Rebekah Lewis

Orgoglio E Caduta


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ah Lewis

      Orgoglio e Caduta: Le avventure di Hermes. Parte Due

ORGOGLIO E CADUTALe avventure di Mercurio Parte DueREBEKAH LEWISOrgoglio e CadutaLe avventure di MercurioParte DueRebekah Lewis

      Questa è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, attività commerciali, luoghi, eventi e incidenti sono o prodotti dell’immaginazione dell’autore o utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o morte o eventi reali è puramente casuale.

      Copyright © 2017 di Rebekah Lewis

      Edito da Leona Bushman

      Cover Design di Victoria Miller

      Tradotto da Monja Areniello

      Tutti i diritti riservati. Questo libro o parte di esso non può essere riprodotto o utilizzato in alcun modo senza l’espressa autorizzazione scritta dell’editore, ad eccezione dell’uso di brevi citazioni in una recensione del libro.

      Stampato negli Stati Uniti d’America

      www.Rebekah-Lewis.com

      

Creato con Vellum

      DEDICA

      A Zeus, per non averlo mai tenuto nei suoi pantaloni. Grazie per aver generato metà del pantheon e avermi permesso di scrivere le loro storie.

      P.S. Per favore, non mi fulminare. Hermes me l’ha fatto dire perché ho perso una scommessa.

      CAPITOLO 1

      Gli elaborati cancelli dorati del tempio di marmo di Zeus – per niente modesto – erano spalancati. Almeno oggi lui si era dimenticato delle assurde macchine della nebbia nella quale lui si nascondeva pensando che nessuno lo sapesse. Imbarazzante. Echi di voci urlate risuonavano all’interno in un ronzio agitato e purtroppo Hermes sarebbe dovuto entrare e sottoporsi allo sciame di api, preparandosi a fuggire dall’alveare in preda al panico.

      Quelle ipotetiche api, ovviamente, erano gli Dei dell’Olimpo che erano diventati pigri da quando gli umani avevano smesso di adorarli come Dei. Ora che qualcosa era andato storto, in modo apocalittico, stavano senza dubbio inciampando su se stessi e cercando di ricordare cosa fare in una tale circostanza. Dopo aver ricevuto la notizia, Hermes era giunto all’Olimpo il più velocemente possibile, il che per lui significava solo pochi secondi. Non avrebbe voluto andarci. Sarebbe stata sempre la stessa storia. Hermes si sarebbe offerto volontario per usare i suoi poteri e sarebbe stato zittito perché blah, blah, blah. A chi importava? Perché avere poteri che potevano aiutare a risolvere problemi se lui non poteva usarli?

      No, Hermes, non salvare quella ninfa. Non assistiamo i Satiri, anche se il loro nemico è deciso a conquistare l’Olimpo – come pensiamo. È cool, ma non funzionerà mai. Zeus è intelligente; Zeus non verrebbe mai superato in astuzia. Oh merda, il Sole se n’è andato! No, non usare i tuoi poteri per trovare qualcuno che possa sistemare il problema. Ce l’abbiamo. Pensiamo…

      Apparentemente, il Titano Helios, punito per il semplice fatto di esistere e per avere una linea di sangue più forte, era sfuggito alla sua schiavitù perpetua, dopo che il carro del Sole era andato fuori orbita, portando la Terra lontano dalla rotazione corretta e causando la formazione di un vuoto tra il pianeta e il Sole. Un vuoto che poteva davvero trasformarsi in un buco nero, o quello che Hermes amava chiamare “I Titani inviano i loro saluti”, che era sicuramente dovuto alla troppa televisione premium nei suoi tempi d’inattività. Da qualche mese si era fissato su una serie medievale su un Satiro di nome Adone e non riusciva a smettere di vederla.

      Nota per sé: annullare l’abbonamento via cavo.

      Fondamentalmente, il potere che faceva girare il mondo doveva essere ripristinato, corretto e spostato sull’orbita adeguata. Magia e scienza andavano di pari passo. La scienza, ovviamente, poteva essere manipolata e teorizzata per spiegare ciò che gli umani rifiutavano di accettare come soprannaturale. Quando Hermes era partito per l’Olimpo, l’oscurità stava scendendo sull’emisfero occidentale della Terra. Gli umani erano probabilmente nel panico. Sfortunatamente per loro, la fine era davvero vicina.

      Ah, chi sto prendendo in giro? Non rinuncerò mai alla mai via cavo. In tutto questo disastro è meglio non interrompere le mie registrazioni DVR.

      Hermes si avvicinò all’entrata, librandosi in aria appena fuori e sbirciando dietro l’angolo per ammirare la scena. Zeus era seduto su un colossale trono fatto di marmo e oro – materiali decorativi di prima scelta perché solo il meglio in questo regno! – e tutti si erano radunati attorno al Re. Gli Dei dell’Olimpo gridavano a lui e agli altri senza sosta. Era stava al fianco di suo marito, un severo cipiglio sul suo viso impeccabile dagli zigomi alti. Portava i suoi lunghi capelli neri raccolti in testa con uno spillone con varie piume di pavone che sporgevano da esso. Uno dei suoi preziosi uccelli stava riposando tra le sue braccia, osservando la scena, inclinando la testa a sinistra e a destra come se stesse contemplando le parole degli Dei. O forse voleva cagare su uno di loro. Nessuno poteva dirlo con sicurezza.

      Hermes decise quindi di non ritardare l’inevitabile, non più del necessario e si lanciò nella stanza, cadendo a piedi nudi di fronte a Zeus. Sapeva di avere un aspetto orribile, dopo aver trascorso giorni ad aiutare Pan e gli altri Satiri a prepararsi per trasferirsi da Dioniso e dai Beoziani, anche se tecnicamente “non gli era permesso” aiutarli. Era anche abbastanza sicuro che suo nipote, Leonida, gli avesse rigurgitato sulla spalla quando lui aveva portato Pan dalla Grecia in Ohio per incontrare Vander e gli altri e se ne era dimenticato prima di incontrarlo di nuovo in New Jersey.

      Si ricordava vagamente di Hybris che lo puliva prima di andarsene. La sensazione delle sue mani su di lui aveva fatto reagire il suo corpo in modi che non voleva ammettere, quindi aveva afferrato Pan e si era allontanato dalla Grecia, mettendo l’Oceano Atlantico tra lui e la sua ex in pochi secondi. Fortunatamente, gli Dei potevano ripulirsi con la forza del pensiero perché ora si stava presentando in vestiti indossati da due giorni di fronte a tutto l’Olimpo perché Hy lo aveva toccato per … ventisei secondi. Li aveva contati. I terapisti lo avrebbero pagato per indagare nel suo cervello.

      Le chiacchiere intorno a lui si fermarono momentaneamente. Il suo aspetto fu riconosciuto – e criticato, anche se in silenzio – e poi loro ripresero come se non li avesse interrotti. Niente di nuovo.

      “Che cosa indossi, Hermes?” Afrodite fece un passo avanti, ondeggiando i fianchi. I suoi capelli biondi lunghi fino alla vita pendevano a onde intorno alle spalle. Indossava abiti olimpici frizzanti e madreperlacei, tagliati nel vecchio stile, fissati con una fibula scintillante su ogni spalla: i diamanti incastonati nelle piccole spille erano un tocco moderno. Un filo d’oro scintillante le attraversava la vita e il busto. Il sandalo da gladiatore con i tacchi a spillo da sei pollici gli fece roteare gli occhi.

      Hermes alzò gli occhi al cielo, desiderando di nuovo di essersi cambiato d’abito o almeno evocato nuovi vestiti prima di arrivare. Troppo tardi per farlo ora. I suoi jeans neri erano strappati alle caviglie per lasciare alle sue ali un movimento migliore e la sua maglietta arancione diceva ‘Dio della Meraviglia’ in caratteri inglesi antichi. “Uhm … abbigliamento adeguato per il regno mortale?”

      “Quel colore è decisamente atroce”. Afrodite gli strattonò la camicia. Lei e Hybris avevano questo in comune, l’odio per il colore arancione.

      Lui si fece piccolo. L’unica femmina cui non aveva tempo di pensare era Hybris, eppure continuava a farlo. La madre di Pan e l’amore della sua vita, che aveva lasciato lui e il loro figlio dopo il parto, per non tornare più fino a pochi giorni prima della nascita di suo nipote. Ora era come un’erbaccia che continuava a saltar fuori, non appena l’avevi sradicata. Molto più piacevole per gli occhi, maledizione.

      Non era proprio così. Lei avrebbe voluto riconciliarsi, usando i suoi poteri come scusa per le sue azioni. Hybris era la Dea dell’insolenza e poiché il suo potere era radicato nell’orgoglio, nell’arroganza, nella violenza, non era in grado di tornare sulla sua parola o ammettere di essersi sbagliata.