altri contatti, lei è l'unica persona che potevamo chiamare.”
“Già, immagino che non avesse una rubrica,” commentò Marie. “Né un cellulare.”
Il pensiero di zia June che provava a usare un iPhone le fece affiorare alle labbra un tremolante sorriso. June aveva coniato tanti motti, e uno di questi era: “Quando l’angelo Lucifero è stato cacciato dal paradiso, è caduto nella tecnologia.”
“Beh, la vicina ci ha detto di non essere a conoscenza di altri familiari,” continuò Miles. “Le viene in mente qualcuno che potrebbe occuparsi delle disposizioni? Sembrerebbe che la povera donna fosse tutta sola.”
“Lo era. Ma preferiva così. Era una bisbetica fatta e finita.”
“E non c’è nessuno che le venga in mente a cui dovremmo comunicare la notizia?”
Tristemente, no, non c'era. A dire la verità, Marie sembrava essersi completamente paralizzata in un ricordo molto preciso della sua prozia, che le era tornato in mente. Marie si ricordava un giorno d'estate perfetto. Era seduta nella veranda sul retro e guardava le bianche creste delle onde. June era venuta da lei e le aveva detto che sua madre avrebbe potuto non tornare mai più, che era scomparsa e che nessuno sapeva dove fosse.
In un primo momento, Marie aveva pensato che si trattasse di uno dei soliti scherzi di June, come quella volta che l'aveva convinta che il grosso scoiattolo con cui aveva giocato una volta in giardino fosse in realtà un gatto mutante. Aveva insistito con così tanta determinazione e sicurezza che Marie aveva finito davvero per credere, durante tutta l'estate, che quello stupido scoiattolo fosse un gatto.
Ma quella volta l'espressione tetra sul volto di June nel riportare la notizia alla nipotina quattordicenne era stata molto diversa. Dalla linea sottile delle sue labbra, Marie aveva capito che la zia stava dicendo la verità.
La polizia non era mai riuscita nemmeno a ritrovare l'auto di sua madre. Nessun indizio.
“Mi spiace… Signorina Fortune?”
“Mi scusi. L'ho fatto di nuovo, vero?”
“Sì. Va bene così.”
Marie spazzò via il ricordo della scomparsa di sua madre. Stavolta non era di sua madre che si trattava. Aveva sprecato già abbastanza la sua vita a rimuginarci sopra. Questa volta si trattava di zia June, che era stata trovata morta nella sua casa da sogno.
“Mi occuperò io di tutto ciò che è necessario per il funerale,” assicurò Marie. “Un momento… verrà sepolta, vero?”
“Non lo sappiamo ancora. Dobbiamo trovare il suo testamento prima di occuparci di questo genere di cose. Per caso lei sa qualcosa delle sue ultime volontà?”
“Non vorrei mai dover tirare a indovinare. Zia June era… beh, era una persona insolita. A un certo punto diceva di voler donare il suo corpo alla scienza, per servire da modello ai truccatori delle pompe funebri. Un'altra volta voleva che mettessimo le sue ceneri in un fuoco d'artificio e che lo lanciassimo nel mare. Un'altra volta ancora parlava di farsi trasformare in compost per fertilizzare non so quante piante di lillà chissà dove in Virginia.”
Il vicesceriffo Miles ridacchiò. “Doveva essere proprio un bel tipo.”
“Lo era eccome.”
“Allora annoto che posso contattarla in caso di necessità. Lei sta bene, signorina Fortune?”
“Mi riprenderò,” lo rassicurò Marie, e terminarono la telefonata.
Ma, in realtà, non era sicura di quanto fosse vero. Le venne un groppo in gola e sentì le lacrime colmarle gli occhi.
Si sforzò di non esplodere in quel pianto disperato che stava per dirompere. Pensò alla vecchia casa di June, a come i bambini, a quei tempi, dicessero che fosse infestata. Pensò a quel giorno in cui aveva parlato a June di questa diceria, e si erano messe a canticchiare la sigla di Scooby Doo. Quel motivetto le rimase in testa e le provocò brevi scoppi di risa che arginarono le lacrime.
Andò in camera e si gettò sul letto, sopraffatta da tutti gli eventi di quella giornata. Niente più lavoro. Niente più Chris. E adesso niente più zia June.
C'era un solo pensiero che scongiurava il rischio che quella nottata diventasse un vero e proprio festival del pianto: pensare alla villa di zia June e a quel bellissimo litorale. Stava per tornarci, per motivi molto tristi, certo…
Ma stava per tornarci.
CAPITOLO QUATTRO
Sulla strada per Port Bliss, a venticinque chilometri dalla cittadina, Marie vide l'oceano. Le apparve la prima volta superando un incrocio, quando intravide alla sua destra, in lontananza, uno scintillio blu e bianco.
Dopo che lo ebbe visto, l'oceano le servì da bussola. Sapeva dove andare e cosa attendersi. Condusse la sua vecchia ma affidabile Saab più vicino a Port Bliss, avvicinandosi lentamente alla costa. E quando l'autostrada iniziò a costeggiare l'acqua, separata solo da brevi tratti di boscaglia, casette e lingue dorate di sabbia, le affiorò alle labbra un indelebile sorriso.
Cominciò a vedere, sparsi per il paesaggio, piccoli segni che le ricordavano dov'era diretta. Le banchine per la pesca, i cartelli stradali che segnalavano le attrazioni balneari, le barche trainate a rimorchio da modesti pick-up.
Quando le sue ruote toccarono il primo dei due grandi ponti che attraversavano i bacini idrici e le distese di acquitrini, fu difficile non soccombere alla nostalgia. Il suo passato tornava in forze, come se qualcuno stesse sfogliando, proprio davanti a lei, le pagine di un libro molto familiare.
Poteva già vedere con gli occhi della mente la grande vecchia villa di June, con le sue guglie e le sue grandi finestre. Rivide il mare, che le sembrava così vasto e tremendamente profondo quando era bambina.
Poteva raffigurarsi così bene quella casa perché era stata, dopo tutto, l'ispirazione del suo sogno ad occhi aperti di aprire un bed-and-breakfast.
Erano due anni che non vedeva June ma, cavoli, le sarebbe proprio mancata.
Eppure, era onestamente un po' seccata dal fatto che l'immagine della vecchia villa prevalesse, nella sua memoria, persino sul ricordo di June. Sì, c'erano gli scones e il tè oolong, e le battute e gli incessanti scherzi che potevano continuare per settimane, ma era stata la casa il cuore di tutto. Marie rimaneva per ore nella biblioteca del salotto della zia mentre June e sua madre chiacchieravano bevendo un bicchiere di vino o di brandy. Poi si metteva a correre nei corridoi e sgattaiolava in terrazza.
Ridacchiò nuovamente, meravigliandosi di come la mente potesse reagire in modo strano alla morte di una persona cara.
Per lo meno il funerale si tiene a Port Bliss, pensò. Conoscendo June, avrà sicuramente avuto in mente un mucchio di ambientazioni bislacche per quest'evento.
Ovviamente, il pensiero del funerale era triste. Specialmente il funerale di zia June. Quella vecchia pellaccia aveva vissuto come se fosse immortale. Oltre a scherzare su razzi da lanciare e sul fare da modella per i truccatori delle pompe funebri, June aveva anche accennato a farsi ibernare criogenicamente. Parlava sempre di come Walt Disney e qualche giocatore di baseball fossero ibernati da qualche parte.
Man mano che si avvicinava a Port Bliss, Marie si rese conto che quella che sentiva non era nostalgia, o almeno, non esattamente. Non sapeva se esistesse una parola precisa per descrivere quella sensazione di tornare a casa in un posto che però non è mai stato esattamente casa tua. Eppure, era proprio quello che stava provando. Si immaginò che esistesse una parola giapponese per dirlo, perché i giapponesi hanno una parola per qualsiasi cosa.
Mentre i ricordi di zia June continuavano ad attraversarle la mente, un'altra cosa le accadde. Pensò che in qualche modo il tempismo dell'evento avesse un che di cosmico: forse zia June, ovunque si trovasse in quel momento, se la stava ridendo, sapendo che la sua morte aveva attutito il duro colpo del collasso di una relazione. June sarebbe stata proprio capace di fare una cosa del genere. Anzi, non faceva fatica a immaginare che la zia potesse mettersi a infestare l'appartamento di Chris per ripicca. Quel pensiero la fece sorridere.
Nel flusso di