lo bagnò leggermente con la poca acqua rimasta nella borraccia e glielo posò sulla fronte. Doveva riposare e recuperare le forze. Per un giovane terrestre, la giornata era stata fin troppo movimentata. Si alzò guardandolo ancora una volta. Steso a terra, di fronte a lui, il salvatore della Grande Costellazione. Ritornò al ruscello a passi lenti e pieno di pensieri.
Immerse interamente il capo nelle gelide acque che, abitate da innumerevoli pesci dalle svariate tonalità brillanti, alleviarono il suo tormento. Il contatto, rigenerante, lo rilassò e gocciolante si sdraiò intento a recuperare anch’egli le forze.
Passarono un paio d’ore e il giovane riaprì gli occhi. Nel vedere le verdi chiome degli alberi stagliate nel cielo sussultò. Si guardò velocemente intorno impaurito. L’ambiente non era cambiato, era ancora lì, in quello strano bosco con gli alberi dai tronchi contorti. Alla sua sinistra, una ventina di metri più in là, lo strano individuo stava riempiendo la sua borraccia.
Il corpo non gli doleva più. Cullato dalla natura, Jack aveva recuperato le forze, o almeno la maggior parte. Qualcosa di umido era poggiato sulla sua fronte e spaventato portò subito la mano per levarselo. Era un semplice pezzo di stoffa bianca e, nell’afferrarlo con così tanta violenza, si sentì uno stupido nell’accorgersi poi di cosa si trattasse. In qualche modo, quel pazzo si era preso cura di lui senza fargli del male. Si voltò nuovamente, l’astro lo stava fissando.
Gli occhi del primo, fissi in quelli del secondo. Fu intenso, quello sguardo valse più di mille parole e Jack, improvvisamente, sentì sciogliersi il nodo che gli attanagliava lo stomaco. Santos si alzò lentamente, sbatté con decisione le lunghe mani affusolate sulle sue vesti scacciandone via la polvere per poi dirigersi verso di lui.
«Come stai?», si limitò sorridendogli.
Jack non riuscì subito a rispondere, lo guardò ancora per qualche istante e dopo un leggero respiro mandò giù gli ultimi timori.
«Bene… Credo…» rispose spaesato.
«È normale, il tuo corpo non è abituato a questo genere di trasporto».
Il giovane lo guardò con la bocca socchiusa, incapace di decifrare la situazione.
«A cosa ti riferisci?». Nel dirlo, affiorò sfocata l’immagine della luce da cui era stato risucchiato. Un brivido gli percorse le gambe fino alla schiena.
«Al portale con il quale siamo riusciti a fuggire!».
Un mattone gli bloccò il respiro. Quelle parole, a confermargli la veridicità di tutti gli eventi successi.
«Non ti seguo»
«Siamo su Abram, Jack! Uno dei nove pianeti della Grande Costellazione.»
«Ma co… Come abbiamo fatto?» balbettò.
«Tramite un portale astrale. È così che ci si sposta da un pianeta all’altro» gli rispose l’astro, sorridendo per la sua ingenuità.
«Ora che ti sei ripreso, dobbiamo raggiungere Fati, la città principale di questo pianeta. Lì, mi metterò in contatto con una mia vecchia amica. Ci aiuterà!».
Nell'udire quelle ultime parole, il giovane sentì nuovamente riaffiorare l’enorme tensione che per poco lo aveva lasciato in pace. Avevano bisogno di aiuto e certo, nel sentirlo da una strana creatura forte come lui, la preoccupazione aumentò.
«Su alzati, ci aspettano tre giorni di cammino.», terminò l’astro.
«Ma non possiamo usarlo di nuovo questo portale?» gli chiese massaggiandosi i muscoli delle gambe ancora dolenti. Quella piacevole sensazione di benessere provata dopo il risveglio era ormai svanita nel nulla. Quelli, gli effetti dei viaggi astrali.
«No ragazzo, non posso. Per creare un portale astrale personale, si deve usare una quantità elevata di energia magica», vedendo la faccia perplessa di Jack, Santos continuò la sua spiegazione.
«Noi astri, essendo protettori della natura, abbiamo nel nostro corpo, oltre all’energia magica, anche l’energia naturale. Scorre dentro di noi e ci permette di controllare gli elementi da essa creata. Riusciamo così a entrare in contatto diretto con la nostra Grande Madre per ascoltarne i bisogni e proteggerla al meglio. Quella magica, invece, è un’energia molto ridotta. Appresa con la meditazione, ci dà la possibilità di usare gli incantesimi come la creazione dei portali astrali. Questa energia ha una durata limitata e variabile in base alla forza spirituale dell’individuo che la usa. Noi astri, purtroppo, non eccelliamo per questa dote. Esistono dei portali creati dalle sei divinità, ma purtroppo quelli di questo pianeta sono lontani.», terminò Santos non più scocciato nelle spiegazioni. Il giovane doveva ricevere più informazioni possibili per ambientarsi velocemente.
«Perché mi chiami Zeno?»
«Nella lingua antica delle sacerdotesse vuol dire salvatore.» rispose poggiandogli entrambe le mani sulle spalle con gli occhi spalancati fissi nei suoi. In quel momento, Jack trasalì. Qualcosa, nel suo interlocutore, era mutato lasciandolo a bocca aperta.
«I tuoi occhi…» balbettò.
«Sono diversi».
Le sue iridi erano tramutate dal primo incontro. Le svariate e mistiche sfumature violacee avevano lasciato il posto ad altre di un verde brillante.
Un sorriso pieno di comprensione lo avvolse tranquillizzandolo.
«È una delle caratteristiche tipiche della nostra razza».
Quelle parole lo rincuorarono, svelandogli l’ennesimo mistero. In quei pigmenti illuminati dai raggi del sole, il giovane percepì la tensione interiore dell’astro ma anche la forza e la solidità che lo accompagnavano.
«Dobbiamo andare, troppe domande attendono risposta». Terminò Santos stringendosi i logori pezzi di stoffa che gli avvolgevano gli avambracci.
Il giovane, vedendo la stanchezza sul suo volto, decise di non chiedergli più nulla. Di domande ne aveva ancora un'infinità ma sapeva che quello non era il momento giusto e così, senza proferir più alcuna parola, si alzò e lo seguì.
In quell'istante, il viaggio verso Fati ebbe inizio.
11
Le folte chiome verdi brillavano illuminate dal sole e gli immensi campi, ricoperti da un'infinità di fiori variopinti, si alternavano con meravigliosi ruscelli dalle trasparenti acque.
Jack, in silenzio da diverse ore, perso in quei colori. Per lui, nonostante l’ineguagliabile bellezza dell’ambiente circostante, la pace era ancora lontana. Sperava fosse tutto un sogno ma, in cuor suo, la realtà doleva.
Santos, immerso nei suoi pensieri, proseguiva tra gli alberi a pochi metri di distanza, svoltando saltuariamente e seguendo un percorso inciso nella sua memoria.
Il ragazzo era provato, mentalmente e fisicamente. Il suo pensiero volò lontano. Ritornò sulla Terra, da Stella. Il cuore gli ribollì come un vulcano.
Bella come non mai era lì, vicino all'entrata della scuola in compagnia delle sue amiche. Rideva. Uno sguardo veloce nella sua direzione, fugace, nascosto. Aveva un sorriso splendido e solo lui sapeva che un giorno, non definito, sarebbero stati insieme. Lo sperava più di ogni altra cosa al mondo. Voleva stare con lei.
Non sapeva spiegarselo. Ci aveva provato più e più volte a capirne il senso ma senza successo. L’attrazione verso quella ragazza, così semplice e misteriosa, lo aveva travolto dal primo incontro. Si era insultato infinite volte per non aver mai trovato il coraggio di farsi avanti. Avrebbe voluto provare a parlarle almeno una volta, giusto per guardarla diritta negli occhi e sorriderle. Mai ci era riuscito, la paura e la vergogna avevano sempre preso il sopravvento anche in quelle rare occasioni in cui, deciso più che mai, ci aveva provato.
Come un lampo, balenò nella sua mente un terribile pensiero che, in un secondo, lo bloccò. Quella che stava vivendo era la cruda realtà e, come tale, lo aveva separato da sua madre, dal suo caro amico Max e dalla stupenda ragazza della seconda B. Non c’erano soluzioni, si trovava in un altro pianeta e, al sol pensiero, il sangue gli si gelò nelle vene. La folle situazione in cui si trovava superava ogni immaginazione e un dolore profondo, dallo stomaco alle tempie, lo invase.
«Tutto