forte il terreno e rilasciò il respiro che aveva trattenuto con un sibilo; fu positivo però, perché le impedì di gridare abbastanza forte da essere sentita. Rotolò sulle ginocchia, in attesa che la testa le smettesse di girare, e si costrinse ad alzarsi di nuovo in piedi. Ci riuscì e si avviò verso la zona d’ombra dell’edificio attiguo.
Non tentò di raggiungere le stalle questa volta: erano contornate da troppi Taciturni e non aveva alcuna speranza di sottrarre loro un cavallo senza essere scoperta. Al contrario, sapeva che la scelta migliore era allontanarsi dalla locanda a piedi, nascondendosi fra alberi e cespugli sul ciglio della strada e sperando che uno dei suoi fratelli arrivasse con la schiera d’uomini che avrebbero dovuto proteggerla sin dall’inizio…
Perché non l’avevano raggiunta? Perché non erano stati lì, pronti a salvarla? Vars aveva ricevuto il compito di proteggerla, mentre Rodry le aveva promesso che le avrebbe fatto da guardia per un pezzo di strada durante il raccolto nuziale; eppure nessuno dei due c’era stato quando aveva avuto bisogno di loro. Adesso era sola e avrebbe dovuto filarsela dal villaggio, sperando con tutta se stessa che sarebbe riuscita a passare inosservata.
Camminò e ce l’aveva quasi fatta; non era lontana adesso. Qualche altra decina di passi e sarebbe stata fuori dal villaggio. Una volta raggiunto il campo aperto al di là, di sicuro neanche i Taciturni avrebbero potuto trovarla.
Quel pensiero bastò a spronarla a procedere. Lenore strisciava dall’ombra di un edificio a quella del successivo. C’era quasi, era quasi fatta.
Un appezzamento di campo aperto giaceva davanti a lei e gelò quando ne raggiunse il confine, fermandosi per guardare a destra e a sinistra. Non vedeva nessuno, ma era consapevole di quanta poca importanza avesse la vista con persone di quel genere. Tuttavia, se fosse rimasta lì e non avesse fatto niente…
Corse più veloce che poteva, ignorando quanto le doleva il corpo a ogni passo e sfrecciando verso la salvezza oltre al campo aperto. Dietro di sé, udì un grido dalla locanda e capì che Eoris e Syrelle erano entrati nella stanza dove l’avevano lasciata e avevano scoperto che non c’era più. Il pensiero di loro che la inseguivano bastò a farla muovere più in fretta, precipitandosi verso la vegetazione accanto alla strada, verso un nascondiglio, verso la salvezza.
“Laggiù!” gridò una voce, e capì che l’avevano individuata. Continuò a correre, non sapendo cos’altro fare, con la sola consapevolezza che se si fosse fermata, sarebbe ricaduta nelle loro grinfie.
Non riusciva a procedere più veloce, ma almeno adesso era fra gli alberi e i cespugli che costeggiavano la strada; aveva il respiro affannato mentre si muoveva, spostandosi a destra e a sinistra nel tentativo di confondere i suoi inseguitori.
Udì dei passi alle sue spalle e schivò un albero, senza osare guardarsi indietro. Un altro arbusto giaceva davanti a lei e sapeva che, se solo fosse riuscita a eluderlo, avrebbe trovato una vegetazione più fitta oltre a esso. Poteva seminarli da lì in poi forse, ma prima doveva scegliere. Destra o sinistra… destra o sinistra…
Scelse la sinistra e comprese subito di aver sbagliato, poiché venne afferrata da un paio di mani forti, che la sbatterono a terra di peso, pressandola con forza e togliendole il respiro. Provò a dimenarsi, ma ormai sapeva di poter fare davvero poco. Quelle mani piegarono le sue davanti a lei, legandole sul posto per poi tirarla su.
Era davanti a Ethir, l’uomo che l’aveva sorpresa nelle stalle; il primo che aveva… La sollevò senza sforzo, mettendola di nuovo in piedi.
“Ti pentirai amaramente di essere fuggita, Principessa,” disse con quella sua voce pacata. “Ci assicureremo che te ne pentirai.”
“Vi prego,” lo implorò Lenore, ma non fece alcuna differenza. Ethir la trascinò verso i cavalli, il viaggio a sud e ogni momento d’orrore che la attendevano al di là dei ponti che conducevano fuori dal regno.
CAPITOLO SECONDO
Re Godwin III del Regno del Nord sedeva sul suo trono davanti a un mare di cortigiani e si sforzava di mantenere la calma. Dopo tutto ciò che era successo, dopo che sua figlia Nerra era stata costretta ad andarsene, odiava restare lì seduto, a fingere che andasse tutto bene. Desiderava alzarsi dal suo trono e andare a cercarla, ma sapeva di non poterlo fare.
Al contrario, doveva rimanere lì a intrattenere la corte, costretto in quella grande sala che portava ancora i resti del banchetto precedente, non del tutto eliminati. La sala era ampia e costruita in pietra, con striscioni alla parete ritraenti i ponti che segnavano il Nord. Erano stati disposti dei grandi tappeti quadrati, ciascuno riservato a un diverso rango della nobiltà o a una particolare famiglia nobile.
Lui doveva stare lì, in piedi davanti a quella platea, e doveva farlo da solo, perché Aethe non si sarebbe messa di fronte ai cortigiani che avevano preteso l’esilio di Nerra. In quel momento, Godwin avrebbe preferito essere in pressoché qualsiasi altro posto del mondo: il regno di Ravin, il terzo continente di Sarras, ovunque.
Come poteva fingere che andasse tutto bene quando Nerra era stata esiliata e la sua figlia minore, Erin, pareva essere scappata per diventare un cavaliere? Godwin sapeva di avere un aspetto arruffato, la sua barba ingrigita non era curata in modo impeccabile, la sua veste da Re era macchiata; tutto perché da giorni riusciva a stento a chiudere occhio. Poteva vedere il Duca Viris e la sua combriccola scansionarlo con un divertimento evidente. Se il figlio di quell’uomo non fosse stato il promesso sposo di sua figlia…
Il pensiero di Lenore alleviò un poco il suo sconforto. Era in viaggio per il raccolto nuziale, scortata da Vars. Presto sarebbe tornata e tutto si sarebbe concluso al meglio. Nel frattempo però, c’erano questioni serie di cui occuparsi: le voci che erano giunte a corte e minacciavano la rovina della sua casata.
“Vieni avanti figlio mio!” disse Godwin e le sue parole rimbombarono nella stanza. “Rodry, vieni fuori e fatti vedere!”
Il suo figlio maggiore uscì dalla folla spettatrice, sembrando il cavaliere che era e l’uomo che Godwin era stato da giovane. Era alto e irrobustito da anni di pratica con la spada, portava i capelli biondi tagliati corti, per evitare che gli offuscassero la vista. Era un vero guerriero, ed era chiaro che le persone lo osservassero con ammirazione mentre avanzava fra esse. Se solo fosse riuscito anche a essere un po’ più riflessivo.
“Va tutto bene, Padre?” chiese, facendo un inchino.
“No, non va tutto bene,” replicò Godwin feroce. “Pensavi che non sarei venuto a sapere dell’ambasciatore?”
C’era una cosa che proprio non poteva negare sul suo figlio maggiore, però, ed era la sfumatura accentuata di onestà che lo caratterizzava. Avrebbe potuto nascondersi meglio dietro a un dito che dietro a una bugia. In quella situazione, Vars avrebbe tentato di negare tutto mosso dalla codardia, mentre Greave avrebbe infiocchettato la vicenda richiamando la citazione più emozionante di quei suoi libri, ma Rodry si limitò a stare lì in piedi, duro come una roccia, e la sua mente era coerente con la sua postura, dato cosa disse dopo.
“Non potevo restare a guardarlo insultare tutta la nostra famiglia, tutto il nostro regno,” affermò Rodry.
“È proprio questo che avresti dovuto fare,” replicò Godwin adirato. “Invece, gli hai rasato la testa, hai ucciso due delle sue guardie… Se non fossi mio figlio ed erede, verresti impiccato per una cosa simile. In quanto ai tuoi amici…”
“Non hanno preso parte allo scontro,” replicò Rodry, stando in piedi impettito, assumendosi la responsabilità di tutto. Se non fosse stato così arrabbiato per la stupidità di quell’atto, Godwin sarebbe stato quasi orgoglioso di lui.
“Beh, saranno presto costretti a partecipare a uno,” disse il Re. “Credi che un uomo come Re Ravin non contrattaccherà? Avevo mandato il suo ambasciatore per la sua strada perché non potesse farci niente. Adesso gli hai dato una ragione per assalirci con più tenacia.”
“E noi saremo pronti a fermarlo quando lo farà,” rispose Rodry. Certo, era ostinato e poteva anche essere un uomo adulto e un cavaliere, ma non aveva mai sperimentato la guerra vera. Oh, aveva combattuto contro banditi e creature di vario genere, in quanto Cavaliere dello