sette!
— E voi, perchè ne avete messe lì sette?
— Io?
— Non siete la moglie di Cripopoulo?
— Che cosa c’entra con le sette candele? Io vengo qui soltanto due volte il giorno.
— Non capisco! Ma a proposito... il cameriere del Claridge...
— Il Claridge è un albergo e io non so...
— No! Perbacco! O per Allah, come preferite. No, vi dico! Non crediate che vi sia possibile indurmi al suicidio, convincendomi che io farnetico! Voi siete la signora con cui ho parlato oggi, dopo colazione, nella hall del Claridge’s hôtel .... Voi e non un’altra!
— Io. Certamente. Ma perchè non vi sedete?
— Perchè non voglio produrmi delle echimosi alla schiena con i fiori di legno delle vostre poltrone. Dunque, voi! Ebbene, il cameriere mi ha detto che voi, signora, siete polacca...
— Infatti...
— Nikola Cripopoulo mi aveva in precedenza garantito di avere una moglie egiziana, nata in un harem. Come conciliate le due affermazioni?
— Nikola avrà avuto le sue ragioni, per darvi una informazione....
— Erronea!
— Inesatta.
— Bene. Lo vedremo. Adesso, se permettete, mi ritiro. Vi sarò grato, se vorrete dire a Nikola Cripopoulo, vostro marito, che lo attendo in albergo alle venti.
— Glielo dirò, signore.
Mi avvio all’uscita. Eppure no, non uscirò così! Sento che attorno a me c’è un mistero, un cupo mistero anzitutto da squarciare, indi da illuminare, e soprattutto che occorre io mi guardi da esso. Qualcosa e qualcuno minacciano la mia esistenza. La signora Cripopoulo – debbo, dunque, chiamarla così? – mi guarda e ha gli occhi verdi. Il suo sguardo è tale da esasperarmi.
— Anzi, signora, voi gli direte che io non potrò attenderlo alle venti.... Gli direte di venire invece... ecco! alle ventiquattro. Che ne dite?
— È una strana ora, per dare degli appuntamenti!
— Non sono il solo a darli a quell’ora. Che ne dite?
— Che ci sono appuntamenti e appuntamenti.
— E aggiungete che ho cambiato camera. Adesso, perbacco! ho la camera numero nove.
— In fondo al corridoio, a destra. Ha due finestre e un bagno senza finestra.
— Come lo sapete?
— Caro signore, vedete? Guardatemi in volto. Io sorrido. Io vi sorrido con molta grazia. Un altro uomo, che non fosse un inglese, penserebbe: in quel sorriso si racchiudono tutte le promesse. Pensatelo, signore, e non date un appuntamento a ore indebite, a un marito che a mezzanotte dorme, turbando così tutto un sistema di vita regolato e metodico.
Non si potrebbe con miglior grazia dirmi che sono un asino. E d’altra parte non è da lei stessa, questa notte, che io potrò avere una spiegazione del mistero?
— Riconosco, signora, di aver agito con qualche precipitazione. Ve ne chieggo scusa. Non alle ventiquattro, ma alle venti, attenderò l’ottimo Cripopoulo nel mio albergo. E a lui chiederò soltanto la ragione per la quale ha voluto chiudermi a chiave in questa camera.
— A chiave?... Chiudervi?... Ma voi vi ingannate, signore! Guardate! questa porta non ha chiave e non si potrebbe chiuderla, neppure a volerlo...
Infatti, infatti!.... Eppure, la porta era chiusa poco fa, essa ha resistito ai miei ripetuti sforzi. Il mistero s’infittisce.
— Non è vero, Nikola, che voi non avete chiuso a chiave questa porta, dietro le spalle del signore?
Nikola è comparso. Non è più in pigiama. L’abito grigio che indossa è impeccabile.
— Non v’è porta che non si apra dinanzi a un giusto, e mister Domiziani è un giusto. Ma voi, Franzyska, perchè siete qui, in compagnia del signore?
— Perchè appunto egli gridava d’essere rinchiuso e non lo era.
— Sta bene. Vi presento madama Cripopoulo, mister Domiziani. Non era nelle mie intenzioni farlo, ma talvolta le azioni vanno oltre le intenzioni. Per questo occorre sempre esprimerle in parole: quando sian rese concrete dalle parole, le azioni hanno un valore visibile, del quale ci si può rendere conto. Franzyska, mi lascerete per iscritto le vostre informazioni di oggi: io esco col signore. Precedetemi, mister Domiziani.
Riconosco di essere sbalordito. Ma gli inglesi e gli americani, tanto più non capiscono e tanto meglio sanno rendere il proprio volto impenetrabile. È quindi con un volto ermetico, che io mi inchino a madama e passo davanti a Nikola. L’avrà da far con me fuori di qui, Nikola! Ma sento la sua voce che comanda: – Spegnete i fuochi! Ecco l’aurora! – e penso che egli abbia fatto spegnere le sette candele.
Nikola non aveva fatto spegnere le sette candele, – o per lo meno non aveva fatto questo soltanto; – Nikola è un pazzo lucido. È peggio che un pazzo: è un fanatico. E io sono stato un imbecille a cadere nel suo inganno. Si dice fanatico come un irlandese; ma nulla vieta di dire fanatico come un egiziano. In fondo, tanto gli uni quanto gli altri, sono indotti alla estrinsecazione del loro fanatismo da un denominatore comune, come le parti mobili di una gigantesca equazione. È altrettanto vero, però, che dalla Cornovaglia al Capo Wrath non si troverebbe un inglese capace di dimostrarsi imbecille come io mi sono voluto dimostrare. Quale sangue ho dunque nelle vene? Occorre che ritrovi me stesso e riacquisti quelle qualità sottili di perspicacia e di intuizione, che caratterizzano i pari miei. Per far questo, accendo la pipa e lascio che Nikola continui a parlarmi. Mi ha condotto sulla spiaggia di Ibrahimia e mi ha fatto sedere in un tristo caffeuccio, che ha una specie di veranda sul mare. Il padrone – un greco dal sorriso untuoso come i capelli e dolce come gli enormi piedi – si è inchinato a Nikola, mettendosi una mano sul petto. – Alla vostra salute, mister Domiziani, e che Allah vi guardi e faccia venire la scrofola, le pustole, le convulsioni epilettiche a tutti quei cani dei vostri neinici!
— Nikola, cominciate per il momento a rendermi conto delle vostre azioni! E prima di tutto ditemi come mai voi, levantino di origine europea, vi rivolgete ad Allah...
— Non c’è che un nome per invocare Iddio; ce ne sono venti per chiamare il diavolo.
— Sarebbe esatto quel che dite, se per ogni diavolo non vi fosse un corrispondente Iddio. Ma lasciamo andare! Ho qualcosa di più importante da chiedervi. Perchè avete voluto mentire, lasciandomi credere che la vostra signora fosse egiziana?
— Io vi ho detto questo? L’aspide morda la mia lingua, che ha pronunciato per una volta tanto la verità! Mia moglie è egiziana, mister Domiziani. Essa è figlia di fellah e ha veduto la luce a Suef.
— Nikola Cripopoulo, badate! Voi siete seduto; ma la mia mano destra sente imperioso il bisogno di afferrarvi per il bavero, di sollevarvi, e di indurvi a presentare il vostro riverito deretano al colpo sicuro del mio piede. La signora a cui mi avete presentato poco fa è egiziana come voi siete inglese!
— Io sono mussulmano, mister Domiziani, e quella signora è polacca. Ma essa è soltanto la mia seconda moglie. L’ho sposata tre mesi or sono a Marsiglia, secondo le leggi europee. Prima, avevo sposato Hasneh, secondo la legge dell’Islam. Come vedete, il vostro piede avrebbe commesso una grande ingiustizia, se mi avesse colpito.
— Nikola, tutto in voi è falso, dal brillante della vostra cravatta al sorriso della vostra bocca. Perchè avete accettato le mie proposte e i miei denari?
— Per servirvi, mister Domiziani. L’impresa eroica che dovete tentare è tale che avete bisogno di alleati.
— Che cosa sapete voi dell’impresa che debbo compiere? E che mi andate cianciando di eroismo!
— Nulla sa Nikola e tutto sa. Alcune