Matteo Vittorio Allorio

Lo Spirito Del Fuoco


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Jack alzò lo sguardo al cielo. Tra le possenti e lattee nubi, le immagini delle tre persone a lui care apparvero sbiadite per pochi secondi per poi, veloci, svanire nel nulla.

      «Andiamo!», terminò cercando di scacciare via quei nostalgici pensieri.

      Santos sapeva, non ci voleva un mago per capirlo. In quei grossi occhioni verdi dalle sfumature grige, si leggeva la verità. Decise di non far domande e di lasciare al giovane il tempo che gli serviva per metabolizzare ogni cosa con la speranza che questo prima o poi accadesse.

      Fino a pochi giorni prima, la sua vita era normale. Gli era capitato molte volte di immaginarsi con Max in avventure fantastiche piene di creature magiche dai mille poteri. Ma per un assurdo motivo, la realtà aveva superato l'immaginazione risucchiandolo in un'avventura ancora tutta da scrivere.

      Santos, nel vedere il suo protetto in quelle condizioni e ormai il sole scendere dietro alle montagne, decise di fermarsi. Avevano camminato per ore e riposare era quello che serviva a entrambi.

      «Passeremo qui la notte», si limitò. Voleva lasciargli i suoi momenti. Non sapeva come ci si doveva comportare con un ragazzino di sedici anni, perlopiù terrestre. Queste cose non facevano parte degli insegnamenti appresi all’accademia e, per non peggiorare la situazione, non si pronunciò ulteriormente.

      Jack annuì, sdraiandosi accanto a un grosso salice piangente. In quel luogo incantato, erano seminati ovunque, rendendo il paesaggio ancor più fantastico. I muscoli dolevano ancora ma la sofferenza più forte veniva dal cuore, dal pensiero di aver perso ogni cosa. Era solo, non c’era più nessuno. I lunghi e intrecciati rami cadenti crearono una vera e propria cupola intorno a lui isolandolo da tutto il resto. Per quanto magnifico, l’albero, anche se nel pieno del suo vigore, enfatizzò il suo stato d’animo.

      L’inquietudine non lo abbandonò ma dopo pochi minuti gli occhi gli si chiusero trascinandolo in un sonno profondo.

      Lo scoppiettio del fuoco lo risvegliò, non sapeva per quanto avesse dormito. La sua mente si era riposata trovando un po’ di pace in un sonno senza sogni.

      L'astro era accanto al fuoco, illuminato solo dalle fiamme della piccola brace. Tra le mani, alcune foglie dal colore indecifrabile mosse dal vento.

      Decise di non alzarsi e di scrutare ancora l’individuo tra i lunghi rami che lo avevano riparato. Notevolmente più alto di lui e dalla fragile corporatura, gli sembrò senza spina dorsale. I capelli corvini, sciolti e liberi dalla piccola e logora pezza. Non troppo lunghi ma abbastanza da coprirgli la fronte, svolazzavano anch’essi schiavi della brezza.

      «Hai fame?» gli domandò l'astro senza neanche voltarsi. Gli occhi, fissi sulla brace.

      Come aveva fatto a percepirne lo sguardo?

      Colto alla sprovvista, Jack subito non rispose rimanendo immobile.

      «Credo di sì…», si alzò imbarazzato. Scostati con delicatezza i lunghi rami del salice, lo raggiunse lento per poi sedersi al suo fianco.

      «Foglie di Seda!», fiero, Santos gliene porse una verdastra sorridendogli.

      Il giovane la prese, la guardò per un secondo e per non offendere l'astro la mise in bocca senza fare domande.

      Il gusto fu orribile. Aspra e acida, la foglia gli bruciò palato e gengive.

      Si alzò disgustato. Voleva sputarla immediatamente ma fu subito bloccato dal compagno.

      «Devi aspettare qualche secondo, poi vedrai che ti piacerà!», scoppiò a ridere Santos. Jack, paonazzo, lo ascoltò trattenendo un conato per poi risedersi goffamente.

      Improvvisamente però, quella terribile amarezza svanì, lasciando il posto a un sapore dolce e leggero.

      «Ma…?», sorrise stupito.

      Soddisfatto, Santos gliene porse un’altra. La seconda non fu amara ma con un gusto paragonabile alla carne.

      «Com’è possibile?» domandò Jack strabiliato.

      «In natura, le foglie di Seda sono visibili solo a noi astri. Doni della nostra Madre Terra, sostituiscono ogni cibo animale esistente a noi estraneo. Due di queste equivalgono a un pasto completo e assumono il sapore dei cibi che desideriamo.» spiegò Santos, massaggiandosi lo stomaco appagato.

      Jack, sentendosi improvvisamente sazio, annuì meravigliato. Non aveva mai provato nulla di simile.

      «Cerca di riposare…», così dicendo l'astro raggiunse un piccolo alberello poco distante e si sdraiò. In pochi secondi, riuscì a trovare la giusta posizione tra i tronchi intrecciati, si voltò l’ultima volta e, con un leggero cenno del capo, gli augurò la buona notte. Troppe domande lo attanagliavano e, temendo le risposte, chiuse gli occhi e prese sonno.

      Jack, con lo sguardo perso tra le fiamme ardenti della brace, si staccò da tutto cercando di trovare un equilibrio interiore. Non fu facile, ma dopo pochi minuti, ipnotizzato dalle piccole lingue di fuoco e avvolto dal calore, sentì salire una stanchezza che quasi aveva dimenticato. Dolce e penetrante, lo cullò rilassandone ogni parte del corpo.

      Dopo una manciata di minuti, si addormentò accompagnato dai rumori ritmici dei torrenti circostanti accanto al tepore.

      Un fruscio gli disturbò il sonno e veloce aprì gli occhi scrutando nel buio. Della luce della brace, ridotta solo più a un cumulo di ceneri incandescenti, nessuna traccia.

      Proprio dove l'aveva lasciato, Santos stava dormendo tranquillamente.

      Jack prese un sasso poco distante e spaventato lo tirò nei cespugli.

      Il fruscio aumentò e dalle verdi chiome uscì una piccola figura.

      «È questo il modo di presentarsi giovane terrestre?», sbraitò la sagoma.

      «Come puoi essere un eroe se non conosci neanche le buone maniere?», continuò barcollando.

      «E tu chi sei?». Nel vederlo massaggiarsi la testa, Jack sorrise.

      Non più alto di venti centimetri, lo lasciò a bocca aperta.

      «Chi sono io? Chiede pure chi sono io. Ma tu stai scherzando spero! Sono Boris, il capo dei folletti che abitano questo bellissimo pianeta!» brontolò infastidito più che mai guardandolo in cagnesco.

      «Razza di sconsiderato… Chi sono io ha chiesto!»

      «Vedo che vi siete già conosciuti», li raggiunse Santos.

      «Giovane astro, come te la passi? Fatto buon viaggio?» domandò Boris sedendosi su un piccolo sasso.

      «È andata».

      Bastò quella fredda risposta e il folletto capì.

      «Hai portato tutto con te?» domandò severo il protettore della natura.

      Il piccolo amico di certo si aspettava un’altra accoglienza.

      «È tutto dietro ai cespugli, non manca nulla.» rispose imbronciato.

      Jack osservò la scena in silenzio ancora meravigliato dalle sue gnomiche misure.

      «Bene». L'astro andò dietro i cespugli, tornandone dopo pochi secondi con una grossa e vecchia sacca beige.

      «Su, vestiti!». La tensione si percepiva in ogni sua parola.

      «Attireresti troppo l'attenzione in città, dobbiamo mantenere il tuo arrivo segreto», così dicendo, andò a raccogliere le proprie cose ai piedi dell’alberello dai tronchi intrecciati.

      Sorpreso, Jack aprì la sacca e ne tirò fuori il contenuto. Un paio di pantaloni neri apparentemente stretti, una lunga e consumata maglietta grigia avvolta da piccole corde di canapa e un logoro mantello nero con il cappuccio erano i suoi nuovi indumenti. Infine, nella juta stropicciata, rimasero solo più un paio di stivali neri e rigidi dalle cinghie argentate.

      «Devo metterli?» domandò tenendo in mano la maglietta grigia che, a parer suo, doveva aver vissuto giornate migliori decenni prima.

      «Sì!», lo guardò severo l'astro.

      «Credete che con questi passi inosservato?».

      Quei