dell’aeroporto e i nostri dati satellitari hanno ora confermato quello che molti di noi sospettano fin dall’inizio – l’aereo è stato abbattuto da un missile terra-aria sparato dalle montagne circostanti. Condanniamo senza mezzi termini questo attentato codardo perpetrato ai danni di persone innocenti, e ci uniamo alla comunità internazionale nella determinazione di sconfiggere gli agenti del terrore.”
I reporter stavano già parlottando e borbottando, preparandosi a gridarle dietro domande. Anche se erano stati informati in anticipo che lei non avrebbe risposto.
“Facciamo le nostre sincere condoglianze alle famiglie delle vittime. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con voi.”
A Susan si fermò il fiato in gola. Per un attimo si sorprese a trattenere le lacrime. Pensava di aver superato quel genere di cose, di essere stata tanto indurita dalle tragedie che le emozioni non l’avrebbero più riguardata. Ma si sbagliava. Lo schianto di quell’aereo, la perdita subita dalle famiglie dei passeggeri, aveva innescato in lei qualcosa – la perdita di tantissime persone negli ultimi anni, le sue perdite, e la paura di altro in arrivo.
Le venne in mente un’immagine improvvisa – quella di sua figlia Michaela, sotto tiro, legata e assicurata a una passerella di quasi cinquanta piani su Los Angeles. La scacciò. Venne sostituita dalla brevissima, fuggevolissima immagine di un’esplosione sottoterra, una grossa porta d’acciaio che scoppiava e le fiamme che inglobavano l’uomo dei servizi segreti che camminava appena davanti a lei – il disastro di Mount Weather.
Adesso nella stanza la fissavano tutti.
Smise di seguire il discorso preparato e proseguì improvvisando. “In senso molto reale, non siamo solo con voi, ma noi siamo voi. Non per minimizzare il dolore personale di qualcuno, ma di recente tutti noi abbiamo passato le pene dell’inferno. Abbiamo perso famiglie, abbiamo perso amici – io ho perso alcuni dei miei migliori amici sulla Terra – e abbiamo perso la sensazione del sicuro e sensato mondo che un tempo avevamo. Ma riotterremo quella sensazione, e la passeremo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Queste atrocità terroristiche si fermeranno!”
Quasi involontariamente, alcuni giornalisti e operatori televisivi si misero ad applaudire.
“Ancora non sappiamo chi siano stati i perpetratori di questo attentato. Ma prometto a tutti i qui presenti e a tutti nel mondo che lo scopriremo, e che a quel punto agiremo repentinamente per consegnarli alla giustizia. Vi ripeto anche che stiamo lavorando sodo, insieme a molti alleati e amici, per creare un mondo in cui incidenti del genere non accadano.”
Adesso ci fu quasi silenzio. Stava cominciando a ripetersi. Era questo che succedeva a virare rispetto agli appunti preparati.
Un robusto uomo con la barba della prima fila sollevò una mano grassoccia. Susan non se n’era accorta, ma lui parlò lo stesso. “Quando dice ‘consegnarli alla giustizia’,” disse, “intende un tribunale?”
Susan conosceva bene quel giornalista, ma al momento le sfuggiva il nome. Era quel tipo di giornata. “Quando ne sapremo di più, ne saprete di più anche voi,” disse.
Giunse un’ondata di domande. Parlavano tutti insieme, e Susan riusciva a malapena a distinguere una parola dalla successiva. Il suo contingente dei servizi segreti cercò di farla scendere dal palco. Lei si avvicinò al microfono un’ultima volta.
“Grazie,” disse.
Attraversò la pesante porta verde a destra del palco, con dei grossi corpi che la fiancheggiavano su ogni lato. Kat Lopez era in corridoio, con in mano un portablocco. Incrociarono lo sguardo.
Susan scosse la testa. “Penso che sia andata piuttosto bene,” disse.
CAPITOLO NOVE
19:31 ora dell’Africa occidentale (13:31 ora della costa orientale)
Club per gentiluomini Millennium Koko
Lagos, Nigeria
“Giusto in tempo, proprio come ho detto.”
Eddie il Pazzo si trovava a un tavolino rotondo con tre dei suoi uomini in una lussuosa sezione VIP del club esclusivo a due piani. Attraverso la partizione in vetro, poteva osservare l’azione al piano di sotto. Non si fermava mai. Anche se la serata era appena cominciata, c’erano tre ragazze sul palco, completamente nude eccetto le scarpe dai tacchi alti, tutte a ballare sul palo.
Brave ragazze forti, sapeva lui. Acrobate. Atlete. Eddie per mesi aveva vissuto al club nelle suite per la notte, e credeva di aver provato ogni ragazza che lavorava nel locale. Nere di lì, della Nigeria e dei paesi vicini, bianche della Russia e dell’Europa orientale, asiatiche della Cambogia e della Thailandia – Eddie le adorava tutte.
Le luci brillavano di viola, azzurro e arancione. Suonavano dei bassi pesanti, ma Eddie li percepiva più che udirli – la parete in vetro era ottima per cancellare il rumore. Di sotto era appena entrato nel club un altro gruppo – una mezza dozzina di uomini con caffettani azzurri e bianchi e pantaloni coordinati, kufi in testa. Avevano tutti folte barbe, quasi in maniera comica, come se fossero barbe finte incollate alla faccia.
Parlavano con i due grossi buttafuori alla porta, ma sembrava tutto in ordine. Eddie aveva già pagato loro l’entrata – non c’era bisogno che un ingresso di tremila naira facesse da elemento di rottura o avesse come conseguenza un improvviso massacro.
“Pronti, ragazzi?” disse Eddie. “Prepariamoci a dare il benvenuto ai nostri ospiti. Attenzione ai vestiti. Cercate armi.”
Eddie sollevò una mano e fece schioccare le dita, indicando ai due camerieri alla porta di portare fuori lo champagne. Era il modo di Eddie di fare il simpatico. I suoi ospiti erano musulmani salafiti che mai si sarebbero sognati di bere alcol. Però probabilmente si sarebbero divertiti molto a uccidere la gente che lo beveva.
E le ragazze nude? Che ballavano? Ciò portava la cosa a tutt’altro livello. Anche solo tenere la riunione al club era un altro modo di fare i simpatici. Eddie faceva Eddie, così dicevano alcuni.
I visitatori adesso stavano salendo la scalinata dal tappetto rosso e Eddie riuscì a vedere che due di loro erano i maggiori ricercati della Nigeria – vivi o morti. Preferibilmente morti. Gli altri erano uomini grossi, guardie del corpo.
Una delle guardie aprì la porta di vetro e il gruppo entrò. Eddie si sollevò dal suo posto al tavolino, così come i suoi. Con la coda dell’occhio, vide una coppia dei suoi ragazzi tutti prurito alle dita – erano ansiosi, pronti a ficcarsi le mani nelle giacche ed estrarre le pistole.
“Fermi,” disse. “È una visita in amicizia.”
Il leader andò dritto da Eddie. Era basso e magro, con una lunga e folta barba che mostrava striature di grigio. Aveva la pelle nero scuro e il viso era segnato da grinze e solchi. Quell’uomo aveva trascorso molto tempo nel grande Sahel, col sole a battergli addosso.
“Yisrael Abdul Salaam,” disse Eddie allungando le braccia. “Benvenuto a casa mia.”
“As-Salaam-Alaikum,” disse l’uomo.
Eddie scosse la testa e sorrise. “Come vuoi.”
“Edward,” disse il più piccolo, “ti conosco da quand’eri ragazzo, e sei sempre stato una fonte di guai. Ma questo…” Fece un cenno all’ambiente. Aveva gli occhi svegli e non sorrideva. “Questo è il lavoro del diavolo. Dovrei ucciderti per avermi costretto ad attraversare un tale covo di immoralità.”
Adesso Eddie smise di sorridere. L’ultima cosa che voleva era una ramanzina da un fanatico religioso. “Il mondo sta cambiando,” disse. “Questa è la nuova Nigeria. Soldi veloci, vita veloce, posti bellissimi, donne bellissime. Tu e il tuo dio siete relitti del passato. E l’orologio ticchetta.”
Gli occhi di Yisrael non vacillarono mai. “Prima della tua morte, che Allah ti faccia recidere quella sporca lingua dalla bocca.”
Tolte di mezzo le amenità, Eddie indicò il tavolino. “Ci accomodiamo