Giovanni Mongiovì

Le Tessere Del Paradiso


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ed io stesso ho continuato il decoro della cappella del Palazzo facendo raffigurare scene bibliche. Avete prestato servizio per l’Imperatore di Costantinopoli, dunque conoscete bene come rappresentare potere e regalità…»

      Perciò, mimando con le mani, tutto preso dal progetto, sempre il Re spiegò:

      «Il Paradiso… voglio che mi ricreiate il Paradiso! In questa sala concederò udienza privata ad ambasciatori, nobili e vescovi; desidero che ognuno di essi rimanga stupefatto. Si fa un gran parlare dei giardini delle mie residenze fuori Palermo, eppure molta di questa gente non li vedrà mai. Che se ne facciano un’idea osservando le pareti di questa stanza, così da invidiare e rabbrividire dinanzi alla bellezza e alla potenza del mio regno. Voglio tuttavia che nessuno, né l’Arcivescovo né l’ambasciatore dei fatimidi19, possa offendersi a causa di ciò che vede.»

      «Si dice che i vostri giardini riproducano la perfezione dell’Eden.»

      «I mori lo chiamano jannat al-arḍ20, il “paradiso della terra”.»

      «Mi sia concesso di vedere, seppure da lontano, questo paradiso.»

      «A che vi serve? Immaginate pure… e se è il caso esagerate!»

      Quella fu l’ultima raccomandazione del Re prima di lasciare la sala insieme a tutti quelli con cui era giunto.

      Dunque Alessio si catapultò su Basilio, il quale ancora tentennava ad andarsene, e gli chiese:

      «Ascolterete davvero la mia discolpa, Signore?»

      «È la parola del Re, ma voi prima dedicatevi a quello che dovete fare. Ricordatevi che ci metto personalmente la faccia nella riuscita del vostro talento e che se l’opera non dovesse piacere al Re, ci rimetterò con la mia reputazione. Finite il mosaico e, dopodiché, se avrò avuto successo tramite voi, vi prometto che non solo ascolterò la vostra discolpa, ma farò di tutto per rendervi un uomo libero.»

      Quindi Onesimo, finora intimorito dalla presenza di Guglielmo, intervenne:

      «È bene dunque iniziare subito!»

      «Mi occuperò io stesso della fornitura dei materiali. Sarò il tramite col mondo esterno, poiché per quanto vi riguarda, finché non avrete finito l’opera, non potrete lasciare questa stanza.» spiegò Basilio.

      Alessio sorrise ed esclamò:

      «Una prigione per certo più piacevole di quella in cui stavo!»

      Fu in quel momento che rientrò l’eunuco Mattia, ovvero colui che era stato incaricato di dare ad Alessio una parvenza più consona al luogo in cui soggiornava.

      Capitolo 3

      5 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale

      Compiacere il Re per ottenere la propria libertà… questo divenne il principale obiettivo di Alessio nei giorni successivi al primo incontro col sovrano. Non rivide più Guglielmo, così come non rivide più molta della gente che il giorno del suo arrivo accompagnava il monarca. Incontrò tuttavia più volte Basilio, interessato per fini personali all’opera, e l’eunuco Mattia, preposto alla sua cura. Ovviamente non poté staccarsi dall’insistente presenza di Onesimo, il quale dall’alba al tramonto non smise mai di tempestare di domande e richiedere delucidazioni su ciò che il maestro d’arte si accingesse a fare.

      Una sera Alessio, già sbarbato e rasato come il Re desiderava, se ne stava disteso sul suo giaciglio ed osservava la malta ancora umida stesa sul soffitto; tale strato sarebbe servito come preparazione e supporto per il legante e le tessere. Onesimo aveva lasciato quel luogo da mezz’ora quando qualcun altro girò la chiave nel chiavistello. Alessio non si aspettava di ricevere visite; il servo incaricato a chiuderlo dentro non tornava mai dopo essersene andato. Si sedette perciò sul suo giaciglio ed aspettò che dal buio si manifestasse il soggetto. La luce di una lampada rischiarò l’intero ambiente.

      «Avete già deciso cosa rappresenterete su queste mura?» chiese in greco l’eunuco Mattia, venendo avanti e coprendosi con un lembo della sua veste il naso, forse infastidito dall’odore della calce.

      «C’eravate anche voi quando il Re ha richiesto il Paradiso.»

      «Non cadete in inganno, Mastro Alessio. Guglielmo desidera soltanto che i suoi gusti vengano vezzeggiati. Non dovete inventare nulla… semplicemente interpretate.»

      «Non conosco abbastanza bene il Re per interpretare i suoi gusti.»

      «Giochi di geometrie, motivi floreali, simmetrie perfette, alberi verdeggianti…»

      «Non sono forse le stesse cose con cui abbelliscono i loro palazzi i sultani d’Africa?»

      «Guardate bene dove siete e ragionate se nel mondo cristiano esiste un luogo tanto vicino all’Islam come questa città.»

      Alessio sapeva bene di cosa Mattia stesse parlando e in quel momento non poté fare a meno di osservare come l’eunuco vestisse al pari di un principe saraceno.

      «Lo conoscete bene il Re…» commentò il mosaicista.

      Quello allora si sedette su uno sgabello e spiegò:

      «Servo questa casa sin dalla mia tenera età. Nacqui come Amjad, ma al battesimo mi diedero un nuovo nome.»

      Dunque sempre Mattia, intanto che lo scrutava con i suoi occhi truccati di nero, chiese:

      «Non ditemi che non l’avevate capito…»

      Alessio aveva capito molte cose di quell’uomo. Per certo era uno degli eunuchi, nonostante egli non l’avesse mai detto. Il tono della voce, la strana cantilena, l’assenza di barba, i lunghi capelli intrecciati, i monili, la delicata sciarpa che gli ricopriva il collo e il trucco gli davano un’aria più femminile che maschile.

      «Siete venuto per discutere dei mosaici?» chiese Alessio affinché quello andasse al dunque.

      «No, mi chiedevo soltanto come mai un uomo che se ne sta rinchiuso per tre anni non senta la necessità di incontrare una donna. Che non c’entri in questo quel monachello che vi gironzola intorno… Forse gradite altro?»

      Alessio capì l’allusione, tuttavia evitò di scavare a fondo pur di non scoprire se si trattasse di una sorta di proposta.

      «Sono un uomo che si attiene ai detti di Dio!» rispose invece, lasciando trasparire tutto il suo senso di religiosità.

      «Eppure avete ucciso un uomo…»

      «Il caso verrà riesaminato e io verrò scagionato da tutte le accuse.»

      «Ma per intanto rimanete quello che il mondo vi crede: un assassino! Ho chiesto in giro e sembra che abbiate ucciso un certo giudeo messinese.»

      Alessio stava per spazientirsi, nondimeno si trattenne quando l’altro disse:

      «Sappiate comunque che non vi condanno. Chi sono io per giudicare i motivi che vi hanno spinto ad una azione del genere? Parlatemi di questa donna… Zoe.»

      Alessio si chiese come facesse a sapere così tante cose di lui, tuttavia era la prima volta che qualcuno si interessasse ai motivi del suo viaggio in Sicilia. Forse Mattia, al pari di una donna sfaccendata e curiosa, amava impicciarsi nei fatti altrui. Comunque sia, sentire dalla bocca di qualcun altro quel nome, Zoe, lo fece quasi commuovere. Probabilmente fu per disperazione, per quel peso maggiore della prigionia che si portava sul cuore, che Alessio sentì di potersi fidare dell’eunuco.

      «Zoe è la mia unica figlia.» rispose.

      «Siete venuto fin qui per vostra figlia?»

      «Per lei e per la promessa che feci ad una donna morente.»

      Mattia si sporse in avanti, appoggiò il mento sul pugno, fissò il gomito sul ginocchio, e spiegò:

      «Per quanto voi abbiate passato gli ultimi tre anni recluso tra quattro mura, sappiate che in vita siete stato più libero di me… La mia condanna è stata eseguita già durante la mia fanciullezza, cosicché il resto della mia esistenza è stato segnato per sempre. La mia prigione è il