una grossa chiave di ferro che inserì nella serratura. Vars la sentì scattare mentre la girava. Aprì il cassettone e allungò un braccio per tirare fuori una tunica da contadino di colore chiaro, dei calzoncini scuri e una spessa cintura di cuoio. Vars li fissò sorpreso mentre li tirava fuori.
“Erano di mio marito,” spiegò Bethe. “Era un uomo gentile, lavorava il legno. Era fuori in strada quando i soldati sono arrivati in città e lo hanno…”
“Mi dispiace tantissimo,” la interruppe Vars, ritrovandosi a provare empatia per Bethe. Di norma, il destino di un contadino non avrebbe significato molto per lui, ma ora poteva vedere il dolore che provava la donna che aveva davanti, la sofferenza che le segnava i tratti.
“Edric ti avrebbe dato i suoi vestiti,” continuò Bethe. “Sarebbe stato felice che contribuissero a tenere qualcuno al sicuro. È sempre stato un uomo così generoso.”
Sembrava l’esatto opposto di tutto ciò che era lui, e per un momento si sentì in colpa per essere stato in parte causa dell’orrore che si era abbattuto sulla città. Ma durò poco perché, in verità, cosa avrebbe potuto fare qualcun altro, se non morire?
“Vi sono davvero grato,” disse Vars, prendendo i vestiti con delicatezza. Si tolse di dosso la divisa che aveva rubato, senza curarsi che la tunica fosse un po’ troppo grande per lui, né che la contadina fosse ancora lì mentre si cambiava.
“Ti donano,” affermò Bethe una volta vestito. “Adesso, forse dovremmo bruciare quell’uniforme.”
Vars annuì. Per un momento, con quegli indumenti indosso, si sentì al sicuro, ma le parole di Bethe erano un promemoria del pericolo che stavano ancora correndo. Poteva essere trovato e ucciso da un momento all’altro in quel tugurio, lontano anni luce da qualsiasi cosa appartenesse alla sua vita precedente.
Ma allora perché, si domandò, era felice?
CAPITOLO OTTAVO
Erin sedeva all’esterno e osservava le pale del mulino a vento con la lancia sulle ginocchia. Un casolare giaceva accanto a esso, ai margini di una piccola fattoria anch’essa di proprietà di Harris e sua moglie. Questo significava che c’era abbastanza spazio perché potesse stare da sola, almeno per il momento.
Era un bene, perché meno tempo passava con Odd e meglio era. Era andata da lui per essere allenata, ma poi lui aveva osato trattenerla nella piazza dove Ravin aveva ucciso sua madre.
Se Odd non l’avesse fermata, sarebbe corsa al centro della piazza e magari sarebbe arrivata in tempo per salvare sua madre. Avrebbe potuto almeno abbattere Ravin per quello che aveva fatto. Non essere intervenuta… essere rimasta da una parte a guardare… le faceva ribollire il sangue.
Non era finita lì, però. Tutta la rabbia del mondo non sarebbe bastata a soffocare il dolore che provava. Le lacrime minacciavano di traboccare, ma persino lì, così lontana da chiunque altro, Erin si rifiutava di lasciarle cadere. Accartocciò il suo dolore invece, seppellendolo sotto alla sua ira, usandolo per alimentarla.
Sfilò la custodia dalla punta della sua lancia e si alzò in piedi, iniziando a muoversi con essa, esercitandosi con i colpi e le parate che prevedeva una lotta contro un vero avversario. Mentre si dava a quella danza da battaglia, Erin immaginava il nemico, vedendo il modo in cui si muoveva e ricreando mentalmente ogni suo movimento.
All’inizio, quell’avversario era una cosa amorfa e informe, solo una sagoma anonima che impugnava una spada. Ma non era sufficiente, però, non bastava a farla muovere rapida, né a farle elaborare la rabbia che le si era accumulata nel cervello, mentre si abbassava e saltava, tagliava e affondava.
Lentamente, il suo avversario immaginario assunse le sembianze di Re Ravin, ed Erin accelerò, pensando a tutti i modi in cui avrebbe potuto colpirlo. Nella sua mente, lo uccise un centinaio di volte, trafiggendolo al cuore o alla gola, tagliandogli le arterie del braccio o della gamba con la lama della sua arma. La sua lancia sfrecciò nell’aria davanti al mulino a vento, girando come imitasse le sue pale. Erin immaginò tutte le strade che la lotta avrebbe potuto percorrere, tutte le strade che avrebbero potuto abbattere l’uomo che aveva causato tanta miseria alla sua famiglia.
Lentamente, il volto del suo avversario mutò di nuovo, ed Erin si ritrovò di fronte all’immagine di Odd, lì in piedi con quella sua calma imperturbata, con quel suo sguardo che sembrava associare i suoi sforzi a quelli di una bambina. Erin accelerò di nuovo, colpendo e parando con una velocità violenta adesso, mentre balzava, volteggiava e allungava la sua lancia verso il volto di colui che si stava avvicinando.
Erin trattenne l’arma e riuscì per un soffio a risparmiare Tess, la moglie del mugnaio. Abbassò la lancia e fissò la donna, che teneva in mano un tagliere con una ciotola di stufato e del pane.
“Ho pensato… ho pensato che poteste essere affamata,” disse, suonando un poco spaventata, come se temesse che la furia dentro Erin si riversasse su di lei per consumarla.
“Grazie,” replicò Erin e ricoprì la lunga lama della sua mezza lancia.
“È un’arma insolita,” affermò l’altra donna.
“Un maestro di spada l’ha scelta per me,” rispose Erin. “Ha detto che mi si adattava meglio che una spada lunga. Un giorno la infilerò nel cuore di Ravin.”
Non menzionò l’altra figura contro cui aveva immaginato di combattere. Mangiò, invece, e Tess rimase con lei a tenerle compagnia.
“Vostra sorella è fortunata ad avervi a proteggerla,” disse Tess.
Erin alzò le spalle. “Ciò di cui ha davvero bisogno è un esercito.”
“Beh, potrebbe esserci un inizio almeno su quel fronte,” replicò Tess. “Gli altri volevano che vi riportassi a casa, ma ho pensato fosse meglio farvi mangiare in pace.”
“Cosa intendi con ‘un inizio’?” chiese Erin.
“Venite a vedere,” rispose Tess.
Le fece strada fino al casolare, ed Erin trovò Lenore e Odd di fronte a esso. Lenore era lì in piedi come un generale al comando di un esercito, mentre Odd era appoggiato alla sua spada ricoperta dalla custodia e indossava le sue vesti di monaco al posto di quelle nobili.
Insieme a loro, c’era una mezza dozzina di uomini. Una coppia aveva spade ereditate ovviamente dal servizio militare loro o dei rispettivi padri, mentre gli altri avevano in mano attrezzi agricoli, asce, martelli e persino una falce.
“Erin!” gridò Lenore mentre si avvicinava. Sembrava così felice in quel momento che qualcuno fosse tornato e avesse risposto bene al suo discorso. Erin era felice per lei, ma allo stesso tempo si rendeva conto di quanto fosse piccolo quell’inizio. Gli eserciti avevano bisogno di migliaia di uomini, non di sei.
“Sono venuti perché mi hanno sentita parlare alla locanda,” spiegò Lenore. “Thom e Kurt hanno già servito come soldati in passato, mentre gli altri sono disposti a imparare.”
“Avranno molto da imparare,” intervenne Odd, ed Erin gli lanciò un’occhiataccia, anche se era più o meno quello che aveva pensato lei stessa.
“È un inizio,” riconobbe.
“E si uniranno altri,” aggiunse Lenore. “Harris e Tess ci lasceranno usare la loro fattoria per tutti coloro che verranno. Ci addestreremo qui e produrremo una forza di combattimento che potrà davvero colpire Ravin.”
Erin cercò di immaginare quegli uomini contro i soldati del Regno del Sud. Occorreva addestrarli per bene.
Lenore chiamò Erin e Odd da parte, entrando nel casolare, lontano dagli uomini che avevano appena iniziato a esercitarsi con le loro armi. Harris e Tess andarono con loro.
“C’è un’altra parte in tutto questo,” affermò Lenore, una volta al sicuro all’interno, sistemati davanti a un fuoco che riscaldava la grande cucina dalle pareti di pietra. “Quegli uomini sono un inizio, e ce ne saranno altri, ma se vogliamo vincere, abbiamo bisogno di veri combattenti dalla nostra parte. Ci servono i nobili.”
“Non sono sicuro se vorreste Lord Carrick,” disse Harris.