“Tu non puoi sapere cosa farei e cosa non farei,” disse Siobhan, la sua voce che sembrava provenire da un luogo lontano. “Credi che io pensi al mondo come fai tu. Pensi che mi fermerò, o che sarò gentile, o che ignorerò i tuoi insulti. Potrei mandarti a fare ciascuna delle cose che ho detto, e saresti comunque mia. E potrei fare con te quello che voglio.”
Kate vide allora delle cose nell’acqua. Vide figure che gridavano, tormentate dal dolore. Vide un luogo pieno di dolore e violenza, terrore e impotenza. Ne riconobbe alcuni, perché li aveva uccisi lei, o i loro fantasmi almeno. Aveva visto le loro immagini mentre la inseguivano nella foresta. Erano guerrieri che avevano giurato obbedienza a Siobhan.
“Mi hanno tradita,” disse Siobhan, “e hanno pagato per il loro tradimento. Manterrai la tua parola con me, o ti trasformerò in qualche cosa di più utile. Fai quello che voglio, o ti unirai a loro, e mi servirai come fanno loro.”
A quel punto liberò Kate e lei riemerse, sputacchiando e cercando di riprendere fiato. La fontana era sparita adesso, e loro si trovavano ancora nel cortile del fabbro. Siobhan era poco distante da lei adesso, ferma come se non fosse successo nulla.
“Voglio essere tua amica, Kate,” le disse. “Non mi vorresti avere come nemica. Ma farò quello che devo.”
“Quello che devi?” ribatté Kate. “Pensi di dovermi minacciare, o far uccidere altra gente?”
Siobhan allargò le braccia. “Come ho detto, è la maledizione dei potenti. Hai la potenzialità di essere molto utile in quello che accadrà, e io ne farò il meglio.”
“Non lo farò,” disse Kate. “Non ucciderò una qualche ragazza senza motivo.”
Kate allora attaccò, non fisicamente, ma con i suoi poteri. Raccolse insieme la sua forza e la lanciò come una pietra contro le pareti che si trovavano attorno alla mente di Siobhan. Rimbalzò via e il potere si estinse.
“Non hai il potere per combattere contro di me,” disse Siobhan, “e non ti è permesso avere scelta. Lascia che renda le cose più semplici per te.”
Fece un gesto e la fontana apparve di nuovo, con le acque che mutavano. Questa volta, quando l’immagine si stabilizzò, Kate non dovette chiedere chi stesse guardando.
“Sofia?” chiese. “Lasciala stare, Siobhan, ti avverto…”
Siobhan la afferrò ancora, costringendola a guardare l’immagine con l’orribile forza che sembrava possedere.
“Qualcuno morirà,” disse Siobhan. “Puoi scegliere chi, semplicemente scegliendo se uccidere o meno Gertrude Illiard. Puoi ucciderla, o tua sorella può morire. A te la scelta.”
Kate la fissò. Sapeva che non era una scelta, non veramente. Non trattandosi di sua sorella. “Va bene,” disse. “Lo farò. Faro quello che vuoi.”
Si girò diretta verso Ashton. Non entrò a salutare Will, Thomas o Winifred, in parte perché non voleva rischiare di portare Siobhan troppo vicina a loro, e in parte perché era certa che avrebbero visto in qualche modo quello che doveva andare a fare, e si sarebbero vergognati di lei per questo.
Kate si vergognava. Odiava il pensiero di quello che stava per fare, e il fatto di avere così poca scelta a riguardo. Doveva solo sperare che fosse solo una prova, e che Siobhan l’avrebbe fermata in tempo.
“Devo farlo,” disse a se stessa mentre camminava. “Devo.”
Sì, sussurrò la voce di Siobhan nella sua mente. Devi.
CAPITOLO DUE
Sofia tornò verso il campo che aveva costruito insieme alle altre, senza sapere cosa fare, cosa pensare e come sentirsi. Doveva concentrarsi su ogni passo al buio, ma la verità era che non riusciva a concentrarsi, non dopo tutto quello che aveva scoperto. Inciampava sulle radici, si teneva agli alberi per avere sostegno mentre tentava di capire la novità appena appresa. Sentiva le foglie che si incastravano nei suoi lunghi capelli rossi, la corteccia che le lasciava strisce di muschio addosso al vestito.
La presenza di Sienne la tranquillizzava. Il gatto della foresta premeva contro le sue gambe, guidandola verso il punto dove si trovava il carro, il cerchio di luce dei fuochi praticamente l’unico elemento di salvezza in un mondo che improvvisamente non aveva fondamenta. Lì c’erano Cora ed Emeline, l’ex serva vincolata al palazzo e la trovatella con il talento di toccare le menti, entrambe che guardavano Sofia come se si fosse trasformata in un fantasma.
In quel momento Sofia non era certa che non fosse veramente così. Si sentiva priva di consistenza, irreale come se il minimo soffio d’aria potesse spingerla via e sparpagliarla in decine di direzioni diverse, senza mai più permetterle di tornare intera. Sofia sapeva che il tragitto in mezzo agli alberi l’avrebbe trasformata in qualcosa di selvaggio. Si sedette appoggiata a una delle ruote del carro, guardando fissamente davanti a sé mentre Sienne le si accoccolava accanto, quasi come avrebbe fatto un gatto domestico, piuttosto che il grosso predatore che invece era.
“Cosa c’è?” chiese Emeline. È successo qualcosa? aggiunse mentalmente.
Cora le si avvicinò, mettendo una mano sulla spalla di Sofia. “C’è qualcosa che non va?”
“Io…” Sofia rise, anche se ridere era tutt’altro che la risposta appropriata a ciò che stava provando. “Penso di essere incinta.”
Mentre lo stava dicendo, la risata si trasformò in lacrime e una volta iniziate Sofia non poté più fermarle. Le sgorgavano fuori, e anche se non era in grado di dire se fossero lacrime di felicità o di disperazione, dovute alla tensione al pensiero di tutto quello che poteva capitarle adesso o a qualcosa di completamente diverso.
Le altre le si avvicinarono e la abbracciarono, stringendosi attorno a Sofia mentre il mondo si appannava nel caos di tutta quella situazione.
“Andrà tutto bene,” disse Cora. “Faremo funzionare le cose.”
Sofia non poteva vedere come le cose potessero funzionare in quel momento.
“Sebastian è il padre?” chiese Emeline.
Sofia annuì. Come poteva pensare che fosse qualcun altro? Poi si rese conto… Emeline stava pensando a Rupert, si stava chiedendo se il suo tentativo di stupro fosse andato oltre quello che pensavano.
“Sebastian…” riuscì a dire Sofia. “È l’unico con cui sia mai andata a letto. È suo figlio.”
Loro figlio. O lo sarebbe stato, a suo tempo.
“Cosa intendi fare?” chiese Cora.
Quella era una domanda alla quale Sofia non aveva risposta. Era la domanda che minacciava di travolgerla ancora una volta, e che le faceva salire le lacrime agli occhi al solo pensiero. Non riusciva ad immaginare cosa sarebbe successo adesso. Non poteva neanche iniziare a immaginare come sarebbero andate le cose.
Lo stesso fece del suo meglio per pensarci. In un mondo ideale, lei e Sebastian sarebbero stati sposati adesso, e lei avrebbe scoperto che era incinta, circondata da gente che l’avrebbe aiutata, in una casa calda e sicura dove avrebbe anche cresciuto il suo bambino.
Invece era fuori al freddo e al bagnato, e veniva a sapere della novità solo con Cora ed Emeline con cui poterla condividere, senza neanche sua sorella ad aiutarla.
Kate? inviò il segnale nel buio. Puoi sentirmi?
Non ci fu alcuna risposta. Forse era la distanza, o forse Kate era troppo impegnata per rispondere. Forse una decina di altri motivi, perché la verità era che Sofia non sapeva abbastanza del talento che lei e sua sorella possedevano per comprendere cosa avrebbe potuto limitarlo. Tutto quello che sapeva era che il buio inghiottì le sue parole non appena le ebbe gridate.
“Magari Sebastian verrà a cercarti,” le disse Cora.
Emeline la guardò incredula. “Pensi davvero che succederà? Che un principe verrà a cercare una qualche ragazza che ha