la registrazione del corridoio del quattordicesimo piano?” chiese.
Natasha tirò fuori il filmato. L’indicazione dell’orario diceva 22:01 mentre l’uomo percorreva il corridoio ed entrava in camera. Jessie sentì Ryan inspirare con forza e si voltò a guardarlo. Lui si chinò verso di lei e le sussurrò in un orecchio.
“Il modo in cui quel tizio è entrato mi ha risvegliato qualcosa nella memoria. Mi sono appena accorti di chi è. È un politico. Ti aggiorno quando non ci saranno troppe orecchie attorno.”
Jessie annuì, curiosa. Natasha fece scorrere veloce il video del corridoio, fermandolo di tanto in tanto al passaggio di qualcuno. Nessuno si avvicinò alla stanza dell’uomo. Ma alle 22:14, esattamente tredici minuti dopo l’ingresso dell’uomo, l’ascensore si apriva e ne usciva una donna.
Era una bionda statuaria, con i capelli che le scendevano sciolti fino a metà schiena. Indossava degli enormi occhiali da sole che le coprivano i tratti del viso e un trench chiuso e con il colletto tenuto sollevato. Camminava lungo il corridoio osservando i numeri delle stanze prima di fermarsi davanti alla porta di quella dell’uomo. Bussava. Lui apriva dopo pochi secondi e lei entrava.
Per i successivi trentuno minuti non succedeva nulla. Ma alle 22:45 la donna usciva dalla stanza e tornava da dove era venuta. Questa volta camminava rivolta verso la videocamera e Jessie poté guardarla meglio.
Aveva ancora indosso occhiali da sole e soprabito. Ma anche così mascherata, Jessie poteva dire che era sicuramente ben curata. Gli zigomi sembravano scolpiti da un artista. La pelle, anche su quel piccolo monitor, sembrava impeccabile. Ed era chiaro che sotto a quel cappotto aveva il genere di corpo capace di indurre senza problemi un uomo abbiente e arrapato a mettere a rischio il proprio futuro politico.
Jessie notò anche qualcos’altro. La donna sembrava… camminare con spensieratezza verso gli ascensori. Non c’era niente di affrettato nel suo portamento. Era piuttosto credibile che solo pochi minuti prima avesse drogato e strangolato l’uomo a morte. Eppure niente nel modo in cui si muoveva lasciava trapelare preoccupazione o ansia. Sembrava sicura.
E fu lì che Jessie si sentì certa che avevano a che fare con qualcosa di più di un semplice crimine passionale o di un furto andato storto. Se fosse stato un incontro fisico finito male, la donna sarebbe apparsa molto più frettolosa e nervosa. Se si fosse trattato di un semplice furto, sarebbe potuta entrare e uscire dalla stanza in meno di dieci minuti.
Ma era rimasta dentro mezz’ora. Aveva tergiversato. Aveva spaccato il telefono dell’uomo e aveva preso le sue carte, contanti e documenti, anche se di certo era ben consapevole del fatto che la sua identità sarebbe stata comunque presto scoperta. Aveva addirittura lasciato delle foto di famiglia nel portafoglio.
Cosa ancora più notevole, non aveva apparentemente lasciato nessuna impronta né null’altro nella stanza: non sul bicchiere, non sulle superfici, non sul collo dell’uomo. Questo era il lavoro di una donna che aveva pianificato meticolosamente ciò che avrebbe fatto, che si era presa il tempo, che si era divertita.
CAPITOLO CINQUE
Jessie non riusciva a levarsi l’immagine dalla testa.
Mentre Ryan guidava verso la loro destinazione successiva, continuava a ripensare al video finale che Natasha, il tecnico della sicurezza, aveva mostrato loro. Ora che sapevano quale fosse l’aspetto della donna, avevano potuto analizzare i filmati precedenti di quella serata.
Non c’erano registrazioni dell’arrivo della donna, né di lei che lasciava l’hotel. Ma c’era un video che la vedeva accomodarsi al Lobby Court, lo stesso bar dove Jessie aveva visto gli uomini elegantemente vestiti bere prima quella mattina.
Era arrivata un po’ dopo le nove e aveva aspettato quindici minuti, sorseggiano un drink che aveva pagato con contanti e tenendo il bicchiere con dei guanti di pelle. La cosa che aveva colpito Jessie era quanto fosse rilassata. Non aveva l’atteggiamento di qualcuno che meno di due ore dopo avrebbe ucciso un uomo.
Alla fine era arrivato il sul ‘partner’. Era andato dritto verso di lei, come se si conoscessero, ma stranamente l’aveva salutata come se fosse stata la prima volta che si incontravano. Aveva ordinato qualcosa da bere per sé e le si era seduto accanto. Avevano parlato per mezz’ora mentre lui ordinava altri due bicchieri e lei continuava a sorseggiare il suo primo drink.
Attorno alla 21.50 lui aveva pagato il conto e si era alzato. Le videocamere l’avevano seguito in bagno e poi alla reception. La donna si era fermata un po’ di più al bar per finire il suo bicchiere, poi era uscita dallo schermo e non la si era vista fino a che non era uscita dall’ascensore per andare alla camera dell’uomo.
“A cosa stai pensando?” le chiese Ryan, interrompendo la sua silenziosa meditazione.
“Sto pensando che abbiamo a che fare con qualcuno che si è divertito fare quello che ha fatto. E questo mi fa preoccupare che possa rifarlo.”
“Legittima preoccupazione,” le concesse lui. “Posso dirti di cosa sono preoccupato io?”
“Prego,” rispose Jessie.
“Ho paura che la moglie di questo tizio perda la testa quando le diremo quello che è successo.”
Ryan si stava riferendo allo spiacevole compito che stavano per affrontare. Dopo aver lasciato l’ufficio della sicurezza, lui le aveva detto chi era l’uomo morto: Gordon Maines.
Quando Ryan aveva comunicato il suo sospetto al medico legale, loro avevano confermato. La vittima era effettivamente Gordon Maines, un consigliere rappresentante del quarto distretto di Los Angeles, un’area che includeva Hancock Park e Los Feliz.
Ryan alla fine se l’era ricordato per la sua camminata spavalda. Era lo stesso stile che aveva avuto quando era venuto alla stazione di polizia diversi anni prima per redarguire il capitano Decker per non avergli fornito sufficienti agenti per la sicurezza nella sfilata del quartiere.
“ ‘Stronzo’ è il termine più carino che mi viene in mente per descrivere quel tizio,” aveva detto Ryan.
Jessie sperava che usasse un linguaggio più diplomatico quando fossero arrivati alla casa di Maines, ad Hancock Park, per riferire la brutta notizia a sua moglie Margo. Mentre Ryan si destreggiava nel traffico di metà mattina, i pensieri di Jessie tornarono, nonostante i suoi migliori sforzi, ad Hannah.
Si chiese se Garland Moses stesse in qualche modo riuscendo a determinare l’andamento delle indagini. L’FBI aveva delle piste da seguire per scoprire dove potesse trovarsi Bolton Crutchfield? Hannah era al sicuro? Era tentata di mandargli un messaggio per chiederglielo, e tirò effettivamente fuori il telefono. Ma poi si rese conto che era un’idea terribile.
Primo, erano passate solo un paio di ore da quando si erano incontrati. Garland Moses poteva essere il profiler più decorato del paese, ma neanche lui era un supereroe. E poi, se avesse avuto delle informazioni, di certo gliel’avrebbe fatto sapere. Il silenzio radio voleva probabilmente dire che non c’era niente che valesse la pena di condividere.
Secondo, avevano concordato di comunicare solo verbalmente. Anche se il capitano Decker non le aveva ancora formalmente vietato di immischiarsi nel caso, era solo questione di tempo. Ogni documento che avesse rivelato il suo tentativo di sviare le direttive avrebbe potuto mettere a rischio la sua carriera e, come aveva detto Garland, incasinare il suo ‘bel lavoretto’.
Eppure la cosa la angustiava. Lei era qui a indagare sulla morte di un uomo che aveva chiaramente diversi scheletri nell’armadio. Nel frattempo una ragazza innocente era tenuta prigioniera da un serial killer, per il semplice fatto che condivideva il DNA di un altro serial killer.
La frustrazione le crebbe nel petto, e Jessie non poté fare altro che rischiacciarla giù.
Garland Moses farà bene a trovare presto qualcosa. Perché non so quanto a lungo potrò evitare di far traboccare tutto.
Quando accostarono davanti alla villa di Gordon Maines ad Hancock Park, Jessie non fu sorpresa.
Sapeva già che avevano a che fare con un uomo disposto a prenotare una stanza d’albergo da 400