Brenda Trim

Il Guerriero Sfregiato


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Shae amaramente.

      Si toccò le proprie. Provava indignazione. Era sempre stata una donna sicura di sé, mentre ora era sfigurata dalle cicatrici. Si sentiva brutta e usata, e non sapeva come avrebbe fatto a convivere con la propria immagine. Non aveva nemmeno più il controllo sulla propria mente, che le fece provare una scarica di rabbia incontrollabile senza preavviso. Senza contare il fatto che ora vedeva il mondo in toni di rosso e arancione, nonostante fosse un aspetto assolutamente trascurabile rispetto a ciò che aveva sofferto.

      Già, quella donna non conosceva il dolore. Era stata morsa solamente una volta e non aveva più dovuto provare l’agonia provocata dal veleno del demone. Non era nemmeno stata stuprata o torturata o obbligata ad uccidere innumerevoli demoni, umani o altre prigioniere. Certo, a Shae aveva fatto piacere uccidere fino all’ultimo i demoni che aveva affrontato, ma eliminare gli innocenti aveva lasciato un segno nella sua anima che non sarebbe mai stato rimosso.

      “Ma tu non sei stata imprigionata per mesi, e adesso tu sei libera e io sono qui dentro”.

      “Abbiamo confinato Jessie in una cella come questa fino a quando ci ha provato che non fosse un pericolo. Ci arriverai anche tu” aggiunse Zander incrociando le braccia al petto. Shae voleva credergli con tutto il cuore, ma la speranza era qualcosa di fragile a cui non osava aggrapparsi con troppa forza.

      “Hai ragione” intervenne Jessie, sorprendendo Shae. “Non mi ha portata con sé quando se n’è andato, e di questo sono grata. Mi dispiace che tu e le altre abbiate dovuto soffrire così tanto, ma siamo più simili di quanto pensi. Hai imparato a gestire la vista a infrarossi? Ci ho messo un sacco di tempo a capire come farla smettere”.

      Shae inarcò un sopracciglio. “Sei riuscita a farla smettere?” La ragazza bruciava di gelosia; era stato tutto così facile per questa donna. Non aveva nemmeno dovuto avere a che fare con i mal di testa accecanti causati dalla vista a infrarossi.

      “Sì. Ti posso insegnare” propose Jessie con un sorriso cordiale in volto. Shae percepì l’interesse delle altre prigioniere; era certa che stessero ascoltando attentamente, dato che era qualcosa che volevano tutte. Doveva fare attenzione a come avrebbe risposto.

      “Mi piacerebbe. In realtà farebbe comodo a tutte noi. Sono mesi che la vista infrarossi mi provoca dei mal di testa terribili. Sarebbe un sollievo se riuscissi a liberarmene. Posso farti una domanda? Come ti nutri?” Chiese a bassa voce. Non voleva rivelare la propria sete di sangue incontrollabile in quanto riteneva che l’avrebbe aiutata ad apparire migliore agli occhi del Re, ma allo stesso momento aveva bisogno di aiuto a gestirla.

      “Mi ricordo dei mal di testa, anche se gli scienziati ritenevano che fossero i tentativi dell’Arcidemone di controllarmi, non il cambiamento nella mia vista. Mi nutro mangiando come facevo prima, ma non credo sia ciò che mi stai chiedendo. Bevo sangue un giorno sì e uno no, e ti posso dire che in quanto umana ho creduto di essere impazzita quando sono passata dal non sapere niente del mondo soprannaturale a provare la sete di sangue. Non ho mai creduto in queste cose perché nel mio mondo non sono mai state considerate reali, quindi ho veramente creduto di essere diventata pazza. Fortunatamente Zander e gli altri Guerrieri Oscuri mi hanno aiutata a gestire la mutazione”.

      Shae soppesò le parole di Jessie; si chiedeva se avesse ragione. Il pensiero di quegli stronzi di Arcidemoni che tentavano di influenzarla le faceva venire voglia di abbattere le sbarre per correre da loro e ucciderli. Non voleva continuare a vivere se fossero stati in grado di manipolarle la mente.

      Assimilò solamente dopo il resto dell’affermazione di Jessie. “Non mangio cibo vero da così tanto tempo. Mi mancano i gamberi e le capesante” disse malinconicamente. “Cosa succede alle vittime quando ti nutri?”

      Jessie guardò Zander e poi Shae, quindi quest’ultima si rese conto di aver detto qualcosa di strano. Si irrigidì, era pronta per ciò che sarebbe successo dopo. “Non consideriamo vittime i nostri donatori. E la maggior parte delle volte Jessie consuma il sangue nelle sacche che Jace porta a casa dall’ospedale”.

      “Ma quando mi nutrivo da una persona la mia sete di sangue non aveva la meglio su di me. Era facile controllare la fame, e prendevo solamente ciò che mi serviva”. Jessie e Shae si scambiarono un’occhiata empatica. “Non ho vissuto tutto ciò che hai dovuto soffrire tu, ma comprendo i cambiamenti che stanno accadendo in te. Non esisteva un termine per definirmi, e mi rifiutavo di essere associata a uno Skirm, quindi ho deciso di chiamarmi Dhampiro. Zander mi ha accettata come una di loro”.

      “Dhampiro” ripeté Shae. “Mi piace”. Era combattuta; non sapeva più quale fosse il suo posto. Non era più un vampiro, ma era d’accordo con Jessie; non era nemmeno uno Skirm. Gli appellativi erano importanti nella loro società. Era stata un vampiro, un funzionario prestiti, una figlia e una sorella. Le era di conforto avere un nuovo modo per descrivere la propria identità, dato che odiava essere lasciata nel limbo.

      “Mi sai dire qualcosa circa il piano di Kadir? Forse non lo sai, ma ha usato un vampiro per rapire la mia Prescelta, e devo sapere se lei o degli altri sono in pericolo” le chiese Zander cambiando argomento. Shae lo guardò scioccata. Avevano tenuto la cosa segreta al Reame; non aveva idea che la nullità che l’aveva rapita avesse fatto lo stesso con la Prescelta del Re. Si trattava della sua Regina, e provò empatia per la poveretta. Sapeva fin troppo bene cosa voleva dire essere torturata.

      “Non so molto. Non ha mai nascosto quanto fosse incazzato quando hai sventato tutti i suoi piani. Ogni volta in cui l’hai battuto mi ha dato speranza, anche se si sfogava buttando una di noi sul ring”.

      “Shae, mi—” cominciò Zander.

      “No” lo interruppe; non voleva le sue scuse. “Eravamo contente che lo fermassi. L’ultima cosa che serve al Reame è che lui diventi più potente. Per quanto riguarda i suoi piani, non so quanto ci sia oltre l’ovvio volerti sottrarre l’Amuleto di Triskele”. Shae ripensò all’Amuleto benedetto dalla Dea e di come investiva il custode di certi poteri. Non invidiava Zander per il proprio compito di proteggere l’artefatto Santo che disegnava un bersaglio sulla sua schiena ma anche su quella dei suoi cari. La ragazza non si sentiva a proprio agio con il pericolo che correva il maschio Alfa di fronte a sé.

      Il Re fece per rispondere, ma si interruppe quando udì il suono dei passi. Tutti e tre si voltarono verso le scale su cui apparvero degli stivali di pelle nera, e Shae si rese conto di desiderare che si trattasse del proprio Guerriero sfregiato.

      “Jace. Ci sono novità?” Domandò Zander all’uomo che si fermò a qualche metro da sé. Era delusa, e si chiese se Gerrick la stesse evitando. Non che gliene avrebbe fatto una colpa, dopo il modo in cui si era comportata. Si ammonì mentalmente prima di concentrarsi sulla preoccupazione principale del momento, ovvero uscire da quella dannata cella.

      “In realtà sì” rispose guardando Shae di sfuggita. “Sono arrivati i risultati preliminari delle analisi del sangue delle ragazze”. A Shae accelerò il battito cardiaco e si ritrovò a respirare a fatica quando l’agitazione ebbe la meglio su di sé. Avevano già trovato un modo per aiutarle? E se fossero state delle brutte notizie? Non era sicura di voler stare a sentire ciò che aveva da dire il guaritore. Si cinse la vita con le braccia in attesa del responso.

      “Che cosa avete dedotto?” Domandò Zander.

      “Niente di sorprendente. I livelli di veleno nelle ragazze sono ben più alti di quelli di Jessie. Addirittura in una di loro sono cento volte più elevati”. L’uomo non doveva pronunciare il suo nome perché Shae sapeva di essere la donna in questione. Aveva provocato appositamente i demoni in modo che mordessero e stuprassero lei, lasciando in pace le altre. “Gli scienziati teorizzano che il veleno si sia moltiplicato spontaneamente, ma non credo sia la spiegazione corretta. Ritengo che il motivo sia collegato al numero di volte in cui è stata morsa, ma anche ai picchi di rabbia. Non abbiamo rilevato quel fenomeno in Jessie, i suoi livelli sono diminuiti progressivamente da quando l’abbiamo confinata qui, e non ha dimostrato le emozioni di queste donne, quindi a questo punto sono tutte congetture”.

      “Prendi un altro campione adesso che sono calme. È l’unico modo per dimostrare la loro teoria” ordinò Zander. Shae