Блейк Пирс

Il Volto della Rabbia


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tale da farle rimbalzare il dolore in tutto il cranio.

      I postumi della sbornia aggiungevano la beffa al danno. Ieri sera aveva consumato circa cinquantasei millilitri di alcol e il suo organismo avrebbe dovuto smaltirlo entro sette ore. Ma lei era andata a letto tardi, senza neanche togliere le scarpe, ed era altamente possibile che avesse continuato a bere una volta tornata a casa, anche se non lo ricordava. In ogni caso, la sua testa stava pulsando e desiderava soltanto tornare a dormire.

      Sulla sua scala personale, il dolore era probabilmente un sei. Il rumore era persino peggiore: Zoe odiava la città durante il giorno. Anche rinchiusa nel suo appartamento, con le finestre chiuse, riusciva a sentirlo: il flusso costante di pneumatici e motori sull’asfalto, che le indicava la velocità media del traffico sulle strade più vicine; l’inquilina del piano di sopra che camminava con un tonfo pesante, comunicando a Zoe che si stesse dirigendo verso il frigo, perché la disposizione dei loro appartamenti era la stessa e la donna aveva fatto sette passi verso sud. E poi era tornata indietro, sette passi in direzione nord.

      Gli uccelli cinguettavano tra loro, vivendo intere vite in questa città nonostante non ci fossero molti alberi. Il ritmo dei loro richiami prudeva nella testa di Zoe: un richiamo con tre cinguettii, un altro con tre cinguettii e un altro ancora, sempre con tre cinguettii. Sempre lo stesso. Poi un po’ di silenzio prima che ricominciassero da capo. L’unica variazione fu quando uno degli uccelli lanciò un cinguettio un po’ più rauco prima di tornare al solito ritmo.

      “Zitti, dannati uccelli,” disse ad alta voce Zoe, coprendosi il viso con le mani. Un delicato miagolio vicino alla porta le fece aprire gli occhi e vide Pitagora, il suo birmano, che la osservava con uno sguardo di rimprovero.

      Zoe gemette. Quantomeno le restava la routine della sua vita. I gatti avevano ancora bisogno di mangiare. Tirò fuori la latta dalla credenza e l’agitò, fino a quando il rumore metallico non le fece capire che aveva estratto centoventi pezzi singoli di cibo per gatti essiccato. Pitagora ed Eulero si precipitarono immediatamente verso le rispettive scodelle, aggredendole, mentre lei li osservava e prendeva un antidolorifico con un bicchiere d’acqua.

      Zoe si sforzò di bere fino all’ultima goccia, riempiendo subito dopo il bicchiere. Ne servivano altri tre per far sparire il mal di testa, ma si sentiva già meglio.

      Un forte rumore alla porta la fece trasalire talmente tanto che le cadde una grossa goccia d’acqua sul pavimento.

      Non adesso, dottoressa, pensò Zoe, ma qualcosa non le quadrava. Sembrava che il colpo fosse partito da un pugno più pesante. Era anche più deciso rispetto a quello della dottoressa Applewhite, e non seguiva il solito schema. Toc-toc-toc: mancava il quarto toc ed era stato fatto una sola volta. Zoe pensò che potesse trattarsi di un uomo. Strano.

      Forse l’FBI le aveva inviato tutto quello che aveva lasciato al J. Edgar Hoover in un pacco ed era necessario che firmasse. Sì, era probabile. Forse non del tutto, ma abbastanza da indurla a muoversi e andare a dare un’occhiata.

      Zoe aprì la porta, lasciando che la catenina si allungasse completamente prima di vedere che si trattava dell’Agente Speciale al Comando Leo Maitland, il suo comandante. Era fermo davanti alla porta con le braccia dietro la schiena e un’espressione gentile sul viso. Non era per forza un buon segno. Maitland aveva un sacco di cose da fare e non sprecava il suo tempo in visite a domicilio. Qualcosa in quello sguardo – oltre alla sua istintiva obbedienza nei confronti di un suo superiore – spinse Zoe a chiudere la porta, sganciare la catena e aprire di nuovo per trovarsi faccia a faccia con lui.

      Si pentì di non aver scelto un abbigliamento più adatto o di non aver pettinato i capelli, ma ormai era inutile piangere sul latte versato.

      “Agente Prime.” La voce di Maitland era simile a un tuono. Con il suo metro e novanta di altezza la sovrastava di tredici centimetri, una differenza che ora stava sfruttando per guardarla dall’alto, proprio come un insegnante guarda un ragazzino ribelle.

      “Signore,” disse Zoe, cercando di parlare con voce ferma. Non aveva voluto occuparsi di nessuna questione di lavoro. Non quando i numeri erano ancora dappertutto: persino adesso stava misurando gli angoli nella postura militare di Maitland, notando che il petto di centoquattordici centimetri e i bicipiti di trentotto centimetri dell’uomo non si erano affatto ridotti dall’ultima volta in cui era stata nel suo ufficio.

      Da quando le aveva detto di tornare a casa in licenza, perché aveva visto il cadavere della sua partner e aveva preso a pugni un tizio senza mostrare alcuna intenzione di fermarsi.

      “Vengo direttamente dal Quartier Generale. Volevo parlarle di persona,” disse. La sua voce era profonda. “Le dispiace se entro?”

      Zoe lo guardò per un istante senza capire. Cosa voleva dire quel tono? Era arrabbiato con lei? Divertito? Deluso? Cosa? Riusciva solamente a sentire i sessantuno decibel, le tredici parole, la cadenza e il ritmo, il flusso di sillabe. Ma si fece comunque da parte e indicò il divano, e Maitland le passò accanto, guardandosi attorno come se volesse fare attenzione a dove mettesse i piedi.

      Non per evitare di calpestare qualcosa, ma per non sporcarsi le scarpe.

      Maitland si sedette sul divano mentre Zoe chiudeva la porta. Poi tentennò per un istante: visto che di solito non riceveva visite, non aveva mai sentito la necessità di acquistare delle poltrone. C’era soltanto il divano, e questo voleva dire che sarebbe stata costretta a sedersi accanto a lui; imbarazzante e inappropriato, e anche disorientante, perché non sapeva a quale angolazione posizionare il proprio corpo. Si sedette dopo un attimo di esitazione e infine si sistemò a un’angolazione di quarantacinque gradi, una via di mezzo ottimale che le permetteva di prestare attenzione al suo ospite ma senza doverlo guardare direttamente in faccia.

      “Agente Prime,” disse nuovamente Maitland, come se stesse cercando di scegliere le parole con molta attenzione. “Cos’è successo ieri?”

      “Ieri?” ripeté ottusamente Zoe. La sua mente cominciò a tornare indietro nel tempo. Ieri? Cosa aveva fatto? Era rimasta svogliatamente seduta davanti alla finestra, aveva mandato via la dottoressa Applewhite ancora una volta e poi era andata a fare una passeggiata. Ah. La passeggiata. Forse Harry Rose aveva presentato un reclamo.

      Maitland si mosse per trovarsi faccia a faccia con lei. Zoe notò che i suoi capelli rasati erano della stessa lunghezza di sempre, sebbene fossero più grigi rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. “Il suo periodo di sospensione si è concluso ieri. Mi aspettavo che tornasse in servizio.”

      “Era ieri?” domandò Zoe, sfogliando mentalmente il calendario. Sì, pensò, il numero di giorni era corretto. Ed era anche mercoledì, quindi suppose che la data fosse giusta. Le era completamente passato di mente.

      “Le ho inviato diverse e-mail al riguardo,” disse Maitland, dopodiché spostò leggermente la testa, dando un’occhiata all’appartamento. Zoe vide l’angolazione del mento dell’uomo e le fu subito chiaro cosa stava guardando: il computer, che era spento; il cellulare, morto; il telefono fisso, staccato. “Ho provato anche a chiamarla diverse volte, e non riuscendo a mettermi in contatto con lei, le ho lasciato numerosi messaggi in segreteria.”

      Zoe annuì lentamente, seguendo un determinato ritmo: uno, due, tre. “Mi dispiace,” disse, sebbene non lo sentisse particolarmente. “Non ho controllato molto la mia corrispondenza, ultimamente.”

      Maitland sospirò. “Ascolti, Zoe, so che sono stati due mesi difficili per lei,” disse. “Le ho dato una sospensione di sei settimane perché sapevo che avrebbe comunque dovuto prendersi un permesso. È obbligatorio quando un agente perde il proprio partner. Soprattutto nel modo in cui è capitato a lei. È andata dal terapista?”

      Zoe scosse lentamente la testa. Di nuovo a ritmo, uno, due, tre. Non aveva senso mentire. Lui avrebbe potuto controllare i registri. Probabilmente l’aveva già fatto. È solo che a lei non sembrava essere utile. Dopotutto aveva già la sua strizzacervelli. Anche se non c’era andata.

      “Perché no?” domandò Maitland.

      Zoe pensò alla risposta da dargli. Ci pensò troppo a lungo. I secondi passarono, tre, quattro, cinque, e alla fine Maitland si spazientì.

      “Ok, mi stia a sentire,”