nel letto di Luisa, lei istintivamente si ritrasse e si coprì col lenzuolo, lui fissava il soffitto.
- Scusami, non dovevamo, tu sei un uomo sposato, sarà stato l’effetto delle birre o il sollievo per la bambina, perdonami non accadrà mai più.
- Invece si che accadrà ancora, perché lo vuoi tu e lo voglio io e non c'entra né l’alcool nè la bambina, io ti ho desiderata dal primo momento che ti ho vista al campo con quei ridicoli pantaloni color cachi, non mi era mai successo prima e ho cercato di controllare i miei istinti parlandoti di mia moglie proprio per mettere un muro tra di noi, ma non ci sono riuscito, quindi scusami tu. Se non vuoi che accada più lo capirei, basta tu lo dica e sparirò dalla tua vita…
Per tutta risposta Luisa lo tirò a se e fecero nuovamente l’amore.
Furono giorni di una gioia quasi infantile, Asmait stava recuperando le forze, conosceva abbastanza bene l’italiano e lei e Luisa avevano stretto un vero legame affettivo.
La psicologa dell’ospedale la stava aiutando a superare il trauma per la perdita della madre e l’assistente sociale sbrigava le pratiche per ospitare la bimba in una casa famiglia dopo che l’ avessero dimessa dall’ospedale, in attesa che una famiglia si facesse avanti per adottarla. La sua storia con Giorgio andava a gonfie vele, quell’uomo era meraviglioso, aveva tutto ciò che una donna potesse desiderare, bello, intelligente, simpatico, avevano le stesse passioni, amavano gli stessi libri, gli stessi film e spesso completavano le frasi l’uno dell’altra. Era tutto troppo perfetto per poter durare... ed infatti la realtà la destò da quel sogno ad occhi aperti troppo presto. Quella mattina Giorgio si era alzato presto e Luisa svegliandosi al posto suo aveva trovato Theo. Scese di fretta le scale e lo trovò a torso nudo in cucina ad armeggiare col tostapane, la barba incolta che gli dava un tocco di selvaggio e trasandato la faceva impazzire, gli si avvicinò da dietro e gli cinse il torace.
- Buongiorno amore! Ti sei alzato all’alba…
- Ciao piccola…
Luisa adorava quel nomignolo con cui Giorgio soleva chiamarla.
Appena si girò, capì subito che qualcosa non andava.
-Ehi cos'è quel muso? È successo qualcosa ad Asmait? Disse allarmata.
- No tranquilla, ho chiamato stamattina in reparto ed è tutto a posto.
- E allora cos’hai?
- Luisa siediti, devo parlarti.
- Siamo qui da quasi un mese e non sono ancora andato a trovare Sara a Milano. Le ho detto di Asmait, che non mi sentivo di lasciarla, perché a parte te e me non ha nessuno e lei ha deciso di venire a trovarmi a Roma e conoscere la bambina. Sa che le assistenti sociali le stanno cercando una famiglia e mi ha proposto di presentare la domanda di affidamento. Tu sai che lei non può avere figli e ha pensato che sia stato il destino a mettere Asmait sulla nostra strada.
Luisa ascoltava impietrita.
Non conosceva Sara, stranamente non era gelosa di lei, forse perché non l’aveva mai incontrata, lei era solo un ologramma tra lei e Giorgio, ma ora si sarebbe materializzata lì nella sua città, nel suo ospedale, nella sua vita e non solo si sarebbe ripresa l’uomo che amava, ma le avrebbe portato via la sua bambina. Si perché Asmait era la sua bambina, la madre morente l’aveva affidata tra le sue braccia. E ora Luisa avrebbe perso tutto. Lei come donna single non avrebbe potuto chiedere l’affidamento della bimba, trovava assurdo che nel XXI secolo in un paese civile ed industrializzato come l’ Italia mancassero ancora i diritti civili fondamentali per le donne single, i padri separati o gli omosessuali. Non riuscì a dire nulla, alzò lo sguardo sui suoi occhi di ghiaccio e alla fine con un filo di voce gli disse:
- Forse è meglio che porti via da qui la tua roba. Si girò e andò via.
Giorgio mise tutti i suoi effetti personali nel grande borsone beige che aveva portato con sé dalla Sierra Leone, le camicie, i pantaloni, il dopobarba, il rasoio, tutto meticolosamente riposto con cura, in primis perché lui era un uomo ordinato e poi forse per restare cinque minuti in più in quella casa, la casa di Luisa e nella sua vita.
5
Seduta accanto a quella valigia ingoiava le sue stesse lacrime, forse era colpa di quei ricordi che in fondo era lei stessa a ricercare in una sorta di masochismo.
Si avviò verso l’angolo cottura, preparò una tisana e mentre la beveva si sentiva terribilmente sola. Nel pomeriggio era passata Anna con i bambini a prendere Theo, avrebbe trascorso con la famiglia Marchese i pochi giorni in cui Luisa sarebbe stata a Milano.
Ad Anna era bastato uno sguardo per capire lo stato d’animo della sua amica. Sapeva che non era il viaggio nel capoluogo lombardo a turbarla ma l’idea di rivedere Giorgio. Anna era stata testimone e complice di quella folle storia durata lo spazio di un fotogramma.
Appoggiò la tazza della tisana nel lavello e si diresse verso il frigo. Lì in bella mostra attaccata con quattro calamite c'era una copia della lettera che aveva lasciato sulla scrivania di Giorgio il giorno che era sparita dalla sua vita. La prese in mano e iniziò a leggerla.
Ricordava ogni sillaba, ogni frase le era costata cara, ma era l’unica soluzione per liberarsi di lui e permettergli di tornare a sorridere con la sua famiglia. Tanto lei era abituata al niente, Giorgio era stato una parentesi arcobaleno nel buio della sua esistenza.
Caro Giorgio,
il nostro incontro è stato come l’incontro tra il fuoco e la paglia, in un attimo è andato tutto in fumo, lasciando dietro di sé macerie e dolore.
È finita! Addio Luisa
Ogni riga l’aveva scritta di getto col cuore, amava troppo Giorgio per poterlo guardare negli occhi e rinunciare a lui e così quella mattina prima di salire su quell’aereo per Bologna, gli aveva lasciato quelle poche righe, una metafora della loro storia, era un gioco che facevano spesso tra di loro… e una copia della sua lettera di trasferimento con scritto "non cercarmi mai più".
Il tempo dei ricordi era ormai finito, il giorno dopo aveva il volo alle sette quindi doveva andare a dormire.
Ripose la lettera sotto la calamita di Stoccolma e con il suo camicione slabbrato, andò a letto accucciata al cuscino. Sarà stato l’ effetto della tisana ma quella mattina si svegliò particolarmente riposata.
Il volo era stato la solita routine e all’aeroporto una macchina della Stillfarma era venuta a prenderla. Salì col suo bagaglio a mano che conteneva il necessario per i pochi giorni che sarebbe dovuta rimanere a Milano, era atterrata da poco più di un’ora e già voleva tornare nel suo rifugio bolognese. L’auto si fermò davanti l’hotel che costeggiava piazza Duomo con la Madonnina che si stagliava in alto a proteggere la città meneghina.
Prese possesso della sua stanza, fece una doccia veloce ed era pronta per la prima giornata di fuoco.
Secondo il programma avrebbe incontrato Giorgio solo il giorno dopo. Aveva ancora 24 ore per prepararsi psicologicamente. Entrò in ascensore e mentre le porte si stavano per chiudere sentì una voce pregarla di aspettare, istintivamente premette il tasto con le due frecce e le porte si riaprirono. Apparvero due occhi verdi sotto una montatura alla Harry Potter e un sorriso smagliante.
- Grazie dottoressa Martinelli.
- Scusi ci conosciamo?
- Non ancora, ma io conosco lei, l’ho voluta a questo congresso con tutte le mie forze.
- Sono Andrea Conti, il direttore marketing della casa farmaceutica che ha organizzato il congresso.
L’ascensore era arrivato al piano terra.
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