi raccomando vivamente di portare Kevin da lei, dato quello che sta vivendo e vedendo.”
“Non sono semplici allucinazioni,” insistette Kevin. Era sicuro che ci fosse dell’altro.
“Sono certo che a te sembri così,” disse il dottor Markham. “La dottoressa Yalestrom potrebbe essere capace di aiutarti.”
“Tutto quello… tutto quello che lei pensa possa funzionare al meglio,” disse la madre di Kevin. Kevin poteva vedere che ormai non voleva fare altro che uscire al più presto da lì. C’era però una cosa che lui doveva sapere. Una cosa ovvia che sentiva di dover probabilmente chiedere, anche se non voleva davvero sentire la risposta.
“Quanto?” chiese. “Voglio dire, quanto tempo prima che… muoia?”
Era ancora una parola difficile da comprendere. Kevin si trovò a sperare che tutto si rivelasse un errore, anche adesso, ma sapeva che non era così. Non poteva essere.
“È impossibile dirlo per certo,” disse il dottor Markham. “Il tasso di avanzamento della leucodistrofia può variare, e ogni caso è differente.”
“Quanto?” ripeté Kevin.
“Forse sei mesi.” Il dottor Markham allargò le braccia. “Mi spiace, Kevin. Non posso essere più preciso di così.”
***
Kevin e sua madre andarono a casa, la mamma guidando con il genere di attenzione che veniva dalla consapevolezza che si sarebbero andati probabilmente a schiantare se non si fosse concentrata del tutto. Per la maggior parte del viaggio fino alla periferia, rimasero in silenzio. Kevin non era certo di cosa poter dire.
Fu sua madre a parlare per prima. “Troveremo qualcosa,” disse. “Troveremo un altro dottore, troveremo una seconda opzione. Proveremo qualsiasi cura gli possa venire in mente.”
“Non puoi permettertelo,” disse Kevin. Sua madre lavorava sodo presso un’agenzia di marketing, ma avevano una casa piccola e Kevin sapeva che non c’erano molti soldi per gli extra. Cercava di non chiedere troppo, perché lo faceva solo sentire più triste quando lei non era in grado di dargli ciò che desiderava. Odiava vedere sua madre così, il che rendeva solo più difficile la cosa.
“Pensi che me ne freghi qualcosa?” chiese sua madre. Kevin ora poteva vedere le lacrime che le scendevano dagli occhi. “Sei mio figlio, e stai morendo, e… non posso… non posso salvarti.”
“Non serve che mi salvi,” disse Kevin, anche se avrebbe voluto che qualcuno lo facesse in quel preciso istante. Avrebbe voluto che qualcuno arrivasse lì subito e facesse finire tutto.
Stava iniziando a penetrare in lui il significato di tutto questo. Ciò che avrebbe significato, nel giro di un tempo più breve dell’anno scolastico stesso. Lui sarebbe morto. Sparito. Tutto quello che aveva desiderato sarebbe stato interrotto, ogni sua speranza per il futuro sarebbe stata bruciata dal fatto che non ci sarebbe stato futuro.
Kevin non era sicuro di come si sentisse al riguardo. Triste, sì, perché era un genere di notizia per cui era scontato doversi sentire tristi, e perché non voleva morire. Arrabbiato, perché sembrava che i suoi desideri non avessero importanza in questo. Confuso, perché non era sicuro del motivo per cui fosse capitato a lui, quando c’erano miliardi di altre persone al mondo.
Confronto a sua madre, però, era calmo. Lei tremava mentre guidava, e Kevin era così preoccupato che potessero andare a sbattere che sospirò di sollievo quando entrarono nella via in cui si trovava la loro casa. Era una delle abitazioni più piccole del complesso, vecchia e riparata in più punti.
“Andrà tutto bene,” disse sua madre. Non dava l’impressione di crederci. Prese Kevin sottobraccio mentre entravano in casa, ma dava più l’impressione che fosse Kevin a sostenerla.
“Sì, certo,” rispose Kevin, perché sospettava che sua madre avesse bisogno di sentirselo dire ancora più di lui. Sarebbe stato di aiuto se fosse stato vero.
Entrarono e fare qualsiasi cosa pareva sbagliato, come se eseguire cose normali fosse una sorta di tradimento dopo la notizia che il dottor Markham aveva dato loro. Kevin mise una pizza congelata nel forno, mentre di sottofondo poteva sentire sua madre che singhiozzava sul divano. Fece per andare a confortarla, ma due cose lo fermarono. La prima fu il pensiero che magari sua madre non ne avesse voglia. Era sempre stata una persona forte, quella che si prendeva cura di lui dopo che suo padre li aveva lasciati quando lui era solo un neonato.
La seconda fu la visione.
Vide un paesaggio sotto a un cielo che sembrava più viola che blu, gli alberi dalle forme strane, con fronde che gli ricordavano le palme di certe spiagge, ma i tronchi contorti come nessuna palma che lui avesse mai visto. Il cielo dava l’impressione che si trattasse del tramonto, ma il sole sembrava in qualche modo sbagliato. Kevin non riusciva a capire in che senso, perché non si era mai messo ad osservare il sole, ma era certo che non fosse il solito.
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