Alessandro Bellardita

I Vostri diritti in Germania


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costruire la ghigliottina in tempo, vale a dire prima della decisione del Consiglio parlamentare relativa alla condanna di morte?

      Nel febbraio 1949 il ministero di Giustizia della Renania-Palatinato riesce finalmente a convincere un fabbro a costruire la lama. Ma ci vorranno almeno due mesi per finirla. Nel frattempo, nell’assemblea costituente, inizia un acceso dibattito proprio per quanto riguarda l’articolo 102, quello relativo alla pena di morte. Süsterhenn, che durante il periodo nazista aveva difeso a spada tratta una decina di preti che rischiavano di finire nei campi di concentramento, si appella – per promuovere la pena di morte – a Dio: il potere dello Stato è legittimato dalla volontà di Dio. “Dio dona la vita agli uomini e, dunque, se un uomo commette un reato grave, lo Stato, in quanto volontà di Dio, può togliere la vita all’uomo”, afferma Süsterhenn in un’intervista15.

      Friedrich Wilhelm Wagner, che durante il Terzo Reich dovette emigrare prima a Parigi e poi negli Stati Uniti, non riusciva a sopportare l’idea che uno Stato possa uccidere un uomo, in quanto nessuno può mai essere sicuro della colpevolezza di un imputato. Del resto, la vita di un uomo non può essere a disposizione del potere di uno Stato.

      Ma la corsa contro il tempo sembra dare ragione a Süsterhenn. “La ghigliottina sarà pronta l’11 maggio 1949”, annuncia il ministero di Giustizia del suo Land verso la fine di aprile. E la seduta decisiva, nella quale sarà discussa per l’ultima volta la questione della pena di morte, si terrà il 5 maggio, vale a dire pochi giorni prima.

      La mattina del 5 maggio l’avvocato Friedrich Wagner si prepara per l’arringa finale contro la pena di morte: deve convincere gli altri membri dell’assemblea costituente. E lo fa con un discorso che durerà quasi un’ora – un discorso retoricamente brillante e dal punto di vista giuridico impeccabile. La pena di morte, afferma Wagner, sarebbe un torto inaudito nei confronti di tutte le vittime del nazionalsocialismo.

      Anche il suo avversario, Adolf Süsterhenn, si appresta a raggiungere l’assemblea, ma il suo autista commette un errore, un errore grossolano che fa sbandare la vettura. Süsterhenn, gravemente ferito, non potrà partecipare alla seduta finale e Wagner, con il suo discorso, riesce ad ottenere con una manciata di voti in più un risultato storico: la pena di morte viene abrogata.

      Ed ecco l’epilogo: pochi giorni dopo, l’11 maggio 1949, la sentenza di morte contro Irmgard K. verrà trasformata in ergastolo. Irmgard K. resterà in carcere per trent’anni. Sarà Helmut Kohl, che fu ministro nella Renania-Palatinato prima di diventare cancelliere, a donarle la grazia16.

      9 2014, Einaudi, p. 12.

      10 Sentenza della Corte Costituzionale del 30.6.2009 – numero d’ordine: 2 BvE 2/08 che in occasione del verdetto relativo al trattato di Lisbona del 2009 ha sottolineato l’importanza della Carta Costituzionale tedesca all’interno dell’architettura giuridica europea.

      11 Statistisches Bundesamt, www.destatis.de/DE/Presse/Pressemitteilungen/2020/02/PD20_039_51.html (3.4.2021).

      12 DIE WELT, Chronik: Warum Bundespräsidenten Gesetze nicht unterschrieben, 24.10.2006.

      13 Schmidt, Das politische System der Bundesrepublik Deutschland, C.H. Beck, 2011, Kap. 1, p. 12 ss.

      14 Vedi sulla Storia della Costituzione tedesca anche: Christoph Möllers, Das Grundgesetz, Geschichte und Inhalt, C. H. Beck, 2019; Peter H. Merkl, Die Entstehung der Bundesrepublik Deutschland, Kohlhammer, 1968.

      15 Wolfgang Stumme, Die letzte Guillotine in Mainz, www.regionalgeschichte.net/rheinhessen/mainz/einzelaspekte/die-letzte-guillotine-in-mainz.html (20.4.2021).

      16 Vedi anche: Joachim Hennig, Schriften zur Unkeler Geschichte, Rhein-Heimat Verlag, 2012.

       Capitolo 2. Diritti fondamentali della Costituzione tedesca

      La dignità dell’uomo – die Menschenwürde (art. 1Grundgesetz)

      „La dignità dell’uomo è inviolabile”. Inizia con questa celebre frase l’art. 1 della Costituzione tedesca. Una frase che quasi tutti i cittadini tedeschi conoscono e citano spesso quando discutono di temi attinenti alla giustizia o, in senso lato, alla politica. Una frase, questa, che senza dubbio esprime con veemenza tutta la volontà politica dei padri della Costituzione nel prendere le distanze dal periodo più buio del popolo tedesco, il periodo del Terzo Reich – con le vittime nei campi di sterminio dovute alla volontà di eliminare il popolo ebreo dall’umanità.

      Ma questa è soltanto una piccola sembianza dell’articolo più importante della Costituzione tedesca. Dietro al (e soprattutto nel) concetto di dignità c’è tutto un impianto, un sistema, un pensiero filosofico che, addirittura, risale a Giovanni Pico della Mirandola, per poi passare attraverso il concetto di dignità di Immanuel Kant e finire ad Hannah Arendt. Ma cos’è, in fondo, la dignità dell’uomo? E, soprattutto, quando viene violata dal punto di vista giuridico?

      Nel famoso Discorso sulla dignità delľuomo di Pico della Mirandola, l’umanista italiano pone già nel 1486 l’accento sull’intelligenza dell’uomo come sinonimo di libertà e mezzo di formulare concetti in grado di poter condizionare il suo futuro: ed è proprio per questa capacità che l’uomo, secondo Pico della Mirandola, si distingue dagli animali. Quella di Pico della Mirandola è una vera e propria esortazione: l’uomo ha una responsabilità di fronte a questa straordinaria capacità, affinché primeggi nella conoscenza e nella sapienza avvalendosi dello studio e della filosofia come mezzo.

      “Già il Sommo Padre, Dio Creatore, aveva foggiato, […] questa dimora del mondo quale ci appare, […]. Ma, ultimata l'opera, l'Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. […] Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori […] né dei posti di tutto il mondo […]. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi”17.

      Nella concezione di Immanuel Kant, invece, la dignità umana è essenzialmente un concetto morale. Nella massima di non trattare mai gli uomini come mezzi ma sempre come fini vi è implicita l’idea che certi valori fondamentali non sono negoziabili. L’uomo non può mai essere strumento di qualcos’altro. È fine. La dignità è dunque connessa all’idea di valore: si tratta di un valore intrinseco all’essere umano, in quanto essere capace di darsi leggi morali – e dunque universali. Kant, in Metaphysik der Sitten, formula il suo concetto in questo modo:

      “Nel regno dei fini ogni cosa o ha un prezzo o ha una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere rimpiazzato da qualcosa di equivalente; ciò che dall’altro lato si innalza su ogni prezzo e dunque non ammette alcun equivalente ha dignità. Ora, la moralità è la condizione per cui soltanto un essere razionale può essere un fine in sé stesso”18.

      In un articolo del 1943, che fece scalpore, Hannah Arendt, che si trovava negli Stati Uniti costretta a fuggire dal regime nazista per il solo fatto di essere ebrea, criticava aspramente il concetto di dignità umana intesa come entità assoluta, come uno status naturale di ogni persona. A cosa serve la dignità umana se poi non c’è uno Stato che la rispetti? A cosa serve la dignità umana se non esiste uno Stato che la garantisce e la tutela? Per la Arendt l’innaturale conformismo di una società di massa costituisce, infatti, la causa principale della distruzione del mondo comune che è di solito preceduta dalla distruzione della molteplicità prospettica in cui esso si presenta alla pluralità umana”19. In tale ottica, “il diritto di avere i diritti” deve costituire un predicato imprescindibile per l’uomo, affinché questi possa essere effettivamente considerato tale e non semplicemente “individuo” o “persona”20.

      Se lo Stato, ad esempio, sanziona con la pena di reclusione chi commette un reato grave, viola la dignità dell’imputato che è stato condannato? Il carcere, ovviamente, è la più netta e pesante sanzione che uno Stato democratico (che non accetta la pena di morte) può infliggere ad un cittadino: lo priva, difatti, della sua libertà. Ma il carcere,