Powell Michael

Quattro Destini


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bene. É stata un vero toccasana. Avevo questi incubi orribili e sembra che mi abbia aiutato a scacciarli.”

      “Ragazza notevole. Perciò avete dei progetti, no?”

      “Progetti? Non direi – non abbiamo parlato di quello.”

      “Quello?”

      Ernest rimase in silenzio.

      “Ernest, tu hai bisogno di un consiglio da un amico e io te lo darò. Spero che dopo saremo ancora amici” Smith fece una pausa. “Maggie è una ragazza meravigliosa, lo so io e lo sai anche tu. É anche follemente innamorata di te” Ernest fece per interromperlo ma Smith lo bloccò. “Non interrompermi: innamorata” sottolineò, “e credo che tu provi lo stesso per lei. Ora potresti andare a caccia per anni e non trovare nessuno di più adatto per te. Perciò il mio consiglio è, solleva la questione. Non te ne pentirai, te lo prometto.”

      “Innamorata, veramente?” Ernest non fu grado di trattenere un sorriso di piacere a sentirlo. “Come lo sai?”

      “Ernest Jenkins, Tenente comandante Jenkins, devi pensare che siano tutti ciechi. Il modo in cui vi guardate, è chiaro come il sole.”

      “Ma se hai torto e glielo chiedo, sarebbe troppo imbarazzante.”

      “Segnati le mie parole, giovane Ernest, non andrà male.”

      Dopo il loro incontro presso l'ammiragliato ritornarono a Parigi. Ernest andò nel suo ufficio il giorno successivo e, quando vide Margaret arrivare, il suo cuore sobbalzò. Arrossì e guardò da un'altra parte. “Ciao straniero” disse, “bel tempo a Londra?”

      Lui parlò di un incontro produttivo, di molte informazioni da apprendere, di relazioni da scrivere e di lavoro da fare.

      Lei sembrò un po' mortificata. La stava trattando come una segretaria più che come quell'amica che pensava fosse diventata. Scoraggiata dai suoi improvvisi modi freddi, divenne brusca e professionale, porgendogli la posta che era arrivata mentre era stato via e chiedendogli se c'era qualcosa di particolare che voleva che lei facesse.

      “No, nulla per il momento. Ho lasciato alcune lettere in uscita, forse potresti batterle a macchina?”

      Lei lasciò la stanza confusa e un po' arrabbiata. Si sedette alla sua scrivania e provò a lavorare, ma il suo tono sbrigativo l'aveva realmente turbata e decise di mettere le cose in chiaro con lui. Arrivò un messaggero con un appunto per lui e lei lo portò nel suo ufficio chiudendo la porta dietro di sé.

      “Ernest, cosa è successo? Cosa c'è che non va? Sembri così freddo. Ho fatto qualcosa che ti ha turbato?”

      “Turbato? No, certo che no.” Sembrava completamente a disagio. “É solo che,” fece una pausa, goffamente, “É solo che devo dirti qualcosa.”

      “Dirmi qualcosa? Cosa? Cosa diavolo stai dicendo? Non mi dirai che sei sposato o qualcosa del genere, vero?”

      “Sposato? No!”

      “Bene, allora, vuoi dirmelo? Cosa è successo?”

      “Solo che, sai, solo che… Beh, sai.”

      “Non lo so, Ernest” stava cominciando a diventare rossa, irritata.

      “Beh, va bene. Ho pensato. Ci piacciamo, no?” Lei annuì con cautela. “Beh, bene. Sì. La cosa è, mi sono domandato se, forse, potresti considerare…”

      Fece di nuovo una pausa, arrossendo. Lei iniziò a picchiettare con il piede piuttosto irritata. “Considerare cosa? Un trasferimento, il prezzo delle prugne, la situazione mondiale – cosa?”

      “In un certo senso, sai” vide la sua espressione e si affrettò “beh, in realtà, di sposarmi.” Le parole uscirono di getto, “So che non sono un granché, mezzo storpio, un po' svitato, piuttosto timido e realmente goffo ma credo veramente che potremmo stare bene insieme, se capisci cosa voglio dire.” Mentre lo diceva aveva rivolto lo sguardo verso il pavimento completamente a disagio. Sentì lei venire verso di lui e sollevargli il mento per guardarlo negli occhi. Fu sorpreso di vedere le lacrime nei suoi occhi e, allo stesso tempo, una grande sorriso sul suo volto.

      “Stupido, certo che lo voglio. Lo aspetto da una vita. Se tu non me l'avessi chiesto ho pensato che avrei dovuto chiedertelo io il 29 febbraio del prossimo anno!”

      "Veramente? Sul serio? Accidenti, grazie… voglio dire, caspita, non posso crederci!" i suoi modi cambiarono completamente e la prese tra le braccia proprio quando entrò il suo superiore.

      “Oh, mi dispiace interromperla, ma potrebbe mettere giù la sua segretaria per un attimo, vorrei parlare del suo viaggio. Se riesce a trovare il tempo, va bene?”

      Si separarono e Margaret uscì dalla porta. Ernest sembrava imbarazzato quando il comandante la guardò uscire. “Forse le congratulazioni sono all'ordine del giorno?”

      Il sorriso di Ernest diceva tutto, “beh, sì, in realtà, si. É che…”

      “Amico non serve dire altro. Quando sarà sceso dalla sua nuvola venga nel mio ufficio, va bene?”

      Pochi mesi dopo che fu firmato il trattato di Versailles, all'inizio del 1920, in una fredda giornata di febbraio dopo essere tornati a Londra, Ernest e Margaret si sposarono nella chiesa del padre di lei con una tranquilla cerimonia. John Smith fu il suo testimone e Pauline la sua damigella d'onore. Si trasferirono nella casa dei genitori di Ernest a Deal dopo una breve luna di miele in Galles ed Ernest fu in grado di organizzare un trasferimento presso la base navale di Dover dove proseguì il suo lavoro.

      Alla fine dell'anno nacque il loro primo figlio, Godfrey, seguito, diciotto mesi dopo, da una bambina, Elizabeth.

      Capitolo 3

Germania 1918-1920

      Kurt Müller era imbarazzato. Seduto in un'ambulanza piena di soldati feriti che si lamentavano, provò vergogna per il fatto che la sua ferita fosse così insignificante. Anche la sensazione di sollievo per il fatto di abbandonare le linee tedesche che stavano rapidamente per crollare non era sufficiente per lenire la sua vergogna.

      Era stato in prima linea sulla Somma per circa dodici mesi dopo essersi offerto volontario per servire la sua patria anche se era un po' più vecchio della media dei soldati. A quel tempo, lui e i suoi compagni avevano subito una vera batosta dagli Alleati che, insieme alle truppe americane, attaccavano le loro linee da sottoterra con mine terribili e dall'alto con i carri armati resistenti al fuoco delle mitragliatrici che il suo plotone aveva usato con così grande successo in passato per falciare gli attaccanti che attaccavano a piedi.

      Il suo lavoro specifico era stato quello di riparare le mitragliatrici quando si inceppavano. Quando si era unito alle truppe, l'ufficiale di reclutamento gli aveva chiesto se aveva qualche abilità particolare, e lui aveva risposto che era bravo a riparare gli orologi.

      “Riparare orologi? A che ci serve? Gli ufficiali qui hanno orologi per dir loro quando coordinarsi e sferrare gli attacchi ma, a parte questi, non ci sono altri orologi.” Ci pensò un attimo. “Ci sono, forse potrebbe riparare fucili? Le nostre mitragliatrici si inceppano sempre e ci serve un esperto in grado di aggiustarle se i fucilieri non sono in grado di capire cosa c'è che non va.”

      Quindi a Kurt era stato fatto un breve addestramento sulla mitragliatrice standard MG 08, l'arma mortale usata dall'esercito tedesco. L'arma era fondamentalmente affidabile, ma qualche volta i proiettili si inceppavano e, anche se i casi semplici potevano essere risolti dai fucilieri, qualche volta i problemi erano più gravi e c'era la necessità dell'intervento di uno specialista.

      La settimana precedente al suo viaggio in ambulanza, mentre riparava del filo spinato appena al di là delle loro postazioni, si era procurato un taglio profondo. Anche se l'aveva pulito e bendato, l'acqua non era chiaramente pulita abbastanza e la ferita si era infettata a tal punto che uno dei medici militari aveva deciso di mandarlo indietro per farla pulire adeguatamente altrimenti avrebbe rischiato la sepsi. Nulla fu in grado di dissuaderlo e così Kurt ora si ritrovava nella invidiabile posizione di allontanarsi dalla battaglia con uomini "veramente" feriti.

      La linea tedesca si stava sfaldando. Gli eserciti alleati erano in condizioni