alla conversazione. Avviò l’auto e iniziò a guidare, per colmare il vuoto.
“Non sei una che parla molto, vero?”chiese Shelley. Fece una pausa prima di aggiungere, “Non importa. Sto soltanto cercando di capire come sei.”
La vittima non se lo meritava, questo era vero. Zoe lo capiva, se ne rendeva conto. Ma quello che è fatto, è fatto. Adesso avevano un lavoro da svolgere. I secondi passavano, oltre i limiti normali di una risposta attesa. Zoe lo sapeva, ma non riusciva a trovare nulla da dire. Il tempo era scaduto. Se avesse parlato ora, sarebbe apparsa soltanto più strana.
Cercò di concentrarsi e mantenere un’espressione triste mentre guidava, ma le risultò troppo difficile fare entrambe le cose contemporaneamente. Smise di provarci e il suo viso si rilassò, assumendo il solito sguardo vuoto. Non che non pensasse o che non provasse emozioni. Era semplicemente difficile pensare all’aspetto della sua espressione e controllarlo intenzionalmente, mentre la sua mente era impegnata a calcolare la distanza esatta tra ogni indicatore presente sulla strada e ad assicurarsi di restare a una velocità che avrebbe impedito all’auto di ribaltarsi, nel caso avesse dovuto sterzare su questo tipo di asfalto.
Imboccarono la strada, seguendo la superficie più scorrevole che curvava attraverso il paesaggio piatto. Zoe aveva già capito che sarebbe andata nella direzione giusta e avrebbe raggiunto il colpevole nel caso stesse correndo in linea retta. Spinse il piede sull’acceleratore, sfruttando il vantaggio offerto dall’asfalto.
Una voce crepitò alla radio, ridestando Zoe dai propri pensieri.
“Abbiamo avvistato il sospettato. Passo.”
“Ricevuto,” replicò Shelley. Era meticolosa e non perdeva tempo, cosa che Zoe apprezzava. “Coordinate?”
Il pilota dell’elicottero ripetè velocemente la sua posizione e Shelley indirizzò Zoe con la mappa. Non dovevano cambiare direzione, stavano andando proprio verso l’obiettivo. Zoe strinse la presa sul volante, provando il consueto brivido di conferma. Le sue supposizioni si erano dimostrate corrette.
Fu soltanto questione di attimi prima che notassero l’elicottero volteggiare in aria sopra un’autopattuglia locale; a quanto pare, i due occupanti erano usciti e avevano atterrato il criminale. Era disteso sulla sabbia, sconvolto e scalciante, e imprecava.
Zoe accostò e Shelley uscì immediatamente, trasmettendo informazioni alla radio portatile. Un gruppetto di agenti con i cani si stavano già avvicinando da sud-est; gli animali abbaiavano in preda all’eccitazione di aver scoperto la fonte dell’odore che avevano rilevato.
Zoe raccolse la mappa lasciata da Shelley, confrontandola con il GPS. Si trovavano nel raggio di duecento metri dal punto in cui aveva ipotizzato che lui sarebbe stato, lungo una traiettoria dritta. Doveva essere scappato dalla formazione rocciosa dopo aver sentito i cani.
Si concesse un sorriso di successo, uscendo dall’auto per unirsi agli altri con rinnovato vigore. Fuori, sotto il sole cocente, Shelley le rivolse un sorriso di rimando, ovviamente felice che avessero già chiuso il loro primo caso insieme.
Più tardi, tornate in auto, si ristabilì il silenzio. Zoe non sapeva cosa dire, non lo sapeva mai. I convenevoli restavano un mistero assoluto per lei. Quante volte, esattamente, era lecito parlare del clima, prima di trasformare il discorso in un cliché? Per quanti viaggi avrebbe potuto impegnarsi in conversazioni sterili riguardanti cose senza importanza, prima che il silenzio diventasse socievole anziché imbarazzante?
“Non hai parlato molto, lì fuori,”disse Shelley, rompendo finalmente il silenzio.
Zoe esitò prima di rispondere. “No,” riconobbe, cercando di apparire amichevole. Non c’era molto altro da aggiungere, a parte convenirne.
Il silenzio si appesantì. Zoe calcolava i secondi nella sua mente, rendendosi conto che era ormai trascorso il tempo di una normale pausa nella conversazione.
Shelley si schiarì la voce. “Con i partner che ho avuto durante l’addestramento, cercavamo di comunicare durante il caso,” disse. “Lavorare per risolverlo insieme. Non da soli.”
Zoe annuì, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada. “Capisco,” rispose, anche se provava un senso crescente di panico. Non capiva, non completamente. In un certo senso si rendeva conto di come le persone si sentissero in sua presenza, perché glielo dicevano sempre. Ma non sapeva cosa avrebbe dovuto fare al riguardo. Ci stava già provando, ci provava con tutte le sue forze.
“Parlami, la prossima volta,” disse Shelley, sprofondando nel suo sedile come se fosse tutto chiarito. “Dovremmo essere partner. Desidero davvero lavorare con te.”
Questo non prometteva bene per il futuro. L’ultimo partner di Zoe si era impegnato per almeno un paio di settimane, prima di lamentarsi di quanto lei fosse silenziosa e distaccata.
Questa volta aveva pensato che sarebbe andata meglio. Non le aveva forse comprato un caffè? E Shelley le aveva sorriso, prima. Avrebbe dovuto acquistare altre bevande per spostare l’equilibrio? Esisteva una determinata quantità alla quale puntare per rendere la loro relazione più piacevole?
Zoe fissò la strada sfrecciare davanti al parabrezza, sotto un cielo che iniziava ad oscurarsi. Sentiva di dover aggiungere qualcos’altro, sebbene non immaginasse cosa. Era tutta colpa sua, ne era consapevole.
Sembrava sempre così facile per gli altri. Parlavano, e parlavano, e parlavano, e diventavano amici da un giorno all’altro. Lo aveva visto accadere così tante volte, ma non sembrava ci fosse alcuna regola da seguire. Non dipendeva da un determinato periodo di tempo o da un certo numero di interazioni, o dalla quantità di cose che le persone dovevano avere in comune.
Erano soltanto magicamente brave ad andare d’accordo con altre persone, come lo era Shelley. Oppure non lo erano. Come Zoe.
Non capiva cosa stava sbagliando. Tutti le ripetevano continuamente di comportarsi in modo più caloroso e amichevole, ma cosa voleva dire, in pratica? Nessuno le aveva mai fornito una guida che spiegasse tutte le cose che avrebbe dovuto sapere. Zoe strinse ancora più forte il volante, cercando di non far capire a Shelley quanto si sentisse turbata. Era l’ultima cosa che voleva che la sua partner capisse.
Zoe si rese conto di essere lei stessa il problema. Non si illudeva. Semplicemente, non sapeva come essere diversa, come facevano gli altri, e provava imbarazzo per il fatto di non averlo mai imparato. Ammetterlo sarebbe stato, in qualche modo, anche peggio.
***
Il volo verso casa fu ancora più imbarazzante.
Shelley sfogliava distrattamente le pagine di una rivista femminile che aveva acquistato in aeroporto, rivolgendo ad ogni pagina non più di uno sguardo superficiale prima di arrendersi e voltare pagina. Una volta letta tutta, dall’inizio alla fine, guardò verso Zoe; quindi, dopo aver pensato meglio all’eventualità di intraprendere una conversazione, aprì nuovamente la rivista, dedicando più tempo agli articoli.
Zoe odiava leggere cose come quella. Le immagini, le parole, qualsiasi cosa venisse fuori dalle pagine. Dimensioni dei caratteri e volti, articoli contraddittori. Immagini che pretendevano di provare che una celebrità si era sottoposta a chirurgia estetica, mostrando soltanto i naturali cambiamenti che il viso subiva nel tempo e con l’età, facilmente rilevabili da chiunque avesse avuto conoscenze di base della biologia umana.
Più volte, Zoe si era sforzata di pensare a qualcosa da dire alla sua nuova partner. Non poteva parlare della rivista. Cos’altro avrebbero potuto avere in comune? Le parole non le venivano.
“Ottimo lavoro con il nostro primo caso,”disse infine, bisbigliando, senza avere quasi neanche il coraggio di dire questo.
Shelley alzò lo sguardo con un’espressione sorpresa, occhi larghi e vaghi per un istante, prima di liberare un sorrisetto. “Oh, si,”disse. “Abbiamo fatto un buon lavoro.”
“Speriamo che il prossimo vada altrettanto liscio.” Zoe sentì le sue interiora prosciugarsi. Perché chiacchierare le veniva così male? Stava impiegando ogni stilla di concentrazione per portare