possono spararci", disse l'uomo dei servizi segreti. "Quest'auto è antiproiettile".
Se così fosse, allora perché l'uomo continuava a coprire Dixon?
"Non c'è Dio al di fuori di Allah".
Il suo passaporto diceva che proveniva dalla Grecia. Diceva di chiamarsi Anthony. Era un falso impeccabile e la gente ci aveva creduto. Il personale addetto al check-in e alla sicurezza negli aeroporti ci aveva creduto. Gli impiegati dell'albergo ci avevano creduto. Tutti gli avevano creduto.
Adesso niente di tutto questo aveva importanza.
Era immerso nella folla gremita. Era una giornata calda, ma all'improvviso il sole sembrava così caldo che sembrava esplodere. Si era lasciato alle spalle edifici colorati e balconi decorati. Di fronte a lui c'era una fila di macchine nere striscianti con i finestrini scuri e le bandiere americane e portoricane drappeggiate sul parabrezza.
Era senza fiato. Non riusciva a pensare a nient'altro che a cose meccaniche che aveva memorizzato molto tempo prima.
"Oh Allah", disse, ad alta voce, il suono della sua voce soffocato dalle grida e dalle acclamazioni delle persone intorno a lui. "Concedici il bene nel mondo e il bene nell'aldilà e salvaci dal tormento del fuoco".
La gente urlava. Rideva. La folla era impazzita. Lui venne spinto più volte, di qua e di là. Si sentiva male e gli salì un improvviso senso di nausea. Tutto intorno a lui girava.
Barcollò in avanti, verso la macchina davanti a lui.
All'improvviso, alla sua destra, più indietro nel corteo di automobili, qualcosa esplose. Vide l'esplosione con la coda dell'occhio. Non aveva nemmeno bisogno di guardare. Sapeva cos'era. Era un fratello in Allah, qualcuno che non aveva mai incontrato, il primo dei mujaheddin a morire quel giorno.
Era anche il segnale per gli altri, e Anthony era uno di quelli.
La gente continuava a urlare, ma il tono era cambiato. Adesso la gente correva e urlava. Si sentì una sirena.
Le macchine erano bloccate nella folla. Erano bloccate nel loro stesso corteo.
Anthony quel giorno indossava una colorata camicia hawaiana con stampa floreale che si appoggiava al rigonfiamento intorno alla sua vita. Chi lo avesse visto avrebbe potuto pensare che fosse un po' in carne. Ma non lo era. Lui era molto magro.
Fece due passi nel traffico, quasi inciampando quando scese dal marciapiede. La gente spingeva, cercando disperatamente di scappare. Un uomo portava un bambino piccolo sulle spalle. Anthony superò l'uomo.
Era molto vicino alla macchina nera. Era grande, più grande di quanto si aspettasse.
Da qualche parte nelle vicinanze, iniziarono gli spari. I fratelli, la polizia, l'esercito, non c'era modo di dirlo adesso.
“Allahu Akbar”.
Gridò a squarciagola.
Sbirciò nel finestrino dell'auto, ma non vide niente. Forse il presidente americano era lì, forse no. C'erano comunque delle sagome. La macchina non era vuota.
Accanto a lui, sulle spalle dell'uomo, il bambino piangeva.
Anthony non esitò. Teneva in mano un accendisigari in plastica. Si allungò la mano sotto la camicia e cercò la miccia che avrebbe avviato l'esplosione. Si era esercitato molto, la trovò subito. Fece scattare l'accendino.
“Salvami!” gridò. Non sentì nemmeno la propria voce. Non sapeva a chi si stesse rivolgendo.
Un secondo dopo, si sentì avvolto dal calore. Poi arrivò il fuoco e la luce accecante.
E poi l'oscurità.
"È un buon oratore", disse Don Morris. "Glielo concedo".
Si trovava insieme a Luis Montcalvo diverse vetture davanti all'auto del presidente. Tutt'intorno a loro, le persone erano quasi schiacciate contro i finestrini, scrutavano nell'oscurità, sperando di intravedere Clement Dixon.
"Un oratore eccezionale", disse Montcalvo. "E ha detto molte cose che il popolo portoricano ha bisogno di sentire".
Don annuì. "Penso che lei abbia ragione. Il pubblico ha apprezzato il suo discorso e le persone alla parata… " Fece un gesto fuori dal finestrino e lasciò che la folla elettrizzata parlasse per lui.
"Siamo pronti per l'indipendenza", disse Montcalvo. "Siamo stati troppo a lungo in questo limbo e ciò va a sostegno di chi vuole una completa scissione".
Don lanciò un'occhiata al giovane addetto ai servizi segreti che viaggiava in macchina con loro. Il ragazzo sembrava annoiato. Ascoltava e non ascoltava allo stesso tempo. La vera azione avveniva in un'altra macchina.
Don guardò Montcalvo. Sembrava appena più vecchio dell'uomo dei servizi segreti che doveva proteggerlo. Era sicuro di sé e composto. Si era incontrato con il Presidente degli Stati Uniti e aveva ottenuto il suo rispetto. Essere governatore di Porto Rico era di più, e al contempo di meno, che essere governatore di uno stato. In un certo senso, era come essere il presidente di un piccolo paese. Montcalvo gestiva bene questa responsabilità.
"Penso che lei ed io non siamo così diversi come sembra", disse Don.
Montcalvo annuì. "Sono d'accordo. Non potrei dire altrimenti. So che lei è un grande uomo. Ma la School of the Americas … Sono sicuro che capirà che noi abbiamo una grande affinità con tutta l'America Latina. Sono nostri fratelli e sorelle".
Don avrebbe potuto crederci. “Certo”.
"Andiamo per la nostra strada", disse Montcalvo. "Possiamo perdonare, ma non possiamo …"
All'improvviso, una bomba esplose proprio fuori dalla vettura.
Il suono era attutito, ma si sentì in ogni caso.
Era successo dietro di lui, quindi non vide nulla. Ma Don aveva visto tutto. Un uomo si era avvicinato facendosi largo tra una folla compatta, e poi era esploso. Don non lo aveva visto innescare l'esplosivo, ma vide che gli occhi dell'uomo erano chiusi, probabilmente in preghiera.
Era esploso, era diventato irriconoscibile in un istante, e così le persone intorno a lui. C'era un uomo che portava un bambino sulle spalle.
Una forte spruzzata di sangue colpì il finestrino proprio dietro la testa di Montcalvo.
Poi Don si tolse la cintura di sicurezza e coprì Montcalvo schiacciandolo contro il sedile. Era puro istinto. Bussò al finestrino dell'abitacolo. Gridò all'unisono con il giovane agente dei servizi segreti dietro di lui.
"Andiamo via! Veloci! Subito!”
L'auto si fece strada tra la folla. Tutt'intorno a loro, la gente gridava, sconvolta, premendo i volti insanguinati contro la finestra. Si udirono colpi di arma da fuoco.
Il primo pensiero di Don fu per Margaret, nell'auto del presidente. E non c'era niente che potesse fare per lei. Quelle macchine erano come fortezze mobili, lo sapeva. La cosa più pericolosa era venire intrappolati nella folla e non riuscire più a muoversi. Se la vita di Margaret era in pericolo, era a causa di questo ingorgo.
Premette il corpo di Montcalvo in modo delicato ma risoluto al tempo stesso.
“Non si alzi, figliolo. Stia giù".
Si voltò a guardare l'uomo dei servizi segreti.
“Fai muovere questa macchina. SUBITO".
All'improvviso, come in risposta alla richiesta di Don, l'auto accelerò. Guardò attraverso il vetro fumé e attraverso il parabrezza, nella stessa direzione dell'autista. L'auto cercava di evitare la folla che si gettava in preda al panico sui marciapiedi.
L'autista fece una brusca svolta ad alta velocità e si infilò in una traversa laterale.
Di fronte a loro, una donna con in braccio un bambino piccolo si trovava sulla carreggiata. Il bambino giaceva inerme tra le sue braccia. Il viso della donna era pieno di sangue. Urlava.
Stavano per investirla.
L'autista sterzò a sinistra. L'auto si catapultò sul marciapiede, evitando la donna. Colpì il muro di un edificio azzurro di epoca