testa da un lato all’altro, colpita in modo diverso dalla luce. “Il motivo per cui oggi mi trovo qui è perché ho bisogno di sapere quali sono le sue intenzioni. Ha scelto di non tornare al lavoro. Dovrei considerarle le sue dimissioni?”
Zoe aprì rapidamente la bocca in modo che lui capisse che voleva rispondere. In fondo non era una domanda difficile. “Sì,” rispose immediatamente. Come avrebbe anche solo potuto considerare di rientrare al lavoro? Come avrebbe fatto a camminare per quei corridoi senza avere accanto la sua partner? Prima di Shelley, l’avevano odiata tutti. Le avevano voltato le spalle. Con la morte di Shelley sarebbe stato anche peggio.
Maitland annuì lentamente, proprio come aveva fatto lei. A ritmo. Uno, due, tre. “Va bene,” disse. “Se ne è sicura. Tuttavia, avrò bisogno che lo metta per iscritto.”
Zoe guardò verso il computer e annuì in silenzio. Avrebbe scritto qualcosa e gliel’avrebbe inviata il prima possibile. Forse già domani.
Maitland si alzò, sollevando la sua imponente figura con una certa cautela, ovviamente riluttante a restare in questa casa ancora a lungo. “Ma prima di scrivere la sua lettera di dimissioni…” disse, porgendole un fascicolo. Zoe era stata talmente concentrata sulle misure di quell’iride da non accorgersi neanche del fatto che fosse posato sul ginocchio dell’uomo. Era marrone e di dimensioni standard, con un sottile bordo bianco di due millimetri che faceva capolino. “Penso che dovrebbe dare un’occhiata a questo. Potrebbe interessarle, e io potrei avvalermi del suo aiuto.”
Zoe lo guardò con diffidenza e Maitland sospirò prima di posarlo sul tavolino.
“Conosco la strada,” disse, dirigendosi verso la porta. Appena prima di raggiungerla, si fermò e si voltò per guardarla. C’era qualcosa sul suo viso, qualcosa che Zoe pensò potesse essere tristezza. “Lei è un buon agente, Prime. Sarebbe un peccato se quel figlio di puttana mettesse fine alla carriera di due dei miei migliori agenti. Ho visto altri agenti subire questo tipo di perdita, e la cosa migliore per loro è sempre stata quella di tornare al lavoro.”
Dopodiché aprì la porta e se ne andò, e Zoe rimase a fissare il fascicolo lasciato sul tavolo, esaminandone le dimensioni e cercando di ignorare tutto il resto.
Non era neanche mezzogiorno e Zoe si sentiva già a pezzi. La sua emicrania non era ancora sparita, e in più era stanca morta. Dopo aver camminato per metà della notte e aver bevuto, si sentiva come se fosse stata privata di tutte le forze. Ma non era il primo giorno che si sentiva così. Ultimamente era stata la norma.
Si alzò dal divano e si trascinò verso la camera da letto, gettandosi sulle coperte senza preoccuparsi di spostarle né di spogliarsi. Chiuse gli occhi, appoggiando la testa sul cuscino, e si lasciò avvolgere dall’oblio del sonno.
“Z, devi ascoltare.”
Zoe si voltò, guardandosi attorno e vedendo Shelley, che era in piedi davanti a lei. Indossava un bel vestito, i suoi capelli e il trucco erano ancora più ordinati del solito e il suo fisico era slanciato dai tacchi. Zoe abbassò lo sguardo su di sé, vedendo che stava indossando lo stesso vestito. Si trovavano nel bagno delle donne di un ristorante, mentre i rispettivi compagni le aspettavano in sala.
“Cosa?” domandò Zoe, aggrottando la fronte. C’era qualcosa di strano, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.
“Devi ascoltare,” insistette Shelley.
Zoe aggrottò ancora di più la fronte e fece un passo verso la sua partner, ma Shelley riuscì a restare alla stessa distanza pur senza muoversi. “Ascoltare cosa?” domandò Zoe.
Shelley indicò alle sue spalle e Zoe si girò: vide il riflesso del suo viso allo specchio, senza il trucco e il vestito elegante ma com’era adesso, spettinata e pallida, trasandata e con le occhiaie.
Ma non c’era nient’altro.
Zoe si voltò nuovamente verso la sua partner, ma Shelley era muta e la fissava con una tale concentrazione e una tale forza da smorzare le parole che volevano disperatamente uscire dalla sua bocca. Riuscì soltanto a ricambiare quello sguardo, cercando di comprenderne il significato, ma gli occhi della sua partner si velarono di bianco e smisero di fissare qualsiasi cosa.
Zoe scattò in piedi, ansimando. Era sudata e accaldata, e si accorse di avere i capelli bagnati di sudore quando alzò la mano per spostarli dalla fronte. Ci mise molto a togliersi dalla mente l’immagine degli occhi bianchi di Shelley, e quando si girò di lato vide di fronte a sé un altro enorme paio di occhi. Zoe lanciò un urlo e saltò dall’altra parte del letto, per poi accorgersi che si trattava di Eulero, intento a fare le fusa e a guardarla con timore e con una zampa sollevata verso di lei.
Zoe riprese fiato e allungò la mano per accarezzarlo dietro l’orecchio, in modo che capisse che andava tutto bene. Il cuore continuava a batterle all’impazzata. Eulero scosse la testa e si allontanò, perdendo interesse per lo strano comportamento del suo umano. Zoe contò i suoi passi fino a quando non uscì dalla stanza, dopodiché cercò di contare i propri respiri, rallentandoli il più possibile.
Altro che riposino rigenerante. Zoe portò le gambe fuori dal letto, facendole oscillare brevemente prima di posare i piedi sul pavimento, sentendo con un certo sollievo quella superficie fredda, che le ricordava che non si trovava più in un sogno. O meglio, in un incubo. Cosa stava cercando di dirle Shelley? Zoe non ne aveva la più pallida idea. Era quello il problema del subconscio: forse non significava proprio niente.
Seguì Eulero in cucina, pensando che le avrebbe fatto bene prendere un altro bicchiere d’acqua e fare una doccia. Appoggiata al bancone della cucina per bere, il suo sguardo vagò fino a posarsi sul tavolino da caffè e sul fascicolo. Lo ignorò. Non era il momento giusto. Distolse lo sguardo, desiderando che Maitland non gliel’avesse affatto lasciato.
Zoe abbassò lo sguardo sul proprio corpo: indossava una felpa e un paio di leggings non abbinati, risalenti al periodo dell’università, ormai consunti e sbiaditi. Non si lavava i capelli da giorni. Avrebbe potuto farlo, quantomeno per far passare il tempo.
Si fermò in bagno, colpita dall’immagine del suo stesso viso allo specchio. Evitava di guardarsi da molto tempo, ma qualcosa, probabilmente il sogno, l’aveva finalmente indotta a farlo. Ora si vide come doveva averla vista Maitland: tutta occhiaie, capelli unti e spettinati e carnagione pallida. Aveva un aspetto terribile.
E in fondo lo meritava. Non aveva forse lasciato che la sua partner venisse uccisa? Zoe chiuse gli occhi per un istante per scacciare il dolore.
Le tornarono in mente le parole di Maitland. Il pensiero che gettarsi nuovamente in un caso potesse renderle più facile lasciarsi alle spalle tutta questa sofferenza.
Magari avrebbe potuto dare un’occhiata al fascicolo. Almeno così avrebbe scongiurato una nuova visita da parte di Maitland, e forse la sua partner morta avrebbe smesso di infestare i suoi sogni. O quantomeno avrebbe potuto dire a se stessa di averci provato.
Zoe si avvicinò al tavolino prima che la sua determinazione potesse svanire e prese il fascicolo. All’interno c’erano quattro fogli di carta, due per vittima. Due vittime. Si sentì male soltanto a tenerli tra le mani, sentendo il bisogno impellente di metterli giù, ma l’immagine del viso di Shelley era ancora ben presente nella sua mente, e così Zoe iniziò a leggere.
Esaminò rapidamente le informazioni che vi erano contenute, venendo subito travolta dalle parole e dalle frasi. Cadaveri ritrovati a nord di New York. Da quelle parti faceva freddo in questo periodo dell’anno, pensò. A prima occhiata, le due donne erano state uccise in modi diversi; persino i loro dettagli erano differenti. Zoe non notò alcun collegamento nelle loro età, nel peso corporeo e nell’altezza, negli indirizzi di casa e, appunto, nel modo in cui erano state assassinate.
In realtà c’era un elemento che le collegava, una ragione per la quale questi due casi erano stati inseriti nello stesso fascicolo e portati alla sua attenzione. Entrambe le donne avevano un simbolo intagliato sull’addome dopo la morte, probabilmente con la punta di un coltello: una linea piatta dalla quale scendevano due gambe perpendicolari. Zoe lo riconobbe immediatamente: era il simbolo del pi greco.
Interessante.