gli si avvicina; si abbassa piegando le ginocchia e gli accarezza dapprima la testa e poi l’addome. Il San Bernardo alza le zampe verso il cielo.
Mancavi solo tu per rendere questo posto perfetto. Una giornata iniziata così non può finire male. Pensa.
Dà un'ultima carezza al cane, si rialza e, con nuove energie, va alla porta. Non c'è un campanello; bussa, aspetta qualche secondo senza ricevere risposta e bussa in modo più deciso.
«È aperto, entra pure!»
Sorpresa dalla strana accoglienza, Jessica apre la porta; è di legno massiccio e molto pesante, deve fare più forza di quanto si aspettava. Fa due passi in silenzio, ma all'interno non vede nessuno; le ci vuole qualche istante perché la vista si abitui alla semioscurità. Si ferma a osservare la casa, un unico grande locale con le pareti in legno, arredato in stile country chic, molto carino e ben curato nonostante le dimensioni ridotte.
Sulla destra c’è la piccola cucina con tavolo da pranzo, una dispensa di noce, i fornelli e il lavandino di ceramica sotto la finestra con le tende ben chiuse; a sinistra si apre il soggiorno con un divano rosso rubino, un tavolinetto colmo di libri, una tv appesa al muro e il camino di pietra nell'angolo; un po' di brace arde ancora e il buon odore di legna avvolge la stanza.
Accanto alla porta d’ingresso ancora aperta, c'è una scrivania con una poltrona in pelle; al centro della parete un'altra finestra con le tende tirate. A prima vista sembra che chi ci vive ci tenga a tenere tutto in ordine. Nella parete in fondo, proprio di fronte all’ingresso, una porta socchiusa lascia filtrare un po' di luce; probabilmente dà sulla camera da letto e il bagno.
«La porta! Chiudi la porta che esce il caldo, e non lasciare entrare Obelix!» La stessa voce che l'ha invitata a entrare proviene da lì. Ora sembra leggermente scocciata.
Jessica percepisce in modo chiaro un pensiero, come se fosse suo: È appena arrivato e già mi dà fastidio.
Per riuscirci normalmente si deve concentrare, ma in questo caso è stato del tutto involontario. Mentre chiude la porta vorrebbe dire qualcosa, consapevole di essere vittima di un equivoco, ma la stanza diventa buia e lei resta con lo sguardo fisso verso quella voce, indecisa sul da farsi.
«A proposito, come mai sei già qui?» L’uomo apre la porta permettendo alla luce di invadere il locale. «Eravamo d'accordo di vederci tra…»
Fa un passo verso di lei e si blocca.
Indossa solo delle ciabatte da spiaggia e un asciugamano legato in vita; ha il viso quasi completamente coperto di schiuma da barba, la pelle è libera solo dove le lamette hanno già fatto il loro lavoro. Entrambi restano immobili a fissarsi.
«Mi scusi» balbetta lei.
«E lei chi è?»
«Mi chiamo Jessica Ek. Avrei bisogno di parlare con il signor Balestra.»
«Lo sta facendo.»
L’uomo si controlla l'asciugamano, fa un passo avanti e allunga la mano per salutare, ma la ritrae subito, perché imbrattata di schiuma.
Jessica non riesce a togliere lo sguardo da quel fisico allenato: spalle larghe, bicipiti e pettorali vigorosi, per non parlare degli addominali. La pelle è abbronzata abbastanza da capire che a lavorarci non è stato solo il sole di agosto, i capelli sono tenuti corti in modo da sembrare sempre in ordine.
Il suo ospite dimostra al massimo trent'anni, ma lei sa che ne ha trentaquattro, due meno di lei. Evidentemente è una persona che tiene al suo fisico, non c’è nulla di male in un po’ di sana vanità. «Mi scusi, aspettavo qualcuno. In ogni caso, vado a sistemarmi e sono da lei in un momento.»
Torna un po’ di fretta al di là della porta e la lascia socchiusa.
«Per favore, apra le tende e si accomodi pure, signorina… Ek, giusto?»
«Esatto, Ek, ma mi può chiamare Jessica.»
«E lei mi può chiamare Matteo.»
Ora che quella stanza è completamente illuminata, Jessica si sente più a suo agio, anche se mentre si sbottona la giacca e si siede al tavolo da pranzo, si sente sciocca per non essere riuscita a tenere lo sguardo fisso sul volto del padrone di casa e per aver permesso ai suoi occhi di perlustrarne la bellezza.
«Non mi pare di avere mai sentito questo cognome» s'informa lui.
«È svedese.»
«Ecco svelato il suo accento.»
Nel dire queste parole si riaffaccia alla porta dandole un'occhiata; lei percepisce che si è trattato di un controllo, ma non se la prende: in fondo è un'estranea e l'ha lasciata sola nel suo soggiorno.
«In realtà, sono di madrelingua tedesca.»
«Comunque non si nota quasi.»
A intervalli regolari si sente l'acqua scorrere e il rasoio che viene pulito con dei colpetti sul lavandino.
«Deve davvero scusarmi» riprende Matteo, «non immaginavo di trovare lei in soggiorno. Credevo fosse entrata un'altra persona che sto aspettando.»
«Forse non ho scelto il momento giusto per venire qui.»
«Si figuri, abbiamo una mezz'oretta. Inoltre, Nico è sempre in ritardo.»
Sempre che si faccia vedere. Jessica sente senza problemi anche questo pensiero.
Visto che il tempo a sua disposizione è poco, ne vuole sprecare il meno possibile e cerca di accelerare i preliminari.
«Possiamo darci del tu? Così mi riesce più facile parlare di certe cose.»
Forse, però, ha fatto uno sbaglio; anche se non riceve un pensiero chiaro, percepisce dello stupore giungere dall'altra stanza. D’altronde, si sono appena presentati. Con suo sollievo, la risposta è comunque positiva.
«Come preferisci, ma di cosa mi vuoi parlare?»
Jessica fissa lo scorcio di locale al di là della porta: vorrebbe continuare il suo discorso, ma non le escono le parole.
«Se non sai da dove iniziare, ti consiglio di partire dall'inizio.»
Matteo si affaccia di nuovo e sorride. Jessica, incrociando i suoi occhi, abbassa lo sguardo.
«Forse no, Matteo, forse è meglio partire dalla fine e dirti subito perché sono venuta; quando tornerai di qua, potrei non averne più il coraggio.»
«Così mi fai preoccupare» le risponde in tono quasi scherzoso e a voce alta, per farsi sentire sopra lo scroscio dell'acqua che è tornata a scorrere.
«Sono tua sorella.»
Quella frase suona come una deflagrazione nella stanza silenziosa.
Matteo riemerge da dietro la porta con il rasoio in mano: la parte destra del viso rasata e l'altra ancora coperta dalla schiuma.
«Come hai detto, scusa?»
Jessica lo guarda dritto negli occhi. «Hai sentito bene. Siamo fratelli.»
«Fratelli? Non è possibile! E poi, mi hai appena detto che sei svedese.»
«Anche io sono stata adottata.»
Ora lo ha colpito anche più duro. Lo vede nell’espressione stupefatta del ragazzo rasato a metà.
«Anche tu? Adottata? Ma… che significa, io non…»
«Torna di là, per favore, e ti racconto tutto.»
«Ma che scherzo è questo? Chi ti ha…»
«Ti prego, ti racconterò tutto. Torna di là che è più facile» Jessica vede un volto incredulo, forse arrabbiato. «Ti prego.»
Matteo continua a fissare la ragazza per qualche secondo, poi scuote la testa e se ne ritorna in bagno.
E dopo un attimo ancora di silenzio, lei comincia il suo racconto, questa volta dall'inizio e nel modo più conciso possibile,