Congratulazioni! Stai bene?”
“Sì, sto bene, grazie,” rispose Kurt freddamente.
“Allora, cosa posso fare per te?”
“Si ricorda che una volta la aiutavo a riparare orologi?” Finkelmann annuì. “Beh, mi domandavo se ora aveva bisogno di un aiutante – part time chiaramente.”
Finkelmann sembrò dubbioso. “Beh il lavoro sta aumentando,” cominciò, “perciò un aiuto potrebbe essere utile, se hai del tempo libero.”
“Certo che ne ho,” disse Kurt. “Ho bisogno di tenere le mie mani occupate, capisce. Lavoro in hotel, ma posso venire qualche sera se a lei va bene. Posso anche procurarle del lavoro dai nostri ospiti.”
“Potrebbe andare bene – e certamente ti pagherei per il lavoro che mi porteresti.”
Gli uomini si accordarono e Kurt iniziò la settimana successiva. Questo gli procurò un piccolo reddito extra con il quale, col passare del tempo, lui e Paula furono in grado di affittare un piccolo cottage vicino all’hotel. Nel 1920 nacque un figlio che chiamarono Rolf in onore di uno degli zii di Kurt.
Capitolo 4
L'isola di Lero, come molte di quelle che ora sono le isole greche che avevano fatto parte per secoli dell'impero ottomano, aveva mantenuto per tutto il tempo il suo carattere greco. Le persone del luogo erano greche fino in fondo e i turchi li avevano ampiamente lasciati per conto loro. É nota dai locali come l'isola di Artemide, la dea della caccia, conosciuta dai romani come Diana.
Da quando gli italiani ne avevano preso possesso e avevano iniziato a costruire le strutture aeronautiche a Lepida, nella grande baia che chiamarono Porto Lago, avevano impiegato la popolazione locale per farsi aiutare. Questo era un lavoro benvenuto dalle persone che in precedenza avevano tirato avanti con fatica lavorando come pescatori o contadini sotto l'impero ottomano.
C'erano alcuni abili artigiani che avevano sviluppato le case neoclassiche nella città principale, Platanos, e sul lungomare di Agia Marina alla fine del diciannovesimo secolo. Spiros Raftopoulos era uno di questi. Era un esperto costruttore e quando gli italiani misero degli annunci per la ricerca di lavoratori che costruissero la nuova base, fece domanda e fu accettato. Questo significava un considerevole incremento delle sue entrate e così fu in grado di sistemare la casa che suo padre aveva lasciato che andasse in rovina a causa della mancanza di denaro. Fu anche in grado di sposare il suo amore, Despina, e di invitare la sua famiglia e gli amici nella piccola cappella di Agios Isidoros su un'isoletta nel braccio nord della baia di Gourna, a nord di Porto Lago. La cappella era collegata all'isola principale con una stretta passerella che era spesso impraticabile quando i temporali invernali arrivavano da sud. Nell'estate del 1920 Despina diede alla luce il loro figlio, Yiannis, chiamato così secondo la consuetudine greca in onore di suo nonno.
Spiros era diventato ben più di un semplice costruttore. Aveva un talento naturale per la progettazione, aveva imparato il disegno tecnico ed era diventato un progettista molto competente. Il suo lavoro era di aiutare a progettare le fondamenta dei grossi ganci costruiti per sollevare gli idrovolanti ospitati nella baia di Lepida, davanti alla nuova città italiana che gli italiani avevano chiamato Porto Lago. Anche se era un membro apprezzato e rispettato del gruppo, non era molto portato per le lingue e riusciva a comunicare con i manager italiani solo attraverso un interprete. Questo limitava molto la sua utilità al progetto – in particolare perché i loro interpreti non avevano esperienza nelle costruzioni e spesso avevano difficoltà con i termini tecnici.
Leggendo attentamente i progetti, Spiros aveva notato un errore nella progettazione. Controllò e ricontrollò i suoi calcoli per esserne assolutamente sicuro, ma fu in grado di vedere che c'era un potenziale errore nelle specifiche tecniche. Quella sera andò a casa preoccupato sul fatto se avrebbe dovuto sollevare il problema. Non era strettamente il suo reparto, ma si sarebbe sentito un irresponsabile se non avesse evidenziato l'errore. Decise di togliersi il pensiero il mattino successivo.
Giuseppe stava lavorando in ufficio in cantiere quando Spiros venne per esporre la sua preoccupazione sulla progettazione dell'hangar. Si guardò intorno alla ricerca dell'interprete e, rendendosi conto che non c'era, perse la pazienza e fece per andarsene.
“Buon giorno” disse Giuseppe, in greco, “Posso aiutarla?”
“No, non è nulla.” Fece per andarsene, poi si girò sorpreso,” lei parla greco?”
“Un po', sto cercando di imparare. Cosa desiderava?”
“Sto lavorando alle fondamenta dell’hangar. Non sono affari miei, lo so, ma temo che possa esserci un problema con la dimensione dei supporti per il tetto. Forse però ho torto. Non ha importanza.”
Si girò di nuovo verso la porta, ma Giuseppe lo richiamò. “E lei è?”
“Spiros Raftopoulos. Sto lavorando alle basi che tengono questi supporti. Probabilmente un errore mio,” cominciò a perdere la pazienza, “non importa.”
“Le ho progettate io. Quale è il problema?” chiese Giuseppe, con scetticismo, “mi faccia vedere.”
Spiros venne avanti e srotolò sulla scrivania il progetto che aveva con sé. Indicò le massicce travi che sorreggevano il soffitto. “Vede, queste non sembrano forti a sufficienza per reggere quell'ammontare di peso. Lei ha specificato 75 millimetri, ma con questa larghezza, credo che dovrebbero essere di almeno 150 millimetri.”
Giuseppe guardò a lungo il disegno, prese il suo regolo calcolatore per effettuare dei calcoli. Si appoggiò all’indietro e si schiaffeggiò la fronte. “Oh, vedo. Ha ragione, ho scritto la dimensione sbagliata!” disse, imbarazzato.
“Non è un problema, possiamo ancora cambiarle,” disse Spiros. “Non sono ancora state consegnate – potremmo semplicemente correggere l’ordine.”
“Grazie.” Giuseppe, ora molto sollevato, diede un colpetto sul braccio di Spiros in segno di gratitudine. “Per favore mi faccia sapere se scopre qualche altro problema.”
“Spero che non la disturbi il fatto che io venga da lei”
“Certo che no,” disse Giuseppe, “non è affatto un problema!”
Il greco fece un cenno col capo verso di lui. “Bene – grazie” disse solennemente, arrotolando il foglio e andandosene. Giuseppe srotolò la sua copia del progetto e la corresse. Non sarebbe stato per nulla popolare con i suoi capi se l’errore non fosse stato scoperto e il soffitto fosse crollato.
Quella sera, mentre andava verso casa, Giuseppe vide Spiros che usciva. “Spiros” lo chiamò, “vuoi bere qualcosa con me?”
Spiros annuì e sorrise, andando verso di lui. “Grazie, ci vorrebbe proprio.”
Andarono a uno dei nuovi bar a Porto Lago. Dopo che Giuseppe ebbe fatto un brindisi alla salute di Spiros, cominciarono a parlare del lavoro in cui erano entrambi coinvolti. L'italiano fu impressionato dalle conoscenze tecniche di Spiros e, godendosi il loro Ouzo, si accordarono che sarebbe stato un bene se avessero potuto lavorare assieme al progetto.
“Può impedirmi di fare altri errori” disse Giuseppe.
“Sono sicuro che se ne sarebbe reso conto in tempo da solo,” replicò generosamente il greco.
“Grazie. Forse sì ma se non fosse accaduto sarei finito in guai grossi.” Colpì col bicchiere il tavolo e poi toccò di nuovo il bicchiere di Spiros, con il brindisi greco “Γεια μας” (Yamas – alla nostra salute).
Il mattino seguente, Giuseppe disse al suo capo della conversazione avuta con Spiros – senza fare cenno al suo errore. “É un brav’uomo, molto esperto – e anche un bravo disegnatore. Il suo unico problema è che non parla italiano, ma visto che io parlo greco non è un problema. Ci sarebbe veramente utile. Può fare in modo che lavori con me?”
Il capo fu d'accordo, “ho sentito buone cose su di lui. L'unico rapporto negativo che ho avuto è stato riguardo al suo temperamento, perciò stia in guardia.”
Fu detto a Spiros di fare capo a Giuseppe e nel corso delle settimane successive i