Sempre abbronzato, qualche ruga in più e qualche capello biondo in meno era ancora molto affascinante nei suoi 47 anni, di cui gli ultimi tre vissuti in zone martoriate del nostro pianeta.
Aveva lasciato una cattedra universitaria e un posto di rilievo al Gaslini di Genova per buttarsi in prima linea dove c'era veramente bisogno di tutto: di braccia, gambe, di cuore, anima e cervello perché lì ogni gesto ogni mossa doveva essere pensata, era una questione di vita o di morte.
- Accomodati, disse sorridendo.
Un sorriso aperto da togliere il fiato e mentre lui le sorrideva lei stranamente si sentiva sprofondare sotto la bianca camicia.
- Prima regola del campo, qui ci si dà tutti del tu, quindi accomodati Luisa, io sono Giorgio - le disse porgendole la mano che afferrò con una stretta vigorosa - e spiegami che diavolo ci fai all’inferno.
Luisa non si aspettava quell’accoglienza e quelle parole, e ora cosa avrebbe detto? Sono qui perché paparino mi ha raccomandato per un posto di prestigio ma io sono una ricca e viziata ragazza che gioca a fare l’attivista dei centri sociali? No certamente non poteva dire quello, respirò e prese fiato.
- Non so perché sono qui, ma ci sono e sono pronta a mettermi a disposizione per tutto ciò di cui avete bisogno, dimmi cosa devo fare e lo farò.
Giorgio sorrise e lei si sentì improvvisamente nuda sotto quello sguardo e iniziò a sudare freddo.
- Bene, sia ben chiaro che qui non si gioca quindi se sei qui per trovare te stessa, per scappare da una delusione amorosa o per fare un dispetto alla tua famiglia, hai sbagliato luogo, gira i tacchi e tornatene in Italia.
Se, invece sei qui perché hai ben presente che questa non è una fiction di quart’ordine e questa gente muore ogni giorno per una guerra che arricchisce sempre più i signori del potere, mentre noi non abbiamo a volte neanche i mezzi per curarli e vuoi realmente renderti utile, sbracciati le maniche, va nella tenda che ti è stata assegnata e tra 10 minuti inizia il turno, nella tendopoli che utilizziamo come ospedale da campo. Ma attenta non ti darò tregua e respiro, chi viene qui deve sapere ciò che l’aspetta e i miei occhi vigileranno sempre su di te. Buona giornata Luisa, si alzò e uscì.
Lei impietrita restò al centro della stanza, sentiva la rabbia montarle dentro.
Come si permetteva quell’arrogante, chi si credeva di essere, lei era lì per… per… fuggire da suo padre e dagli schemi prefissati dove l’aveva rinchiusa.
Touchè quell’arrogante aveva visto giusto. Stava a lei dimostrargli che si sbagliava e fargli cambiare idea con il lavoro sul campo.
I tre mesi successivi furono terribili, turni massacranti, infezioni, zanzare, caldo ustionante ma soprattutto miseria e morte. Samir fu il primo bambino a spirargli tra le braccia, era arrivato al campo in condizioni disperate, una mina antiuomo gli aveva fatto saltare gli arti inferiori, Luisa aveva fatto di tutto per salvarlo, aveva tentato l’impossibile, non l’aveva lasciato un attimo, per tre giorni e tre notti l’aveva vegliato ai piedi del letto e quando lui se n'era andato, Luisa aveva sentito per la prima volta il sapore salato delle sue lacrime in quella calda serata africana, era stato un attimo poi lo scirocco le avrebbe asciugate rapidamente. Mentre era lì davanti quel corpicino inerte sentì una voce.
-Vieni Luisa, non possiamo più fare nulla per lui e ammalarti non ti aiuterà e soprattutto non aiuterà tutti gli altri Samir che hanno bisogno di un bravo medico come te. Era la prima volta che le rivolgeva parole simili.
L’aveva chiamata bravo medico, lei si girò e tentò un mezzo sorriso. Grazie fu l’unica cosa che riuscì a dirgli.
- Devo andare in città a fare scorta di medicine, ti va di venire con me?
- Si, grazie!
- Se l'avessi scordato mi chiamo Giorgio e non grazie e allargò sul viso un sorriso che lo illuminò.
Anche Luisa sorrise e dopo cinque minuti erano insieme sulla jeep diretti a Freetown.
Durante il tragitto parlarono un po’delle loro vite o meglio Giorgio parlava, era lui l’avventuriero, aveva girato il mondo, conosciuto paesi e culture diverse ed era sposato da 6 anni con Sara, una creatrice di gioielli che viveva a Milano, non avevano figli perché lei dopo un intervento non poteva più averne.
Parlava di lei con molto entusiasmo, era una donna forte e determinata che neanche la retinite pigmentosa, che l’aveva costretta ad una quasi totale cecità fin dall’ età di 25 anni, aveva saputo domare. Si erano conosciuti sette anni prima alla fiera orafa di Vicenza, c'era una raccolta fondi di beneficenza in favore di medici senza frontiere e Giorgio era lì per ringraziare i partecipanti e ritirare le laute donazioni.
Lei era lì seduta in prima fila, bellissima, indossava un vestito porpora ed oro ed aveva i lunghi capelli castani raccolti con uno chignon, ai lobi delle orecchie due splendide foglie filigranate, una dea. Si accorse della sua cecità solo quando per consegnargli l’assegno, in qualità di presidentessa dell’Assoorafi, fu accompagnata sul palco dal suo assistente. Giorgio raccontava con dovizia di particolari gli incontri successivi con Sara e il fulmineo matrimonio su una spiaggia nelle cinque terre, che a Luisa sembrò quasi di conoscerla.
- Scusa ma se non vede come fa a creare gioielli?
- Li immagina nella sua mente e poi col tatto sviluppato che ha, riesce a ricrearli sul suo tavolo da lavoro dove ogni cosa è sistemata da lei personalmente, attrezzi, pietre, colori ecc.
Il suono prolungato del cellulare la destò dai suoi ricordi. Chiuse l’acqua, indossò in fretta e furia l’accappatoio e andò a rispondere.
- Pronto?
- Salve dottoressa, scusi il disturbo, so che ha fatto il turno di notte e forse stava riposando.
Era Ester la sua segretaria e sapeva benissimo che lei non stava riposando.
- Dimmi Ester c'è qualche problema?
- No dottoressa, solo che ha appena telefonato il primario, c'è un congresso a Milano nel fine settimana organizzato da una casa farmaceutica e vuole che lei rappresenti il nostro ospedale.
- assolutamente no! Io non mi muovo da Bologna, non ho nessunissima intenzione di partecipare a questi convegni che non sono altro che uno spreco di tempo e denaro, ho altro a cui pensare.
- Mi perdoni dottoressa ma il dottor Veronelli è stato irremovibile e mi ha già fatto prenotare il volo a suo nome, anche perché a questo convegno ci sarà come relatore anche il presidente di medici senza frontiere, il dottor Di Pietro e visto che lei lo conosce personalmente ed ha lavorato con lui fianco a fianco sia a Roma che in Africa, ha pensato che nessuno meglio di lei potesse rappresentare il nostro ospedale.
Il dottor Di Pietro, il dottor Di Pietro… il cuore di Luisa si era fermato a quelle parole.
- Ok Ester parlerò io con Veronelli. Io a Milano non ci vado.
E chiuse la comunicazione.
3
Quattro giorni dopo era seduta su un boeing 747 dell’Alitalia con destinazione Milano. Era stato tutto inutile, le sue proteste, le sue rimostranze, il primario non aveva voluto sentire ragioni e lei era stata costretta a partire.
La sera prima preparando la valigia, aveva continui flashback dei giorni trascorsi in Africa con Giorgio.
Dopo quella prima chiacchierata nel tragitto per Freetown, ne erano seguite tante altre, soprattutto la sera davanti a improvvisati falò sorseggiando un buon caffè italiano che Gennaro, infermiere napoletano preparava rigorosamente con la moka che si era portato da Pozzuoli.
Fu così che Luisa entrò sempre più in confidenza con Giorgio, lui le parlava