e altamente tecnologico. Una cascata di pietra accoglieva la gente all’ingresso, con un messaggio intagliato di Abramo Lincoln: Coloro i quali sono pronti a sacrificare la libertà per la sicurezza alla fine perderanno entrambe.
A Stone pareva che Lincoln parlasse a lui personalmente. Un’agenzia come lo Special Response Team era stata ideata per l’azione rapida, talvolta sciolta dalla burocrazia, dalle direttive e dalle leggi che rallentavano gli altri. L’obiettivo era la sicurezza, ovvio, la protezione degli innocenti, ma ci doveva essere un equilibrio – non facevano legge a sé. Era importante ricordarlo.
Si guardò attorno nella lobby prima di recarsi nel suo ufficio. Difficile a credersi. Mi sono dato un pizzicotto per essere sicuro di non sognare. Non era così che diceva a volte la gente? A Stone cose così non piacevano, i modi di dire, ma in questo caso era vero.
Il nuovo quartier generale dell’SRT era il vecchio quartier generale di anni prima ma sventrato, spogliato fino all’ultimo bullone e totalmente trasformato. Dall’esterno il tozzo edificio a tre piani di vetro e cemento sembrava assolutamente scialbo e funzionale, come l’edificio di un’università statale degli anni Settanta o un vecchio condominio russo dell’era di Chruščëv.
Ma il nuovissimo elicottero Bell 430 nero curvo sull’elisuperficie con il logo dell’SRT bianco brillante sul fianco poteva dare un barlume di quello che si sarebbe trovato all’interno dell’edificio. C’erano uffici al pianterreno e al secondo piano, e una sala conferenze e un centro di comando all’avanguardia quasi a livello della sala operativa della Casa Bianca.
Aveva ogni innovazione tecnologica scaturita dai più fervidi sogni di Mark Swann – incluso un vivaio di server personali, una rete criptata da cui Swann poteva avere accesso facilmente a satelliti spia e programmi di sorveglianza dati come ECHELON e una stanzina apposita per il pilotaggio di droni. La palestra (completa di attrezzatura cardio, macchine per la pesistica e una sala di allentamento abbondantemente insonorizzata) e la mensa si trovavano al secondo piano. Il poligono di tiro insonorizzato era nel seminterrato.
L’agenzia aveva venti impiegati, le dimensioni perfette per rispondere rapidamente agli eventi in corso, leggera e con totale flessibilità. Il nuovo SRT stava vivendo la sua infanzia, e stavano ancora costruendo squadre ed erano ancora al lavoro per indurre le star a lasciare organizzazioni private, altre agenzie governative e l’esercito.
Scorporato dall’FBI e ora organizzato come subagenzia dei servizi segreti, l’organizzazione limitava le interazioni di Luke con la burocrazia federale. Faceva rapporto direttamente alla presidente degli Stati Uniti, cosa che al momento pareva funzionare benissimo.
Trudy Wellington fece capolino col capo fuori dal suo ufficio al passaggio di Luke. Sedeva sulla sedia da ufficio e l’aveva fatta ruotare fino alla soglia.
“Luke, ho una cosa per te.”
Lui abbassò lo sguardo su di lei e finse una reazione a scoppio ritardato. “Ma non ce l’hai una casa?”
Sorrise e scosse la testa. “Lo sai dov’è casa mia.”
Trudy era la sua analista dati dell’intelligence, e aveva l’ufficio a tre metri dal suo. Trudy era snella e bella come non mai con un caldissimo cappotto di lana verde e blue jeans. Aveva eliminato i grossi occhiali rotondi dalla montatura rossa che la facevano sembrare un gufo e dietro cui si nascondeva. Adesso i suoi begli occhi azzurri erano in primo piano. Quegli occhi davano sempre l’idea di osservare Luke con attenzione.
Trudy era un mistero avvolto in un enigma. Per anni Luke aveva fatto affidamento su di lei per dati e creazione di scenari. Ma le cose si erano complicate. Dopo il disastro di Mount Weather, dopo che il capo dell’SRT originale, Don Morris, era rimasto implicato in un complotto per rovesciare gli Stati Uniti, era venuto fuori che Trudy aveva avuto una lunga relazione con lui. Era stata arrestata e incarcerata senza rilascio su cauzione perché sospettata di cospirazione in tradimento. Ciò sarebbe dovuto bastare per squalificare chiunque dal lavorare ancora nell’intelligence. Ancora peggio, dopo essere uscita di prigione, era scomparsa. Dei luoghi in cui aveva vissuto nell’anno della sua latitanza si rifiutava di parlare. Le cose erano complicate.
Comunque Luke l’aveva assunta per lavorare nel nuovo SRT lo stesso. Trudy e Luke avevano avuto un breve flirt durante la crisi dell’ebola, cosa di cui non parlavano mai e che sembravano essersi gettati alle spalle. E Trudy era preziosa per la sua capacità di raccogliere informazioni e ricavarne un senso. Era, per Luke, la migliore nel lavoro.
“Ok,” disse Luke. “Cos’hai per me?”
“È qualcosa da parte di Swann.”
“Swann è qui?” disse Luke.
Scosse la testa. “Certo che no. Sono le sette del mattino. Ma è sveglio e me l’ha mandato pochi minuti fa. Come sai, abbiamo una breve lista di persone che teniamo sotto controllo. Una di queste è un uomo che si chiama Mustafa Boudiaf.”
Trudy si voltò verso il suo ufficio e raccolse il tablet dalla scrivania. Luke la seguì sull’uscio. Lei scorse alcune informazioni.
“Mustafa Boudiaf,” disse. “Vive a Baltimora. Sessantatré anni, cittadino americano, nato in Algeria durante la guerra d’indipendenza algerina. È venuto nel nostro paese quando aveva nove anni. Ha trascorro buona parte dell’infanzia ad Algeri e ha assistito alle atrocità commesse sia dai francesi che dall’FLN.”
“Come facciamo a saperlo?” disse Luke.
Trudy scrollò le spalle. “Ascoltiamo le sue conversazioni telefoniche.”
Luke annuì. “Ok.”
“Boudiaf pare essere un finanziatore dei movimenti islamici estremisti del Nordafrica. Swann ha tracciato il movimento di grosse somme di criptovalute nel dark web, e con minore estensione per popolari piattaforme di commercio di valute digitali come Coinbase. Sono piattaforme prive di regolamentazione, ma abbastanza facili da tenere sotto controllo.”
“Qual è la sua copertura?”
“Fa l’autista Uber, lavora soprattutto di notte, spesso tardi. Crediamo che incontri donatori e altra gente della sua rete fingendo di far salire passeggeri. Una volta in auto, sono liberi di parlare per tutta la durata del viaggio. Swann lo ha tracciato e l’ha visto raccogliere passeggeri fino a Philadelphia, nel New Jersey settentrionale e New York. Arriva regolarmente a Washington DC così come a Norfolk.”
“Ottimo,” disse Luke. “Abbocco. Perché oggi ce l’abbiamo sul radar?”
Trudy sollevò un indice.
“Stamattina, alle quattro e dodici, pochi minuti dopo lo schianto dell’aereo nel Sinai, Boudiaf ha risposto a una telefonata. Swann ha detto di non essere stato in grado di tracciarla, ma veniva da fuori degli Stati Uniti. L’uomo che ha chiamato ha parlato in arabo. È stato breve. Ha detto una frase che tradotta significa Fatto. Poi ha riappeso.”
“Interessante,” disse Luke. “Ma probabilmente da solo non basta.”
“Questa è una cosa,” disse Trudy. “La seconda è che Mustafa Boudiaf si sta preparando a lasciare il paese. Tre giorni fa un furgone dei traslochi ha accostato a casa sua, a Baltimora. Gli operai hanno portato fuori di casa un sacco di mobili, scatoloni e attrezzature elettroniche e sono partiti con la roba. Invece di portarla in un’altra casa, l’hanno portata in un magazzino – un magazzino fuori Harrisburg, Pennsylvania.”
“Curioso,” disse Luke.
“Swann dice che due sere fa Boudiaf ha acquistato biglietti d’aereo di sola andata per sé e la sua famiglia per Algeri. Il volo parte domani sera dal JFK, presumendo che la tempesta di neve si attenui. La casa in cui vive è in affitto. Tra pochissimo Mustafa Boudiaf sarà scomparso, e sarà come se non fosse mai stato qui.”
“Che ti dice la pancia?”
Trudy annuì. “È coinvolto nell’abbattimento dell’aereo. Forse di pochissimo, forse di molto. Come minimo sapeva in anticipo dell’attentato. E ora sta per partire.”
“Sono