Morenz Patricia

Per Sempre È Tanto Tempo


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ma davvero le assomigli. Ma non farci caso, i ragazzi sono degli idioti.»

      «Lo so …» sospira profondamente. «Ma tu, cos’hai con quel ragazzo? Ho visto che gli hai dato un biglietto. Ti piace?» chiede con emozione trattenuta nella voce.

      «No !!!» esclamo troppo in fretta.«Lui … una volta era mio amico. Il mio migliore amico, in realtà.»

      «E cosa è successo?»

      «Me ne sono andata e non ho più saputo nulla di lui.»

      «E perché adesso non riprendete la vostra amicizia?»

      «Non lo so …» mi stringo nelle spalle.

      Il resto della giornata è una noia mortale, abbiamo un’assemblea di benvenuto per i nuovi studenti che viene posticipata, davvero non so come potrò sopravvivere alla scuola superiore. Sono sicura di essere diventata la nemica della ragazza più popolare della scuola quando mi sono scontrata accidentalmente in corridoio con il suo stupido ragazzo, anche lui mi guarda come se avessi dei vermi in faccia. Ragazzi stupidi.

      Sono contenta quando termino le ultime ore, ma poi mi ricordo che vedrò Jake continuare la propria vita e il suo nuovo amico sull’autobus e il mio stato d’animo finisce tre metri sottoterra.

      Meryl cerca di essere amichevole e simpatica nonostante la sua timidezza, ma in realtà non voglio fare amicizia, voglio solo che finisca questa maledetta giornata. L’autobus si ferma alla mia fermata e vedo Jake alzarsi in piedi mentre io faccio lo stesso. Si avvicina un silenzio imbarazzante, ho questo presentimento.

      Iniziamo a camminare senza dire una parola; non avevo mai pensato che il rumore dei passi potesse essere così sconfortante.

      «E allora … com'è andata la tua vita?» chiede timoroso.

      «Un disastro» ammetto con sincerità, lui sembra sorpreso.

      Continuiamo in silenzio per qualche altro metro.

      «Mi puoi raccontare, se vuoi» m'incoraggia e lo guardo confusa.

      «Perché vorresti saperlo?»

      «Perché siamo amici» risponde in un sussurro.

      «Lo siamo?»

      «Spero di sì.»

      «E tu?» cambio argomento «Come va la tua vita?»

      «Poteva andare meglio» mi osserva con attenzione.

      «Mi puoi raccontare, se vuoi» ripeto le sue parole e questa volta sorridiamo entrambi.

      «Sarà per un altro giorno, stiamo già arrivando a casa tua.»

      «Sì, ci vediamo domani.»

      «Ciao.»

      Per la prima volta in tutta la giornata ho la speranza che forse non tutto è perduto.

      Elena è stesa sul divano quando entro in casa, credo che stia guardando qualche serie televisiva, è troppo concentrata. Non voglio disturbarla, così salgo tranquillamente nella mia stanza. Va bene, sto mentendo. Sì, voglio disturbarla ed è proprio quello che faccio. Lei è la mia matrigna, ma in realtà non ho alcun rispetto né per lei né per nessun'altra donna che sta con mio padre, che non sia mia madre. Si è sposata con mio padre appena un anno fa e si crede la padrona e la signora della casa.

      «Ma tu davvero non hai un lavoro? Eh?» più che una domanda è un'affermazione. Lei subito mi lancia occhiate di fuoco, ma si ricompone.

      «Ne avevo uno, ma ho deciso di lasciarlo per un periodo, per occuparmi di tuo padre, della casa e ora anche di te.»

      «Di me?!» esclamo offesa. «Non ho bisogno di nessuno che si occupi di me e tantomeno di te o di qualunque donnina che mio padre decida di mettere qui in casa.»

      «Jocelyn, non parlare così, tutti vogliamo appoggiarti in questo momento così duro che stai attraversando.»

      «L’unica maniera in cui puoi aiutarmi è non incrociando la mia strada» dico con tutto il disprezzo che sento e corro verso la mia stanza.

      Mamma … quanto mi manchi. Non dovevi andartene, c’è tanta spazzatura nel mondo che forse questo non era un posto per te, ma ancora non smette di fare male. Mi addormento piangendo, quando vengo svegliata da alcuni colpi alla porta.

      «Jocelyn» mi chiama mio padre, più stanco che arrabbiato «scendi a cena, ti stiamo aspettando.»

      «Adesso arrivo» è l’unica cosa che riesco a dire.

      Mi cambio la maglietta, respiro profondamente preparandomi per una predica di mio padre per aver gridato contro la sua nuova mogliettina. Mi avvicino alla tavola già pronta e mi siedo mentre Elena tira fuori qualcosa dal forno.

      «Sai» commenta papà «ti ho dato del tempo perché ti abituassi di nuovo alla casa, ma credo che d’ora in poi potresti iniziare ad aiutare. Inoltre, così ti distrai un po’.»

      «Come? Aiutare in cosa?» lo sfido.

      Perfetto, ora devo guadagnarmi vitto e alloggio. Non che io sia pigra, ma questa non la sento più casa mia.

      «Aiutare Elena a cucinare la cena o preparare la tavola, ogni tanto lavare i piatti o qualcosa del genere.»

      «Cosa?! Aiutare Elena? Sei pazzo!» entrambi si guardano imbarazzati. Lei non ha pronunciato una parola finora, ma sicuramente gli ha raccontato la nostra piccola discussione di poco fa.

      «Lascia perdere, Charles. Credo abbia bisogno di più tempo» si rivolge a mio padre.

      «Non ho bisogno del tuo aiuto» le ribatto.

      «Jocelyn, non essere scortese. Elena vuole solo aiutare, entrambi vogliamo aiutarti.»

      «Sapete una cosa? … va bene, darò una mano. Per non essere in debito con uno di voi due» gli faccio notare.

      «Possiamo cenare in pace, per favore?» protesta papà, sconfitto, mentre Elena fa un cenno di assenso e inizia a servirci.

      Mi fa schifo dover mangiare ogni sera qualcosa preparato da questa donna. Sono sicura che il suo cibo piacerebbe a chi non la conosce, ma io riesco appena a digerirlo. E ora vogliono che io la aiuti a prepararlo. Aiutavo sempre mia madre in cucina, era il nostro momento da condividere insieme, se anche la nonna partecipava, la cucina si trasformava in un parco giochi. Niente di più lontano da quello che sarebbe questa piccola esperienza con questa donna.

      La osservo di sottecchi prendere con la forchetta un po’ di lasagne, le sue mani magre e le unghie color uva, come il vino rosso che beve mio padre ed è allora che questo piccolo dettaglio che prima non avevo notato si dimostra minaccioso. Lei non ha bevuto una goccia di alcol, né mio padre glielo ha offerto da quando sono qui. Va bene, forse sono paranoica, ma ho visto un paio di foto dove entrambi tengono in mano un bicchiere di vino brindando a chissà cosa. Smetto di pensare sciocchezze e mi concentro sul finire la mia cena. C’è un silenzio di tomba interrotto solo dalle posate che sbattono contro i piatti.

      «Jocelyn, vogliamo parlare con te di una cosa importante» inizia papà «sappiamo che questo non è facile per te.»

      Allora prende la mano di Elena e il mio stomaco si rivolta.

      «No, non lo è» ammetto sprezzante.

      «Lo sappiamo, figlia mia, e per questo non do importanza a tutti questi tuoi comportamenti negativi, ma voglio chiederti per favore di non sfogare la tua rabbia con Elena.» Sì, gli ha raccontato tutto. La fulmino con lo sguardo e lei abbassa gli occhi.

      «Lei deve stare tranquilla, voglio che cerchiamo tutti di essere una famiglia» sento i miei occhi riempirsi di lacrime, «soprattutto adesso.»

      Tutto il mio corpo si paralizza aspettando le sue prossime parole. Non so come, ma lo so prima che lo dica.

      «Elena è incinta, avrai un fratello o una sorella, Lyn.»

      Sento i muri chiudersi intorno a me e inghiottirmi, sbuffo così forte che mi viene la nausea.

      «Stai