Isabelle B. Tremblay

È L'Amore Che Ti Trova


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sto bene. Credo che l’ascensore ci abbia lasciati a piedi”, rispose Emma arrossendo.

      Gabriel prese il telefono rosso per le emergenze e compose il numero di servizio per notificare il guasto. Scambiò qualche frase, poi riattaccò.

      “Penso che rischiamo di passare molto tempo qui”, disse, “c’è un ragazzo nuovo alla reception e sembrava completamente perso. Richiederà assistenza immediata.”

      Emma respirò lentamente. Cercava di mantenere la calma nonostante il panico che stava crescendo in lei. Ritrovarsi in un posto chiuso e senza via d’uscita la rendeva un po’ nervosa.

      “Con un po’ di fortuna, potrebbe essere solo un piccolo guasto…”

      “Lo spero. Ho un aereo domattina molto presto per tornare a casa. Non che non sia contento di essere bloccato qui con una signorina così graziosa”, disse Gabriel con un sorriso seducente.

      Non volendolo, Emma rise al commento, ma preferì non dire nulla. Doveva essere un donnaiolo, vista la sua abilità nel parlare. Continuava a sentire il disagio di essere bloccata in un ambiente senza finestre e senza possibilità d’uscita. Imitò Gabriel quando lui decise di sedersi per terra e usare il telefono per controllare le sue e-mail. Udì la suoneria del suo e si mise a cercare in fondo alla borsa per trovarlo, togliendo nel frattempo alcuni oggetti strani che normalmente non si trovano nella borsa di una donna, sotto lo sguardo divertito del suo compagno d’ascensore. Quando finalmente mise le mani sul cellulare, notò un messaggio lasciato da Ian, che si affrettò a leggere. « Mi dispiace per stasera. Un’emergenza. I miei pensieri erano con te. Baci.» Emma fece una smorfia senza rendersene conto.

      “Cattive notizie?”

      “No, per niente. Qualcuno che mi ha dato buca e si è scusato.”

      “Meglio tardi che mai, direi. Non è molto bello far aspettare qualcuno.”

      Emma mantenne il suo sguardo su Gabriel. Lo trovava molto piacevole da contemplare e, all’opposto di Ian, sembrava un tipo piuttosto serio. Indossava un completo nero. Aveva aperto i primi tre bottoni della camicia e sciolto il papillon. Un chiaro segno che la sua serata era terminata. Fissò per un attimo la piccola cicatrice che aveva sulla fronte. Una linea dritta, orizzontale, sopra il suo occhio sinistro. Si chiese come se la fosse fatta. Pensò che probabilmente anche quello era stato giocando a hockey. Cosa che trovò esilarante, poiché non sapeva nemmeno se si interessasse di quello sport o se lo avesse mai praticato. Emma si divertiva immensamente a lavorare con la fantasia. Non che vivesse in un mondo parallelo, ma era nella sua indole inventare storie che finiva per mettere sulla carta. Per il piacere di creare aneddoti e personaggi più vivi di quelli reali.

      “Credo nelle seconde possibilità”, gli rispose  tornando a guardare il suo telefono per leggere il secondo messaggio che aveva ricevuto.

      “Ci credo anch’io. La vita spesso ci offre più di una chance, ma sovente sono le persone a non saperne fare buon uso”, rispose lui. Poi decise di cambiare argomento: “Come sta la signorina Riopel?” ponendo il telefono al proprio lato.

      “Charlotte?”

      Emma sentì affiorare una punta di gelosia. Era peraltro normale: gli uomini continuavano a ricordarsi di Charlotte. Le chiedevano regolarmente il suo numero di telefono, se avessero qualche possibilità o se frequentasse qualcuno. Anche se amava molto la sua migliore amica, a volte ciò diventava pesante. Anche lei avrebbe voluto suscitare l’interesse degli uomini. D’altra parte, era consapevole che la sua amica emanava un’aura di sesso, di piacere senza vincoli e spesso quello era tutto ciò che un uomo comune voleva. In quel campo avrebbe sempre vinto. Ma sapeva anche che la forza di Charlotte poteva essere una debolezza. Lei, Emma, era più mite, più discreta, mirava a relazioni più serie e non faceva a gara sul numero di amanti che passavano per il suo letto.

      “Sì, Charlotte. Abbiamo passato un momento piacevole insieme, ieri sera. È riuscita a divertirmi con la sua vivacità di spirito e il suo umorismo…”

      Emma sospirò e posò il telefono vicino a sé guardando Gabriel. Lui aspettò, osservandola attentamente.

      “Presumo che stia bene. Almeno stava bene l’ultima volta che le ho parlato. Vuole che le dia il suo numero, immagino.”

      Emma sapeva che Charlotte accettava i numeri degli altri e raramente dava il suo.

      Le sue parole erano uscite d’impulso, senza che le potesse soppesare prima. Gabriel assunse un’aria perplessa e immerse il suo sguardo, ora divertito, in quello della sua compagna di ascensore. Capiva di aver toccato un tasto delicato senza volerlo.

      “È carino da parte sua, ma no, grazie. Quando voglio il telefono di una ragazza glielo chiedo direttamente. Non sono un adolescente, le donne non mi spaventano. Lei, Emma, ha un fidanzato?”

      Gabriel la guardò più intensamente. Quando il suo sguardo si posò sulla sua bocca, leggermente carnosa, sorrise per la buffa espressione imbronciata che aveva assunto. Capì che era dovuta all’irritazione di averlo sentito chiedere di Charlotte. Aveva solo chiesto educatamente notizie per riempire una conversazione tra due estranei costretti a condividere uno spazio così ristretto. Anche se le due donne dovevano essere molto amiche, aveva intuito che c’era una piccola rivalità tra loro. Charlotte era riuscita a ravvivare la sua attenzione il giorno prima, ma trovava Emma molto più attraente e interessante. Aveva un aspetto misterioso e serio che meglio corrispondeva alla sua natura. Sprigionava qualcosa di più profondo, meno superficiale, che lo spingeva a voler sapere di più sul suo conto. Sembrava anche avere una personalità più simile alla sua di quella di Charlotte.

      “No, non ho un ragazzo.”

      “E quanti anni ha?”

      Emma rise brevemente. Gabriel non poté fare a meno di paragonare la sua risata a una dolce melodia.

      “Non sa che non bisogna fare questa domanda a una signora?” rispose fingendosi severa.

      “Sono davvero imperdonabile. Sono anche molto curioso”, disse, alzando entrambe le mani e scherzando.

      “E lei quanti anni ha?”

      “Trentanove, per la precisione.”

      In quel momento suonò il telefono di Gabriel. Rispose al secondo squillo. Si mise a parlare in inglese ed Emma si alzò in piedi per non dare l’impressione di ascoltare la conversazione. Era praticamente inevitabile in uno spazio così limitato. Gabriel riattaccò dopo un paio di minuti. Da uomo, posò gli occhi sui glutei tondeggianti della donna e sulla sua vita sottile e ben definita. Immaginò molto bene le sue mani prenderla per i fianchi, ma scacciò rapidamente l’immagine dalla testa. Era stanco e non era affatto da lui abbandonarsi a tali pensieri in una situazione del genere. Ciò non gli impedì di ammirare il seno della giovane donna, evidenziato dalla canottiera a V che indossava.

      “Poco fa, ha per caso detto di essere un medico?”

      “Sì, sono un cardiologo”, rispose lui distogliendo lo sguardo.

      Quel contesto lo imbarazzava. Emma non gli era indifferente e temeva che lei potesse capire l’effetto che stava provocando in lui. Si alzò e tornò al telefono di emergenza per avere il punto della situazione. Passandole accanto, la sua mano sfiorò quella di Emma e sentì un turbamento. Emma guardò l’uomo e immaginò per un attimo di passare le dita tra i suoi folti capelli. Il desiderio di essere Charlotte, per una notte, si insinuò in lei. Un’innocua avventura durante un viaggio di lavoro. Perché frapponeva così tante barriere? Non lo sapeva. Gabriel aveva riattaccato bruscamente e sembrava irritato. Alzò gli occhi verso di lei e le diede spiegazioni, cercando visibilmente di essere rassicurante.

      “Non riescono ancora a far ripartire l’ascensore. Dicono che c’è un guasto meccanico fuori dal loro controllo. Faranno il dovuto, ma ci ritroveremo al buio. Toglieranno la corrente il tempo di mandare qualcuno a fare le verifiche necessarie.”

      “Che fortuna!” mormorò Emma risedendosi e prendendo il telefono per scrivere a Charlotte della situazione.

      Gabriel si sedette accanto a lei, continuando a fissarla, anche se la luce se ne era ormai andata ed era buio. Il suo cellulare in tasca vibrò e lo tirò fuori per metterlo