la maggior forza dell’Alveare,” disse Ro.
“Il fatto che tu li conosca e sia stato capace di liberartene, potrebbe farci capire come effettivamente sconfiggerli. Potremmo essere realmente in grado di vincere questa guerra.”
“Ma non sappiamo nulla,” disse Kevin.
“Potresti non sapere ciò di cui sei a conoscenza,” disse il generale. “Per cominciare, cosa sai di questa tua abilità?”
Kevin scosse la testa. “Quasi niente. Sento dei segnali e posso tradurli. Vedo cose che devono essere tradotte e il mio cervello lo fa in automatico.”
“E questa cosa lo sta uccidendo,” si intromise Chloe con tono cupo. Le sue parole bastarono a rattristare Kevin riguardo alla prospettiva del conto alla rovescia che era ripartito nel suo corpo.
“Cosa intendi dicendo che ti sta uccidendo?” chiese il generale s’Lara.
Kevin fece per rispondere e nel frattempo si alzò in piedi. Il dolore lo colpì quasi all’istante e lui si rese conto che le cose che stava provando quando erano atterrati non erano stati solo i sintomi di ciò che l’aveva inseguito da quando era uscito dall’Alveare.
Si era abituato a ignorarli e l’aveva fatto anche quando il suo corpo aveva tentato di avvisarlo che c’era qualcosa che non andava. Ora sembrava che tutto lo colpisse all’improvviso. Lo stordimento lo travolse, facendolo ruotare su se stesso e portandolo a crollare sul pavimento, inizialmente stendendo le mani in avanti per cercare di sostenersi, ma cedendo poi a una fitta che sembrò contorcergli ogni angolo del corpo.
Insieme arrivò il dolore che gli fece esplodere la testa in una supernova di agonia. Era come se qualcosa gli si spezzasse dentro, e Kevin avrebbe gridato se avesse avuto ancora il controllo sulla propria bocca. Aveva già sentito quella perdita di controllo sul proprio corpo quando altri segnali l’avevano attraversato, ma questo era diverso. Questo non conteneva la promessa di un messaggio o di una risposta: l’unica promessa sembrava quella del buio che c’era al di là, che lo minacciava di sorgere e travolgere tutto.
Kevin poteva vedere Chloe, Ro e il generale s’Lara accanto a sé, le loro labbra che si muovevano mentre parlavano. Sembrava che Chloe stesse gridando qualcosa verso di lui, ma Kevin non sentiva nulla. Era come se si trovasse dall’altra parte di una tenda, dalla quale si allontanava secondo dopo secondo.
Stava morendo, e non c’era nulla che potesse fare per evitarlo.
CAPITOLO TRE
Luna si svegliò sbattendo le palpebre alla luce, e anche quello fu una sorpresa. Quando si era addormentata, si era aspettata di scivolare nel buio e non svegliarsi più, completamente consumata dai nanobot alieni che si stavano lentamente impossessando del suo corpo. Invece poteva ancora ricordare chi era, dove si trovava e tutti gli orrori che avevano colpito il mondo.
Fu solo quando il suo corpo si alzò senza che lei ci pensasse che si rese conto che qualcosa non andava.
“No!” gridò, ma l’urlo le uscì dalle labbra solo come uno sbuffo che si rifiutava di dare risposta ai suoi comandi. Ad ogni modo non erano suoi, per niente. Qualcun altro stava tirando i fili che la controllavano.
Si guardò attorno nel complesso in cui avevano combattuto contro tutti i trasformati e gli alieni, e Luna ebbe la sensazione di non essere lei sola a guardarsi in giro in quel momento. C’erano altre cose che stavano guardando attraverso i suoi occhi, prendendo decisioni per suo conto e dando comandi senza pensare a cosa ciò potesse procurarle.
Luna cercò di opporsi con più forza possibile a quei comandi, ma non fece nessuna differenza, come non aveva fatto nessuna differenza l’ultima volta che si era trovata ad essere controllata. Si alzò invece come una prigioniera nella sua stessa carne, mentre il suo corpo iniziava a camminare verso gli altri, costretta da pareti che erano costituite dai suoi stessi muscoli. Afferrò un lungo pezzo di metallo che era affilato come un machete o un coltello. Se così facendo si tagliò le mani, non se ne accorse.
Luna non capiva. Prima i trasformati aveva afferrato gente alla cieca cercando di convertirli, intontiti dalla mancanza di un diretto controllo. Questo però… le sembrava che qualcuno la stesse usando per qualcosa di molto più concentrato, qualcosa di molto più pericoloso.
Avanzò a grandi passi, e fu solo così facendo che si rese conto di dove era diretta. Ignazio, Lupetto, Barnaby e Leon erano davanti a lei: tutti coloro di cui aveva bisogno la resistenza. Gli alieni avevano intenzione di usarla come coltello da piantare nel cuore della loro organizzazione, con lo scopo di uccidere le sole persone che veramente sapevano come poter fermare ciò che gli alieni avevano fatto. Se gli alieni fossero riusciti a ucciderli, allora chi altro avrebbe saputo come far funzionare la cura?
Luna tentò di gridare un avvertimento, ma non ebbe alcun effetto. Non uscì nessun suono, e anche se il cambiamento dei suoi occhi ora era sicuramente ovvio per chiunque la guardasse, nessuno stava guardando. Erano tutti troppo occupati a riprendersi dopo la battaglia, sistemando le ferite e tentando di trovare del cibo per la gente che per settimane non aveva provato fame o sete.
Poi Bobby, il cane da pastore, corse verso di lei ringhiando e la morse.
Luna non sentì niente, perché a quello stadio della trasformazione non poteva provare nessuna sensazione. Abbassò lo sguardo sul cane e tirò indietro una gamba, pronta a tirargli un calcio. Sapeva che l’avrebbe fatto, nonostante tutto il suo sforzo per trattenersi. Bobby arretrò, ringhiando e digrignando i denti come un lupo aizzato contro un gregge. Luna avanzò verso di lui sollevando ora il grosso pezzo di metallo.
“Bobby, cosa stai facendo?” chiese Lupetto avvicinandosi.
Luna si girò verso di lui, facendo roteare l’arma che teneva in mano e riuscendo a fargli un taglio sulla pelle anche se lui indietreggiò con un salto. Ricordava quel genere di velocità e quel genere di forza, ma non aveva mai avuto la possibilità di usarle per colpire qualcuno prima d’ora. Non si era resa conto di quanto fosse potenzialmente pericolosa.
“Luna, che succede?” chiese Lupetto, schivando un altro colpo. Luna lo vide mentre la fissava. “Oh no. No!”
Luna si lanciò contro di lui e gli altri con tutta la sua nuova velocità, esalando il vapore anche se sapeva che non avrebbe fatto nulla alle persone a cui era già stato iniettato l’antidoto. Un uomo le si parò davanti e lei lo colpì con il suo pezzo di metallo, spingendo nel contempo un’altra persona che era davanti a lei.
“Si è trasformata!” gridò Lupetto nel caos.
Poi fece l’impensabile e portò la mano alla pistola.
Luna si stava già lanciando addosso a lui e lo spinse indietro, facendogli cadere la pistola dalla mano, così veloce da non riuscire quasi a credere alla rapidità con cui si stava muovendo.
“Prendetela!” urlò Ignazio nella confusione.
Luna tirò un colpo verso di lui, sentendo che la necessità di obbedire all’Alveare aveva la meglio su ogni suo tentativo di opporre resistenza. Dentro di sé stava gridando, ma non ne veniva fuori che un debole sibilo. Una dozzina di altre persone le furono addosso in quel momento. Luna ne spinse via una, lanciandola con più forza di quanta avrebbe mai potuto credere possibile. Poi cercò di colpirne un’altra.
Lo stesso, sempre più gente le si ammassò contro, e per quanto lei sentisse la forza e la ferocia della propria condizione, si trovò bloccata tra loro. Erano troppi per poterli combattere. Soffiò fuori il vapore, nella vana speranza di poter trasformare alcune di quelle creature, di quegli umani… e mentre ci pensava si interruppe. Lei non era ciò che gli alieni volevano che lei fosse. Non avrebbe perso il collegamento con se stessa.
“È cambiata,” disse Lupetto scuotendo la testa. “È andata. Abbiamo perso Luna.”
Aveva ancora la pistola in mano, e il braccio sembrava tremare adesso, come se stesse lottando contro una decisione da prendere. Luna capiva perfettamente quale fosse quella decisione, e la odiava.
“Non