Anonymous

Fiore di leggende


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      Messer Galvano gia non dimoròe, cavalcò a Pela Orso, la cittate; e tardi a quelle porte elli arrivòe, che tutte quante le trovò serrate. E in quella notte di fuora abitòe, infino alla mattina, in su le strate. Poi lo mattina cavalcò alla porta: la guardia immantinente sen fu accorta.

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      Le porte fûr serrate tutte quante quando vider venir quel cavaliero. La guardia disse:—Non venire avante, se lo tuo nome non mi di' in primiero.— Messer Galvano disse:—Io son mercante, ch'io voglio guadagnar del mio mestiero.— La guardia disse:—Tu non entrerai: vista di mercadante tu non hai.—

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      Messer Galvan molto si corrucciava, intorno alla cittade ha cavalcato; piccoli e grandi, quanti ne trovava, a tutti quanti la morte ha donato. E' con la spada tutti li tagliava, e non lasciava campar uomo nato. Alla cittade facea guerra forte; dí e notte stavan serrate le porte.

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      Messer Galvano per quelle contrade castelli e torri, tutte a lui s'han dare; e poi fece grand'oste alla cittade; quattr'anni e piú li fece dimorare. Quelli di fuora e quei della cittade gran falsitade s'ebbono a impensare, dicendo:—Usciamo. Le porte apriremo, e immantinente lui sí uccideremo.—

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      E la fata Morgana have ordinato con que' di fuora lo gran tradimento; ed una delle porte ha disserrato, e dentro aveva grande afforzamento. E gran battaglia tosto li have dato; venneli sopra senza restamento. Chi lo fería di dietro e chi davanti: ora l'aiuti Cristo e li suo' santi!

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      Lo Pover Cavalier venía chiamato messer Galvano; a Dio s'accomandava. Chi li ha di spada e chi di lancia dato; Galvan de' sproni lo destrier toccava, tra sé dicendo:—Questo è mal mercato! e nella prima schiera lui sí entrava; e con suo brando cominciò a menare, e tutti quanti li facea scampare.

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      E per tal modo prese a cavalcare dentro da quella gente molto forte. Con quelli alla cittade ebbe arrivare: gran battaglia faceva a cotal sorte. A chi un colpo lui aveva a dare, veracemente il conduceva a morte. Quei della terra allora si rendea; messer Galvano ben la ricevea.

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      E poi alfin quella gente chiamava questo barone, ch'è molto pregiato. Allor tutta la gente che scampava a Galvano ciascun fu ritornato. E tutti quanti a lui s'inginocchiava, e dolcemente l'ebbon salutato: —Povero Cavalier, nobil, verace, a noi comanda quello che ti piace.—

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      Disse messer Galvano:—Io vel diraggio, e fatto sia senza dimoragione: fate la dama dal chiaro visaggio che tosto sia cavata di prigione; se no, che la testa io vi taglieraggio, e tutti perderete le persone. Per trarla di prigione state accorti; se no, che tutti quanti siete morti.—

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      E quella gente allor di gran bontade della Pulzella arricordò il tormento; e di lei loro aveano gran pietade. —Nol sapevamo nel cominciamento, che certo data vi avriam la cittade, e fatto avriam tutto il vostro talento.— Con gran romore i cavalieri andava alla cittá real dov'ella stava.

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      Ma quel castel sí era ben armato, e dentro v'era molta buona gente. Non li valea 'l combatter d'alcun lato; quella battaglia non curava niente. Lo romore era sí grande levato, che la Pulzella Gaia ben lo sente. Nella prigione tutta si smarría di tal romore com'ella sí udía.

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      Una donzella della savia fata, che tuttavia li porta la minestra, andò alla prigione in quella fiata. Disse:—Pulzella Gaia, ora stai destra. Io sí ti dico, e faccioti avvisata che l'angiolo di Dio di te fa inchiesta. Or stai allegra, e non temer ad ora, ché di prigione tosto uscirai fuora.—

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      E la Pulzella sí prese a parlare, e sí li disse:—O compagna mia cara, io ti priego per Dio, non mi gabbare. Era Gaia: mò son di gioia avara. Cosí non va; di ciò falla mia madre, che mi fa star in pena tanto amara. Non mi gabbare piú, ch'e' mi rincresce: io prima era Pulzella, e mò son pesce.—

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      Quella rispose:—Io non ti gabberaggio; di te ne porto doglia dolorosa, e sempre sarò grama nel visaggio, s'io non ti vedo, dolce amor, gioiosa, come solea veder lo tuo visaggio. Ma t'imprometto, donna dilettosa, ch'i' ho veduto di fuor del castello quel cavaliero poderoso e bello.—

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      E la Pulzella Gaia prese a dire: —Compagna mia, s'elli t'è in piacimento, e se tu vo' mi del tutto servire, da scriver mi dái tutto 'l fornimento— Ella disse:—Di ciò ti vo' fornire:— ed halli addotto tutto 'l guarnimento. E dièlli un lume, poi ch'ella vedesse a scriver quanto che a lei piacesse.

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      E la Pulzella una lettra ebbe fatta; e, quella scritta e poi ben suggellata, disse:—Compagna mia cara ed adatta, compi di farmi ad or questa imbasciata; e, se di qua dentro io ne sarò tratta, tu ne sarai da me la ben mertata. Dentro dall'oste al mio signor fa' dare questa lettra, se tu mi vuoi scampare.—

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      Quella rispose a lei:—Signora mia, comanda pure, ch'io ti serviraggio infin che durerá la vita mia; e, se tu scampi, allegra ne saraggio.— Immantinente sul muro venía; la lettra buttò fuora col messaggio. Un cavalier la prese con sua mano, e poi l'appresentò a messer Galvano.

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      Galvan la lettra ebbe dissuggellata, la qual dicea:—Salute con amore. Se scampar vo' mi, parti alla celata, e stai quindici giorni ascoso fuore. E poi tu troverai di tua masnata cento a cavallo, e non aver timore. Vestili a verde a modo di donzelle, e tu a vermiglio fa' che sii con elle.

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      Sappi ti faccio a tal modo vestire perché la Dama del Lago è mia zia. Alla mia madre ella sí suol venire, né piú né men, con tanta compagnia. Allor si ti fará la porta aprire, ché ben la crederá che dessa sia. E, se passi pur l'una delle porte, l'altra tu spezzerai, non cosí forte.—

      96 (100)

      Messer Galvano presto ha cavalcato immantinente con que' cavalieri; quindici giorni lui stette celato; come donzelle vestí quei guerrieri, ed al castel con lor si fu inviato. La guarda lungi 'l conobbe manieri. Tosto alla fata Morgana favella; disse:—Madonna, e' vien vostra sorella.—

      97 (101)

      Allor Morgana tosto comandava che le porte s'aprisson di presente; e molto presto ciaschedun ne andava, perché tutti vedeanla allegramente. La guardia aperse, e a Morgana parlava la cameriera, che sa il convenente. Disse:—Madonna, voi sète ingannata: questa è altra gente: siatene avvisata.—

      98 (102)

      Allor Morgana molto fu adirata, e tosto corse e si prese a gridare che la porta in presente sia serrata; suoi gridi poco li have a giovare. Messer Galvano dentro fa l'entrata, e sua bandiera qui fece fermare; ma, avanti che spezzasson l'altra porta, tutta suo' gente quivi si fu morta.

      99 (103)

      Ma pur alfine la porta spezzava; messer Galvano dentro ne fu entrato; piccoli e grandi, quanti ne trovava, a tutti quanti lui la morte ha dato. E la fata Morgana poi trovava, quale di morte l'have minacciato. Galvan li disse:—O tu, malvagia e ria, menami alla prigion della tua fia.—

      100 (104)

      Morgana per paura lo menava alla prigion dov'era incarcerata. Messer Galvano fuor sí la cavava, ch'ella era come pesce diventata. Messer Galvano allor sí l'abbracciava, e d'allegrezza in terra è strangosciata. Quando rinvenne, prese a sospirare, e d'allegrezza aveva a lagrimare.

      101 (105)

      Messer Galvan li disse:—Anima mia, che morte alla tua madre vuoi far fare?— Ed ella disse:—O dolce speme mia, questa prigion fatela mò provare. I' voglio che in prigione lei si stia, che la figliuola sua fatto ha stentare.— Galvano di presente l'ha menata alla prigione ed ebbela serrata.