Джек Марс

Regno Diviso


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voltò. Aveva in mano un piccolo revolver – una vecchia .38 Special.

      Sopra Ed volò un’ombra, che raggiunse l’uomo e gli fece partire la pistola di lato proprio quando questi fece fuoco.

      BANG!

      E poi il vecchio era sulla schiena, l’ombra ormai si era rivelata essere un uomo – un uomo con addosso un giubbotto giallo riflettente. L’uomo dell’SRT – Anderson, l’ex operatore della Delta – gli passò un braccio attorno alla gola. La calibro .38 scivolò via sul pavimento.

      “Penso che sia il soggetto,” disse Anderson oltre la spalla.

      Ed si alzò. “Tutto libero?” Ed parlò nel microfono. “Datemi i liberi.”

      “Libero.”

      “Libero.”

      “Libero.”

      “Qualcuno di ferito? Qualcuno è stato abbattuto?”

      “Abbiamo due giovani legati di sotto,” disse una voce dietro di lui. Ed si voltò ed era King. “Abbattuti, ma non feriti. Rodriguez ha radunato le donne e i bambini e li tiene nel soggiorno.”

      Ed lanciò un’occhiata al letto. Era una vecchia branda instabile. Le coperte erano state sparpagliate dappertutto. Sul pavimento c’erano un paio di mascherine per gli occhi. Il vecchio probabilmente dormiva, fino a un minuto prima.

      Anderson lo aveva legato con le fascette e al momento gli stava mettendo un sacco di tela sulla testa.

      “Mustafa Boudiaf?” disse Ed.

      Il vecchio scosse la testa. “Chi lo vuole sapere?”

      Ed tornò a voltarsi verso King. Guardò dritto nella telecamera di King. Fece un bel sorriso per gli amici a casa.

      “Vedi, Stone? Facile come bere un bicchier d’acqua. Duro, veloce, assolutamente devastante. Nessuna possibilità di resistenza significativa. È così che si fa un’entrata turbolenta.”

      CAPITOLO SETTE

      11:45 ora della costa orientale

      McLean, Virginia

      Si incontrarono in un ristorantino di fronte al famoso arco di McDonald. Il locale si trovava a dieci minuti dal quartier generale. Luke era arrivato prima, e sorseggiava il caffè. Si trovava a un tavolino a un grosso bovindo, e un po’ guardava la CNN sul grosso televisore montato dietro al bancone.

      Luke aveva appena trascorso due ore con Mustafa Boudiaf. Stava avendo problemi a levarsi la cosa dalla mente.

      L’unico luogo del quartier generale dell’SRT in cui si potesse fumare era la sala interrogatori. Avevano dato a Boudiaf caffè e sigarette, e lui aveva bevuto e fumato per tutto il tempo. Ma la cosa non lo aveva addolcito neanche un po’.

      Boudiaf voleva un avvocato. Boudiaf voleva fare una telefonata. Boudiaf voleva sapere se era in arresto. Boudiaf apparentemente aveva visto molta televisione.

      “Che cosa sa dello schianto aereo avvenuto in Egitto?” disse Ed.

      La visione di un gigantesco nero che gli incombeva sopra non pareva terrorizzante, per Boudiaf. Scosse la testa. “Non so nulla di uno schianto aereo. Dormivo quando avete invaso casa mia.”

      “Dove sono finiti tutti i mobili?” disse Ed.

      Boudiaf scrollò le spalle. “Sono poverissimo. Questa è l’America. Lavoro di continuo ma non ho soldi. Non ho mobili. Quello che avete visto è tutto quello che ho.”

      Luke quasi rise. “E se le dicessi che sappiamo che tre giorni fa ha spedito tutti i mobili in Pennsylvania? Che cosa strana da fare, no? Spedire i propri mobili e tutti i propri averi nell’entroterra. Perché mai farlo?”

      Luke fece una pausa.

      “Stava facendo questo?”

      Boudiaf lo guardò. “Lei chi è, scusi?”

      “Chi sono non ha importanza.”

      “Ne ha, perché le porterò via il lavoro.”

      Luke scosse la testa. “Non è la prima persona a dirmelo.”

      “Deve accusarmi di un crimine o rilasciarmi. Dato che non ho commesso crimini, non c’è nulla di cui accusarmi. State infrangendo le vostre stesse leggi.”

      Luke scrollò le spalle. “So che ha fretta perché domani sera ha un aereo da prendere.”

      Boudiaf non fece alcun tentativo di nasconderlo. “Sì, esatto. Torno a casa.”

      “Pensavo che casa sua fosse questa.”

      “Lei è proprio sciocco.”

      D’un tratto, Ed colpì nel segno. “Perderà l’aereo,” disse piano, con tono pratico.

      L’idea fece arrabbiare Boudiaf. “Dovete rilasciarmi!” gridò. “Siete uomini morti, lo capite? Siete tutti uomini morti!” Poi si fermò e fece un respiro profondo, apparentemente accorgendosi di quello che aveva appena fatto.

      “E perché siamo uomini morti?”

      Boudiaf scosse la testa. “Non lo so.”

      “Come moriremo?”

      “Non so neanche questo.”

      A Boudiaf crollarono le spalle, e il suo linguaggio del corpo cambiò. Un attimo prima era nervoso, sedeva bello dritto, pronto a resistere. Adesso si sistemava sulla sedia, apparentemente rassegnato a un terribile destino.

      “Devo far arrivare un messaggio alla mia famiglia.”

      Ed annuì. “Glielo manderemo noi. Questo posso prometterglielo.”

      “Se siete onesti, trasmettete questo messaggio. Se non vengo rilasciato, devono salire sull’aereo senza di me e lasciarmi indietro.”

      Boudiaf voleva che la sua famiglia se ne andasse. Prima che accadesse cosa?

      Ora, nel ristorante, accostò l’auto. Era un SUV Navigator nero della Lincoln con finestrini oscurati, che si muoveva lentamente e con cautela sulle strade scivolose di neve. A volte per Luke era facile dimenticare che la nonna materna di Gunner era la discendente dell’uomo che aveva inventato la vernice per pavimenti nella metà dell’Ottocento; il suo prodotto era ancora in uso più di centocinquant’anni dopo. Ovvio, la fortuna originaria era stata diluita nelle generazioni successive, ma i nonni di Gunner avevano molto denaro.

      Gunner frequentava una scuola privata e viveva in una grande villa di pietra in fondo a un lungo vialetto. Un autista lo portava dove voleva. Non respirava l’aria raffinata dell’élite miliardaria come le figlie di Susan, però…

      Era un bene. Luke voleva solo il meglio per Gunner, cose che non avrebbe mai avuto se a pagare fosse stato il buon salario statale di Luke. E per quanto Luke avesse voglia di vederlo tutti i giorni, era un bene che Gunner vivesse in un posto dove la gente era sempre a casa. Non lo poteva fare col padre – Luke era via spesso.

      Osservò il ragazzino smontare dall’auto, chiudere la portiera e, senza uno sguardo indietro, mettersi in cammino nella neve fino all’ingresso del ristorante. Indossava un lungo cappotto di lana grigia, stivali pesanti e aveva una sciarpa rossa avvolta attorno alla gola. Era alto e magro. A Luke ricordava un giovane gentleman inglese.

      Luke sorrise. Il ragazzo stava facendo esperimenti con la sua immagine pubblica. Era quello che si faceva a quell’età.

      Gunner entrò, fermandosi un attimo nell’atrio per pulirsi gli stivali dalla neve e dal fango. Percorse l’ala con semplice grazia e scivolò al tavolino, di fronte a Luke. Aveva gli occhi grandi e azzurri e sorrideva.

      “Ciao, papà,” disse.

      “Ciao, Gunner. Perché sorridi?”

      Gunner scrollò le spalle.