Блейк Пирс

Il Volto della Morte


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e digitò una risposta prima che potesse cambiare idea.

      Sarei felice di incontrarti. Quando va bene per te? Z.

      ***

      “Dopo di te,” disse lui, sorridendo e indicando il paniere.

      Zoe sorrise di rimando e prese un pezzo di pane, la sua mente calcolò automaticamente la larghezza e lo spessore di ogni fetta per prendere quella di dimensione intermedia. Non voleva apparire troppo ingorda.

      “Allora, di cosa ti occupi, John?”domandò Zoe. Era piuttosto semplice iniziare la conversazione in questo modo e lei aveva avuto abbastanza appuntamenti per sapere quale fosse la prassi. Inoltre, era sempre un’ottima idea assicurarsi che lui avesse un buon reddito.

      “Sono un avvocato,” rispose John, prendendo la sua porzione di pane. Il pezzo più grande. Qualcosa come trecento calorie. Si sarebbe quasi saziato prima dell’arrivo della portata principale. “Mi occupo principalmente di controversie sulla proprietà, quindi non c’è molta sovrapposizione fra il tuo lavoro e il mio.”

      Zoe ricordò la retribuzione media per un avvocato che si occupa di proprietà nella loro zona e annuì senza dire nulla, mentre i calcoli iniziarono a lampeggiare nella sua mente. Insieme avrebbero guadagnato abbastanza per un mutuo su una proprietà con tre camere da letto, e questo tanto per cominciare. Una camera per i bambini. Abbastanza opportunità di carriera per rimodernarla in futuro.

      Anche il suo viso era quasi simmetrico. Buffo quanto spesso fosse capitato ultimamente. C’era soltanto una piega, un certo modo che aveva di sorridere che gli sollevava la guancia destra, mentre quella sinistra restava più o meno nella stessa posizione. Un sorriso asimmetrico. C’era qualcosa di affascinante in questo, forse per via dell’asimmetria. Contò il numero esatto di denti bianchi e perfettamente dritti che facevano capolino tra le sue labbra.

      “Allora, cosa mi dici della tua famiglia? Qualche fratello o sorella?”chiese John con un tono un po’ esitante.

      Zoe si rese conto che avrebbe dovuto fare almeno qualche tipo di commento sul suo lavoro, e si ridestò. “Soltanto io,”disse. “Sono stata cresciuta da mia madre. Abbiamo chiuso i rapporti.”

      John inarcò un sopracciglio per una frazione di secondo, prima di fare un cenno. “Oh, è un peccato. La mia famiglia è piuttosto unita. Ci ritroviamo pranzare insieme una volta al mese.”

      Gli occhi di Zoe si posarono sul suo fisico snello, e pensò che non doveva aver mangiato troppo male durante quelle cene. Beh, era chiaro che andasse in palestra. Quanto sollevava? Forse novanta chili, a giudicare da quelle braccia muscolose che modellavano la camicia a righe blu.

      Calò il silenzio tra loro per qualche istante. Zoe staccò un altro pezzo di pane e lo mangiò, masticando velocemente in modo da liberare nuovamente la sua bocca. Le persone non parlano mentre mangiano, quantomeno in una società civile, quindi per lei si trattava di una sorta di scusa.

      “Siete soltanto tu e i tuoi genitori?”chiese Zoe, non appena deglutì il boccone, sentendolo scivolare, denso e colloso, in gola. No, pensò. Almeno due fratelli.

      “Ho un fratello e una sorella più grandi,” rispose John. “Ci sono quattro anni di differenza tra noi, quindi andiamo piuttosto d’accordo.”

      Dietro di lui, Zoe notò la loro cameriera di un metro e sessanta alle prese con un pesante carrello di bevande. Due bottiglie di vino divise tra sette bicchieri, tutti destinati a un tavolo rumoroso in fondo a una fila. Coetanei. Amici del college che facevano una rimpatriata.

      “Dev’essere bello,”disse Zoe, distrattamente. Non pensava davvero che fosse bello avere fratelli maggiori. Non aveva la minima idea di come doveva essere. Era soltanto un’esperienza diversa, che lei non aveva mai vissuto.

      “Direi di si.”

      Le risposte di John erano sempre più distaccate. Non le stava neanche più facendo domande. E non erano ancora arrivati alla portata principale.

      Fu con un certo sollievo che Zoe vide la cameriera portare due piatti, sapientemente equilibrati sul proprio braccio, con il peso equamente distribuito tra gomito e palmo.

      “Oh, ecco la nostra cena,” disse lei, più che altro per distrarlo.

      John si guardò attorno, muovendosi con una grazia che sicuramente rimarcava il suo impegno in palestra. Era un uomo piuttosto in gamba. Attraente, affascinante, con un buon lavoro. Zoe cercò di concentrarsi su di lui, di applicarsi di più. Mangiando sarà più facile, pensò. Guardò con attenzione il cibo nel suo piatto: ventisette piselli, esattamente cinque centimetri di spessore sulla bistecca, e cercò di impedire a qualsiasi cosa di distrarla dai discorsi dell’uomo.

      Ciononostante, sentì i silenzi imbarazzanti tanto quanto lui.

      Alla fine, John si offrì di pagare per entrambi – la sua quota era di $37.97 – e Zoe accettò con gratitudine. Dimenticò che avrebbe dovuto obiettare almeno una volta per dargli la possibilità di insistere, ma le venne in mente soltanto quando vide la leggera contrazione agli angoli della bocca di lui mentre porgeva la carta di credito alla cameriera.

      “Beh, è stata una bellissima serata,” disse John, guardandosi intorno e abbottonandosi la giacca mentre si alzava. “È proprio un ristorante carino.”

      “Il cibo era ottimo,” mormorò Zoe, alzandosi. Avrebbe preferito restare seduta ancora un po’.

      “È stato bello conoscerti, Zoe,” disse lui. Le porse la mano. Quando lei la strinse, l’uomo si avvicinò e le baciò le guance il più brevemente possibile, prima di allontanarsi di nuovo.

      Non si offrì di accompagnarla alla sua auto, né tantomeno a casa. Nessun abbraccio, nessuna richiesta di rivederla. John era piuttosto gentile, tutto sorrisi asimmetrici e gesti attenti, ma il messaggio era chiaro.

      “Anche per me, John,” rispose Zoe, prendendo la borsa e permettendogli di uscire dal ristorante prima di lei, in modo che non ci fossero imbarazzanti convenevoli durante il tragitto verso il parcheggio.

      Nell’intimità della propria auto, Zoe sprofondò nel sedile del conducente e mise la testa tra le mani. Stupida, stupida, stupida. Farti distrarre così tanto dalla lunghezza del passo dei vari camerieri da non riuscire a concentrarti sul tuo affascinante, attraente ed estremamente idoneo cavaliere.

      Le cose stavano oltrepassando ogni limite. Zoe lo sentiva, nel profondo del suo cuore, e probabilmente ne era già consapevole da un po’. Ormai riusciva a stento a concentrarsi sui segnali sociali senza che inutili calcoli e la continua ricerca di schemi le facessero girare la testa. Era già piuttosto grave non capire tutti i segnali quando li sentiva o li vedeva, ma non notarli assolutamente era ancora peggio.

      “Che stupida,” mormorò tra sé e sé, sapendo di essere l’unica persona che l’avrebbe sentito. Questo le fece venir voglia di piangere e ridere contemporaneamente.

      Per tutto il tragitto verso casa, Zoe ripercorse gli eventi della serata nella sua mente. Diciassette pause imbarazzanti. Almeno venti occasioni in cui John avrebbe desiderato che lei mostrasse più interesse. E chissà quante altre che non aveva neanche notato. Una cena offerta, a base di bistecca: non abbastanza per compensare il fatto di sentirsi un’emarginata che sarebbe morta single e sola.

      Insieme ai gatti, naturalmente.

      Neanche Eulero e Pitagora, che miagolavano e cercavano di rivaleggiare tra loro per il diritto di saltarle in grembo sul divano, riuscirono a farla sentire meglio. Lei li prese entrambi e li calmò, per niente sorpresa quando il loro interesse si spense e iniziarono ad aggirarsi lungo la parte posteriore del divano.

      Aprì ancora una volta l’e-mail ricevuta dalla dott.ssa Applewhite, cercando il numero della terapista che le aveva inviato.

      Non ci sarebbe niente di male, vero?

      Zoe compose il numero sul suo cellulare, una cifra alla volta, nonostante lo avesse memorizzato al primo sguardo. Trattenne il fiato, il dito rimase sospeso sul pulsante verde di chiamata, ma lo forzò ad abbassarsi e portò il cellulare