Matteo Vittorio Allorio

Lo Spirito Del Fuoco


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e hai salvato la vita a tua madre… fantastico», commentò Max sbalordito. La semplicità di quel ragazzo, a dir poco unica.

      «Non so se ho salvato la vita a mia madre, so solo che ho rivissuto il mio sogno, anche se in modo diverso. Non sono finito contro il bidone, addosso alla vecchia e al ciclista, eppure sono sicuro che l’avrei fatto se non avessi saputo cosa sarebbe successo a mia madre».

      Confuso, Jack si scompigliò i capelli sperando di venirne a capo in qualche modo.

      «Poi ho seguito quello strano individuo in mezzo al bosco della periferia…

      Mi sono informato e ho scoperto che, anni a dietro, in quella vecchia fattoria è successa una macabra vicenda».

      Max, tremendamente rapito dal discorso, ascoltava senza battere ciglio, continuando a mangiare quasi fosse davanti all’immenso schermo del piccolo cinema di Sentils, dov’erano soliti andare ogni qualvolta usciva un film degno della loro critica attenzione.

      «Domani ho intenzione di tornarci ed entrare in quella fattoria. Che dici Max ci stai?», terminò Jack cercando approvazione.

      «Ma certo fratello, vengo dove vuoi.»

      Jack si rilassò sorridendo nel sentire quelle parole. Non era più solo e la sicurezza di andare fino in fondo a quella faccenda si solidificò enormemente. Il paffuto amico non lo aveva deluso e come succedeva da che aveva memoria, per ogni cosa, lui c’era e viceversa.

      I due ripercorsero la strada passando nuovamente come due abili ladri nel cortile della scuola per poi scavalcare il muretto che la separava dalla strada.

      «Bene, è tardi, domani mattina vieni a prendermi per le sette e mezza?», lo invitò Jack salutandolo con una stretta di mano per poi avviarsi verso casa.

      «Ok fratello, a domani!». Queste furono le ultime parole di un discorso durato più di un’ora.

      Jack, svoltato l'angolo, sorrise allegramente. Appartenevano a famiglie diverse, ma in tutto e per tutto si ritenevano l’uno il fratello dell’altro. La loro, un’invidiabile amicizia fondata sull’onestà.

      7

      Il sole ormai aveva finito il suo turno giornaliero e nel cielo cominciavano a spuntare qua e là i primi corpi celesti mentre una splendida luna, secondo dopo secondo, diventava sempre più luminosa.

      Jack, tornando a casa, ricominciò a pensare a lei.

      Non si era mai accorto, come in quel giorno, che l’amava dal profondo del cuore.

      Era in seconda liceo, ma conosceva Stella dalla prima media. Avevano frequentato lo stesso istituto ma in due classi diverse.

      Lui si era subito accorto di lei e già dal primo momento, aveva cominciato a nutrire un forte sentimento nei suoi confronti.

      Lei invece, nei tre anni delle medie non lo aveva mai calcolato. Forse era anche quello a rendere così ossessiva la sua passione.

      Jack era un ragazzo timido che preferiva stare da solo piuttosto che provare a conoscere dei nuovi ragazzi.

      Girò l’angolo in fondo alla via di casa quando riconobbe, vicino alla sua abitazione, una figura in lontananza.

      Trasalì.

      All'ombra del lampione, di nuovo lui, il vecchio.

      La figura si accorse della sua presenza. Voltandogli le spalle, si diresse verso il fondo della via che si tuffava nella piazza del mercato.

      Jack guardò l’ora sul cellulare. Erano le sette meno venti, il suo coprifuoco era ancora lontano. Aveva cinquanta minuti a disposizione. Senza pensarci, e stupendosi del suo coraggio, decise di riseguirlo.

      Aumentò il passo.

      La figura aveva già svoltato l’angolo e ora si trovava nella piazza dove ogni mattina c’era il mercato.

      Jack arrivò all’incrocio quando un senso di vertigini lo bloccò.

      Aveva paura.

      Quell’uomo lo terrorizzava. Il grosso impermeabile gli copriva il corpo. L’unica cosa che riuscì a notare fu una marcata protuberanza nella schiena. Doveva essere una gobba. Stupito di non averla notata la stessa mattina sotto la luce del sole, rimase senza idee, indeciso sul da farsi.

      La protuberanza influiva sulla camminata, rendendola lenta e ondulatoria.

      Il giovane fece un lungo respiro e svoltò l’angolo.

      La piazza a quell’ora era quasi deserta. Tutti, ormai nelle proprie case.

      Le uniche presenze in quella desolazione erano il netturbino Dork e l’immancabile Miles, il senzatetto dai folti quanto pazzi capelli bianchi che ormai abitava da più di cinque anni sotto l’albero vicino alla fontana centrale.

      L’opera, realizzata da uno dei primi architetti della città, brillava bagnata dagli spruzzi d’acqua sotto i raggi della luna nascente. Con la base esagonale, che grazie ai sei lati forniva molteplici punti di sosta per i cittadini, presentava, nel centro, una grossa statua scolpita nel verde marmo pregiato delle zone limitrofe. L’intera struttura godeva del prezioso minerale. Un tenero bambino impugnava in entrambe le mani, rivolte verso il cielo, due grossi innaffiatoi, dai quali svariati getti schizzavano in alto per poi ricadere su se stessi

      Del vecchio gobbo, nessuna traccia.

      Jack decise di raggiungere la fontana. Da lì, avrebbe potuto analizzare meglio la situazione.

      Nonostante l'estate alle porte, l’aria pungente di quella sera lo costrinse a tirarsi su il cappuccio del suo giubbino nero.

      Raggiunto il monumento, non riuscì ugualmente a vedere dov’era finito l’uomo e arreso e turbato per l’ennesima stranezza di quel pazzo giorno, si avviò nuovamente verso casa.

      “Almeno sono in anticipo” si disse Jack voltandosi verso la piazza per l’ultima volta.

      Imboccò la via di casa quando, per avvisare la madre del suo arrivo, si accorse di aver perso il cellulare.

      Scosse il capo imprecando.

      «La fontana!» esclamò voltandosi speranzoso. Era stanco e non aveva nessuna voglia di tornare indietro ma di certo non poteva lasciare lì il suo telefono.

      La madre aveva fatto un enorme sacrificio per regalarglielo. Era l’ultimo modello e non poteva assolutamente perderlo.

      Ritornato nella piazza, affannato per l’andatura veloce, lo ritrovò ai piedi di uno dei sei lati marmorei. Decise di sedersi sul bordo leggermente umido della struttura. Al coprifuoco, mancavano ancora trenta minuti e l’arietta gelida che tirava in piazza lo aveva avvolto procurandogli quei brividi che a lui piacevano tanto.

      Restò lì per un bel po', senza pensare a niente, facendosi accarezzare da quel vento così penetrante quanto confortevole. Mancavano pochi minuti alle sette e mezzo. Non si era accorto del tempo trascorso.

      Si alzò per andarsene quando la sua attenzione fu attirata da Miles, il senzatetto che, allegro e nel suo mondo, stava giochicchiando con un foulard rosa.

      «Ciao Miles, dove l’hai preso quel foulard?» domandò il giovane con un tono che non riconobbe neanche lui.

      «Ca… ca… calmati ra … ragazzo» balbettò l’uomo infastidito.

      «L’ho trovato per terra e adesso è mio, però se lo vuoi te lo do per dieci monete.

      Che dici ci stai amico? È un affare!», concluse il senzatetto speranzoso.

      «Mi dispiace Miles ma non ho il portafogli con me. L’unica cosa che vorrei sapere è dove l’hai trovato, mi faresti un grosso favore» rispose il giovane con tono amichevole.

      «Gua… Guarda l’ho trovato giusto mezz'oretta fa. È caduto a quello strano signore gobbo, io l’ho trovato, non è più suo.

      Poi che se ne fa lui di un fazzoletto rosa? Ricco com’è non se ne accorgerà mai», lo strinse forte tra le mani per paura di perderlo.

      «No, figurati ormai è tuo a tutti gli effetti», lo assecondò Jack.

      «E perché dici