PROLOGO
Alle quindici e trenta, entrando nella casa a due piani, Tamara Bateman rammentò perché amava tanto il suo lavoro. In quanto agente immobiliare di Estes, Delaware, vedeva almeno quattro case nuove alla settimana. La maggior parte delle volte le case erano al massimo così così – copie carbone di altre abitazioni della zona, di solito con un prezzo al di sopra dei quattrocentomila dollari. Di tanto in tanto però metteva piede in una casa e sentiva una specie di brivido… la sensazione che quel luogo sarebbe diventato una casa eccezionale per qualcuno.
La casa al 157 di Hammermill Street era tra queste. Non era nuovissima come alcune di quelle che aveva mostrato in settimana, però lo era abbastanza. Costruita nel 2005 e abitata solo da una coppia sposata senza figli prima di essere venduta a un proprietario che l’aveva ristrutturata, profumava ancora di nuovo. Certo, molto si doveva alle immacolate pulizie fatte dall’impresa.
Era meravigliosa. Erano stati lucidati tutti i pavimenti, c’era una mano di vernice fresca su ogni parete e le finestre panoramiche affacciate sul giardino sul retro erano belle da morire. Con il tocco di un professionista esperto e con mobili moderni, quel posto sarebbe stato venduto presto per diventare una casa fantastica.
Ormai Tamara si occupava delle visite da due settimane, e anche se un interesse generale c’era, non era ancora stata presentata un’offerta degna. Senza mobili e così immacolata, fondamentalmente era una tela vuota. Ma stava anche cominciando a chiedersi se non fosse la mancanza di mobilio a danneggiarla.
Prese il telefono per buttare giù qualche appunto per migliorare la quotazione pubblica. Sapeva che la compilazione della scheda tecnica non era una vera e propria scienza, ma farlo le piaceva. Le sembrava di avere un metodo – quasi come fosse stata una specie di poetessa. E dato che l’indomani aveva due appuntamenti, voleva assicurarsi di presentarla nella luce migliore.
Attraversò l’ampio soggiorno e poi la meravigliosa cucina con il lavello da appoggio e gli sgabelli dall’aria industriale. Mentre cercava di trovare una parola non banale per i piani in marmo, udì qualcosa muoversi di sopra. Solo uno strascicare leggero, a malapena udibile ma sicuramente presente. Reclinò la testa e si rimise in ascolto, ed ecco che lo risentì.
Non si trattava di passi, ma di qualcosa di più morbido. Immaginò una delle finestre aperte, la lieve brezza autunnale esterna che soffiava sulle tende. Era quasi esattamente così. Però pensava che lì non ci venisse nessuno da due o tre giorni. E gli unici ad avere la chiave al momento erano lei e l’impresario.
Decise quasi di ignorarlo, però poi il rumore tornò. Stavolta fu quasi sicura che si trattasse del fruscio delle tende. Però non ce lo vedeva l’impresario a entrare per aprire una finestra – ancor meno lasciandola poi aperta.
Cercò subito di ricordare se negli ultimi tre giorni fosse piovuto. Credeva di no, ma potevano comunque essersi intrufolati uccelli e insetti di ogni genere. Irritata, Tamara marciò di nuovo per il soggiorno e su per la scala che conduceva al primo piano. Salendo i gradini ripassò a mente delle frasi che illustrassero l’ampiezza e la spaziosità delle scale.
Prima di raggiungere la cima, udì di nuovo il rumore. Stavolta più forte e più costante. E adesso non era tanto sicura che si trattasse del fruscio delle tende. Adesso sembravano proprio passi.
Ma non aveva senso. Solo il proprietario e l’impresario – un cinquantaseienne di nome Bob – avevano l’altra chiave, e adesso si trovava a New York a godersi uno spettacolo con la moglie. Tamara lo sapeva perché l’ultima volta che si erano visti se ne era lagnato. E il proprietario non si curava mai di nessuna delle sue case, una volta inserite nella lista dell’agenzia immobiliare.
E allora chi diavolo c’è lassù?
Si sorprese di se stessa quando salì qualche altro gradino. Mancavano solo due scalini al pianerottolo del primo piano. Riusciva a vederne il tappeto e il fondo delle prime due porte aperte lungo il corridoio.
Quasi disse qualcosa, ma pensò che sarebbe stato stupido. Se c’era davvero qualcuno, magari sarebbe stato meglio non informarlo della sua presenza.
Non fare la stupida, si disse. In questa casa non c’è niente da rubare. Se c’è qualcuno, o è Bob o un vicino ficcanaso. E se qualcuno è entrato vuol dire che l’impresario uscendo non ha chiuso, come un idiota. Non sarebbe la prima volta che Bob si dimentica di chiudere a chiave una proprietà dopo essere passato.
Però poi tornarono i passi, da un punto molto vicino. E poi si udì respirare – un respiro ansioso ed eccitato.
Tamara seguì allora l’istinto. Accantonò la curiosità e scattò giù per le scale. Armeggiò col cellulare per chiamare la polizia. Anche se la cosa si fosse risolta in nulla, meglio prevenire che curare. Meglio…
Udì dei passi tuonare dietro di lei. Sentì la scala tremarle sotto ai piedi. Mentre si avvicinava al fondo della scala le sfuggì un urletto che non ebbe mai il tempo di uscirle del tutto di bocca. Qualcosa la colpì forte da dietro, prendendola alla nuca e alla parte superiore della schiena.
Tamara cadde a terra. Alzò le mani per non sbattere la faccia. Nel farlo si slogò il polso. Lo udì schioccare ma ne fu solo vagamente consapevole. Stava ancora pensando a quei passi tuonanti che l’avevano