Jayce Carter

Posseduta Dagli Alfa


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restare.

      Joshua si appoggiò al bancone, mostrando teatralmente che non sarebbe andato da nessuna parte. «Va tutto bene», promise, la voce bassa, non volendo dar credito a nessuna delle sue paure. «Continua con quello che stavi facendo, tesoro.»

      Claire raddrizzò la schiena, una scintilla di forza, prima di girarsi, spingendo il libro al suo posto sullo scaffale come se la sua mano non tremasse ancora.

      Joshua sorrise di fronte allo spettacolo, al carattere che possedeva, anche se lei non ne era consapevole. Senza staccarsi dal bancone, l’alfa continuò il suo monologo. «Non hai nemmeno sentito di quella volta in cui Bryce ci ha portati su una zipline. Spoiler? Gli ho vomitato addosso e ora non saremo più costretti a tornarci.»

      Erano passate ormai due ore quando Claire si ritrovò costretta a riconoscere la presenza di Joshua. Non che ignorarlo fosse stato facile.

      Aveva parlato quasi senza sosta, commentando ogni cosa che vedeva, ogni suo ricordo o qualsiasi cosa gli saltasse alla mente. Le prime volte che aveva parlato, la sua voce l’aveva fatta sobbalzare. Claire non era abituata ad avere degli uomini intorno e certamente non degli alfa. Tuttavia, con il passare del tempo, visto che era rimasto seduto al bancone del suo negozio, aveva iniziato a rilassarsi.

      Non l’aveva toccata, non l’aveva afferrata, non si era approfittato di lei.

      Si era persino abituata al suo costante blaterare.

      L’aveva fatta sorridere, sebbene avesse tentato di combatterlo. Joshua diceva qualcosa di strano, qualcosa di casuale e Claire doveva prepararsi a lottare contro il contrarsi della sua guancia.

      Quel momento fra loro, quando il profumo della sua eccitazione aveva riempito lo spazio, l’aveva scossa. Non solo il profumo, però. A quello era abituata, dato che sembrava che una leggera brezza fosse sufficiente a eccitare un alfa. No, era stata la sua reazione. Era il modo in cui il suo odore le aveva fatto riscaldare il corpo, le aveva fatto desiderare di entrare nella sua testa e sapere a che cosa stesse pensando.

      A qualche altra donna? A lei? Alla notte in cui aveva scopato fino al mattino? Claire aveva allontanato quelle idee, imbarazzata dalle sue rassicurazioni, vergognosa per il modo in cui l’avevano aiutata.

      Joshua non si era dilungato sulla questione, ma era tornato alle sue battute, ai suoi ricordi, alla sua conversazione, come se non fosse mai successo.

      Tuttavia, quando l’orologio segnò le otto quella sera, la sua capacità di starsene seduto sembrò svanire. «Okay, ci siamo.»

      Claire si raddrizzò di scatto sul pavimento sul quale era seduta per mettere in ordine alfabetico uno scaffale. «Che cosa?»

      «Siamo qui dalle dieci di questa mattina e nessuno dei due ha mangiato. È tempo di andare.»

      «Non ho fame.»

      «Beh, io sì e tu hai comunque bisogno di mangiare.»

      Claire indicò il magazzino. «Ho della carne essiccata di là. È tutta tua.»

      Joshua emise un ringhio basso e giocoso. «Nessuno può vivere con quella schifezza. No, vieni. Ti porterò a fare una cena come si deve.»

      Claire balzò in piedi quando Joshua si alzò, incapace di sopportare l’idea di trovarsi sul pavimento con lui così vicino. Doveva essere nella condizione di poter correre, di fuggire.

      La tensione gli contornava gli occhi, ma l’alfa non perse il suo sorriso. «Sarà anche al rovescio, ma dato che abbiamo già fatto sesso, uscire a cena non è prassi?»

      «Non uscirò insieme a te.»

      Joshua sbuffò. «Sai, la maggior parte delle ragazze sarebbero lusingate all’idea di essere portate a cena da me.»

      «Portaci loro, allora.»

      Joshua fece un passo verso di lei, avvicinandosi abbastanza perché il suo profumo le raggiungesse le narici. Non il profumo diluito in cui era stata immersa per tutto il giorno, quello che aveva impregnato i muri del suo negozio mentre lo evitava. Un profumo forte, dovuto alla loro vicinanza. No, questo era un profumo forte direttamente dalla fonte e la tentava ad avvicinarsi.

      Joshua allungò una mano, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, la mossa tanto affascinante e falsa quanto lo era lui. «Mi piace quando fai la difficile, tesoro. Eppure, riesco a sentire il tuo stomaco. Hai bisogno di mangiare e di dormire e io sarei un pessimo alfa se non mi assicurassi che accada.»

      Claire aprì la bocca per dirgli qualcosa di sgarbato. Voleva dirgli che si era arrangiata da sola per molto tempo e non aveva bisogno di un alfa dispotico che si prendesse cura di lei. Voleva dirgli che tutti gli alfa erano pessimi, quindi sarebbe stato in buona compagnia. Maledizione, voleva dirgli un centinaio di altre cose inframmezzate da insulti.

      Invece, Joshua si sporse verso di lei e la zittì con un bacio, un bacio così veloce e buono da non darle la possibilità di prendere in considerazione le ragioni per cui non avrebbe dovuto desiderarlo.

      Quando si allontanò e Claire rimase senza parole, il sorriso dell’alfa si allargò. «Volevo impedirti di dire qualcosa che avrebbe potuto ferire i miei sentimenti, perché te ne saresti pentita, una volta che avrò iniziato a piacerti. Ora, se riesci a prestare attenzione e la smetti di distrarmi con i baci, stavamo per andare a cena.»

      Claire rimase immobile, mentre Joshua le infilava la giacca sulle spalle e camminava fuori dal negozio. Come fa a farmi questo effetto? Se lo stava ancora domandando venti minuti più tardi, seduta di fronte a lui in un ristorante.

      «Perché i libri?»

      Claire alzò lo sguardo dal piatto di cibo, cercando di ignorare le candele sul tavolo coperto da una tovaglia bianca, cercando di indossare la sua migliore maschera da “questo non è un appuntamento” a beneficio di chiunque li stesse guardando. «Che cosa?»

      Joshua puntò la forchetta verso di lei. «Libri. Gestisci una libreria. Perché? Non conosco molte persone che si svegliano un giorno e dicono “cavolo, mi piacerebbe passare tutto il giorno con i libri”.»

      Chi l’avrebbe mai detto che un alfa non fosse in grado di comprendere l’attrattiva di un libro? «Non capiresti.»

      «No di certo se non me lo spieghi. Dai, provaci. Che tu ci creda o meno, c’è effettivamente un cervello sotto questo aspetto fantastico.»

      Claire posò la forchetta, abbassando lo sguardo sul suo piatto per raccogliere i pensieri. «Mi piace la fantasia che vi è dentro. Quando ero una ragazzina, quando sapevo come sarebbe stato il mio futuro, mi piaceva leggere perché mi permetteva di essere chiunque, di fare qualsiasi cosa.» Fece un respiro profondo, mentre le parole sgorgavano da lei nel loro piccolo separé privato. «Quando ero piccola non aumentavo di peso e, mentre mi facevano degli esami, hanno scoperto che sono un’omega. Sono cresciuta sapendo che sarei stata data o venduta a qualcuno, che non avrei avuto alcun futuro tutto mio. Gli altri bambini crescevano pianificando un futuro. Volevano diventare soldati o dottori o insegnanti. Io, invece, non avevo quella scelta. Non avevo nulla da attendere con impazienza.»

      «È così terribile essere una compagna?»

      «Il fatto che tu me lo chieda mostra che non capisci. Tu puoi fare ciò che vuoi. Puoi decidere del tuo futuro. Io? Ho dovuto cambiare nome e lasciarmi tutto alle spalle per avere un qualche tipo di vita. Voglio dire, sono qui a cenare con te dopo aver detto di no. Chiaramente, quello che voglio non ha importanza.»

      Joshua strinse le labbra e una linea comparve fra le sue sopracciglia. Non disse niente all’inizio, si limitò a sollevare il bicchiere e prendere un sorso, per riempire il silenzio. «Immagino di non averci mai pensato in questi termini.»

      «Certo che no. Non ne hai mai avuto bisogno, perché avresti dovuto? Non è parte della tua vita.»

      «Avrei dovuto lasciarti morire di fame?»

      «Non sarei morta. Era solo un giorno.»

      «Ma, come io non riesco a capire come ti senti tu, devi renderti conto che tu