Блейк Пирс

Ritorno a casa


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a chiave.

      Uscì dal soggiorno e percorse il piccolo corridoio che portava alla camera da letto. Anche lì non notò nulla di insolito. Il letto era fatto e c’era un mucchietto di vestiti sporchi di fianco alla cassettiera. Si rese conto che stava praticamente sbirciando nella nuova vita privata di suo padre e questo la mise a disagio. Non voleva pensare a lui come una persona diversa; era venuta a patti con il genere di uomo che era stato realmente e, per quanto la riguardava, era così che voleva ricordarlo sempre.

      Lasciò la camera da letto, rimpiangendo la sua decisione di venire lì. Ma, già che c’era, immaginò valesse la pena controllare tutte le stanze. Si diresse in cucina e, prima di entrare, notò la prima cosa che sembrava fuori posto.

      Il bollitore era sul pavimento. Non c’era acqua per terra ed era a più di due metri dai fornelli, dove avrebbe dovuto essere. Lentamente, si chinò per raccoglierlo. Le sue dita esitarono, sospese a pochi centimetri dal manico.

      C’era una macchia sul lato, di una tonalità rosso scuro che spiccava sull’acciaio. Non era un vero e proprio schizzo, somigliava piuttosto ad una goccia delle dimensioni di una monetina. Era una tonalità di rosso scuro che aveva visto parecchie volte, da quando lavorava al Bureau, quindi non perse nemmeno tempo a chiedersi cosa potesse essere.

      Era sangue. Sangue secco, il che significa che era rimasto sul bollitore per almeno otto, dieci ore. Probabilmente più a lungo.

      Si inginocchiò vicino al bollitore e cercò di formulare un’ipotesi nella mente. Il primo possibile scenario era che Danielle fosse venuta lì per qualche motivo e che il padre l’avesse aggredita - forse portandola via con sé. Ma non aveva senso, poiché la sua auto era ancora lì. Inoltre, se fosse stato un rapimento premeditato, sarebbe stato più attento a non lasciare prove, e il bollitore era una prova piuttosto evidente.

      Ma allora, se non è andata così, cos’è successo?

      Non ne era sicura. C’erano molte possibilità da prendere in considerazione. Ma una cosa era certa: con la porta aperta, il sangue sul bollitore, e ora due persone scomparse, aveva abbastanza elementi sospetti per sporgere ufficialmente denuncia.

      Chloe prese il telefono dalla tasca e quasi fece una telefonata al direttore Johnson, ma sapeva che sarebbe stato un errore. Tutti i casi che cominciavano così erano sempre gestiti prima dalla polizia locale. Nonostante ritenesse che il Bureau avrebbe potuto gestirlo meglio perché conosceva il passato delle due persone scomparse, era una questione che riguardava la polizia, per il momento.

      Chiamò la centrale e, mentre ascoltava la donna che rispose al telefono, fissò quella goccia di sangue chiedendosi se appartenesse a suo padre o a sua sorella.

      ***

      Le pareva surreale essere la persona interrogata. Il detective incaricato di raccogliere la sua deposizione sembrava perfettamente consapevole del terreno sul quale si stava muovendo. Registrare la dichiarazione di un agente dell’FBI riguardo una questione familiare avrebbe potuto, in fondo, essere una grandissima chance per inserire una stella d’oro nella sua carriera. D’altra parte, era sicuramente anche consapevole del fatto che quell’agente dell’FBI lo stava probabilmente studiando mentre svolgeva il suo lavoro.

      A Chloe dispiaceva per lui, davvero...perché lo stava effettivamente studiando. Era molto alto e aveva quasi cinquant’anni. Sembrava annoiato, ma anche vigile - lo stesso sguardo che aveva visto in molti altri detective in passato.

      Stava facendo un buon lavoro, anche se sembrava incerto su tutta la situazione. Era arrivato con due poliziotti, entrambi ancora intenti a ispezionare la casa. Chloe fu educata, omettendo di dire che aveva già effettuato un’accurata perlustrazione.

      “Così afferma che la porta non fosse chiusa a chiave?” le chiese il detective.

      Erano seduti sugli sgabelli della cucina, entrambi a guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa che gli era sfuggito. “Esatto” confermò Chloe.

      “Sa se di solito la lasciava aperta?”

      “No, non ne ho idea. Ma non sembra plausibile. È a Washington DC soltanto da un mese. Dubito che si sentisse già così al sicuro.”

      “Le viene in mente qualche motivo per cui suo padre potrebbe aver invitato sua sorella qui?”

      Non intendeva raccontare di quando Danielle si era introdotta nel suo appartamento per rubare il diario della madre. Se l’avesse fatto, l’attenzione sarebbe stata concentrata tutta su di lei, mentre era suo padre il cattivo qui. Si rendeva perfettamente conto che così avrebbe ostacolato le indagini, ma non aveva altra scelta che mentire.

      “Non mi viene in mente nulla. Papà ha cercato di riavvicinarsi a noi, voleva rimettere le cose a posto. Abbiamo una relazione tesa, noi tre. Danielle è sempre stata quella un po’ più disposta a credere alle sue stronzate.” Ecco la bugia. “Quindi forse l’aveva chiamata per riconciliarsi. Non lo so.”

      “Ma a giudicare dal bollitore e dal sangue che c’è sopra, potrebbe non essere andata così bene” commentò il detective.

      “È quello che temo.”

      “L’unica cosa che mi preoccupa è che il bollitore è tutto quello che abbiamo” proseguì il detective. “Certo, è sporco di sangue, ma dove sono le prove di una colluttazione?”

      “Direi che il sangue è la prova.”

      “E sa con certezza che è stato suo padre a maneggiare il bollitore? C’è qualche possibilità che sia il suo sangue, invece?”

      “Ne dubito fortemente.”

      Ma proprio mentre rispondeva, Chloe aveva iniziato a esplorare l’altra alternativa, un’alternativa che era stata troppo cieca per vedere prima, preoccupata com’era per Danielle. Se la porta era aperta e non c’erano segni di lotta...più segnali indicavano che Danielle fosse l’aggressore, piuttosto che la persona aggredita. Doveva essersene andata di fretta, dimenticandosi di chiudere a chiave la porta. E sarebbe stato più facile per lei prendere in contropiede il padre con il bollitore, poiché sicuramente lui non si aspettava che avrebbe tentato di aggredirlo.

      Ma tenne tutto questo per sé. Non poteva mettere Danielle nella posizione di essere l’aggressore. Notò che il detective la guardava con sospetto, quasi riuscisse a seguire i suoi pensieri. Dopo qualche istante, scribacchiò qualcosa sul blocchetto per appunti che aveva avuto in mano per tutto il tempo e si alzò.

      “Bene, sa già come funziona, agente Fine. Tutto ciò che abbiamo è il sangue. Lo faremo analizzare, come ben sa. E, probabilmente, voi otterreste i risultati più velocemente. Ad ogni modo, lo raccoglieremo e procederemo come da copione.”

      “Grazie.”

      “La prego di farci sapere se ha qualcos’altro da riferire. Insomma, sì ... se le torna in mente qualcosa.”

      Il suo tono lasciava intendere che intuisse che Chloe gli nascondeva qualcosa. Ma la sua espressione diceva anche che gli andava bene così. Chloe era sicura che, facendo il detective a Washington DC, sicuramente dovevano essere capitati, a lui o a qualche collega, altri casi in cui erano coinvolti agenti federali. Per quanto ne sapeva Chloe, poteva essere una cosa comune per lui.

      Doveva tenerlo bene a mente. Probabilmente non la vedeva come una sorella in preda al panico, ma come un’agente razionale che sapeva che c’era un determinato procedimento. E accidenti, sapeva che c’era un procedimento. Non poteva aspettarsi che tutti dimenticassero le leggi e il protocollo solo perché era qualcosa di incredibilmente personale per lei.

      “Lo farò. Grazie.”

      “Nel frattempo, dirameremo un avviso a tutte le unità, dando una descrizione di sua sorella e della sua auto.”

      Il detective si allontanò verso la camera da letto per raggiungere gli altri poliziotti. Anche Chloe si alzò, incerta su dove andare o cosa fare. Era ancora convinta che fosse il padre dalla parte del torto; Danielle aveva fatto cose deplorevoli in passato, ma Chloe non pensava fosse capace di uccidere.

      Il loro padre,